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Direttore scientifico: Prof. Nicola Peluffo | Direttore editoriale: Dott. Quirino Zangrilli 
L'Atlante di "Scienza e Psicoanalisi"
 
 
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animazione transfert
 
   
 

Sigmund FreudOgniqualvolta sottoponiamo al trattamento psicoanalitico un soggetto nervoso, compare in lui il sorprendente fenomeno della cosiddetta traslazione, vale a dire egli rivolge sul medico una certa quantità di moti di tenerezza, abbastanza spesso frammisti a ostilità, che non sono fondati su alcun rapporto reale e che non possono che derivare, dare le particolarità della loro comparsa, dagli antichi desideri fantastici del malato divenuti inconsci. Quella parte della sua vita emotiva che egli non riesce più a richiamare alla memoria, viene dunque da lui rivissuta nel suo rapporto con il medico ed è solo attraverso codesta reviviscenza nella “traslazione” ch’egli si convince dell’esistenza, nonché della potenza, degli impulsi sessuali inconsci. I sintomi che, per usare un paragone tolto dalla chimica, sono i sedimenti di precedenti esperienze amorose (nel senso più lato), possono sciogliersi soltanto alla temperatura più elevata dell’esperienza di traslazione ed essere trasferiti ad altri prodotti psichici. Per usare l’eccellente espressione di Sándor Ferenczi, in questa reazione il medico funge da fermento catalitico, il quale attrae a sé temporaneamente gli affetti che si liberano durante il processo…
La traslazione si instaura spontaneamente in tutte le relazioni umane, esattamente come nel rapporto tra malato e medico; essa è dovunque l’autentico supporto dell’influsso terapeutico e agisce tanto più vigorosamente quanto meno se ne sospetta la presenza. La psicoanalisi dunque non crea la traslazione, semplicemente la svela alla coscienza e se ne impossessa per guidare i processi psichici verso la meta desiderata.

S. Freud, Cinque conferenze sulla psicoanalisi, 1909 (vol. 6 pag. 169)

…possiamo dire che l’analizzato non ricorda assolutamente nulla degli elementi che ha dimenticato e rimosso, e che egli piuttosto li mette in atto. Egli riproduce quegli elementi non sotto forma di ricordi, ma sotto forma di azioni; li ripete, ovviamente senza rendersene conto.
Ad esempio: l’analizzato non dice di ricordare d’esser stato caparbio e diffidente verso l’autorità dei genitori, ma si comporta in questo stesso modo verso il medico. Non ricorda d’esser rimasto privo di consiglio e di aiuto nella sua esplorazione sessuale infantile, ma porta un mucchio di sogni e di associazioni confuse, si lagna che nulla gli riesce e dichiara che è un suo destino non portar mai a termine ciò che intraprende. Non ricorda d’essersi profondamente vergognato di determinate pratiche sessuali e di aver temuto che esse venissero scoperte, ma mostra ora di vergognarsi del trattamento che ha intrapreso e cerca di tenerlo celato a tutti: e così di seguito.

S. Freud, Nuovi consigli sulla tecnica della psicoanalisi, 1913-14 (vol.7 pagg. 355-356)

Il fatto che nel corso di ogni trattamento di nevrosi si instauri una traslazione affettuosa o ostile, improntata a grossolana sessualità, traslazione che né il medico né il paziente desiderano o sollecitano, mi è sempre apparso come la prova più inconfutabile che le forze motrici della nevrosi derivano dalla vita sessuale.

S. Freud, Per la storia del movimento psicoanalitico, 1914 (vol. 7 pag. 386)

Il nuovo fatto, che riconosciamo con riluttanza, è da noi chiamato traslazione. Ci riferiamo a una traslazione di sentimenti sulla persona del medico, giacché non riteniamo che la situazione della cura possa giustificare la nascita di sentimenti simili. Presumiamo, al contrario, che l’intera predisposizione a tali sentimenti abbia un’altra origine, esista già pronta nella paziente e venga trasferita sulla persona del medico in occasione del trattamento analitico. La traslazione può apparire come appassionata richiesta d’amore o in forme più moderate; al posto del desiderio di essere amata, può affiorare nella giovane donna rispetto all’uomo anziano il desiderio di essere accolta come figlia prediletta; il desiderio libidico può mitigarsi nella proposta di un’amicizia indissolubile ma idealmente non sensuale. Alcune donne riescono a sublimare la traslazione e a modellarla finché essa acquista una sorta di compatibilità; altre devono esprimerla nella sua forma grezza, originaria, perlopiù impossibile. Ma in fondo si tratta sempre della stessa cosa la cui provenienza dalla medesima fonte non può essere equivocata.
Prima di domandarci dove vogliamo collocare il nuovo fatto della traslazione finiamo di descriverla. Che cosa succede con i pazienti di sesso maschile? In questo caso sarebbe legittimo sperare di sfuggire alla molesta interferenza della diversità di sesso e dell’attrazione sessuale. Eppure dobbiamo rispondere che le cose non vanno molto diversamente che con le donne. Lo stesso attaccamento al medico, la stessa sopravvalutazione delle sue qualità, lo stesso assorbimento nei suoi interessi, la stessa gelosia verso tutti quelli che gli stanno vicino. Le forme sublimate della traslazione sono più frequenti fra uomo e uomo e la richiesta sessuale diretta più rara, nella misura in cui l’omosessualità manifesta passa in seconda linea rispetto agli altri impieghi di questa componente pulsionale. Nei suoi pazienti maschili il medico, inoltre, osserva più spesso che nelle donne un modo di manifestare la traslazione che a prima vista sembra contraddire quanto finora descritto, la traslazione ostile o negativa…

Non può esserci dubbio per noi che i sentimenti ostili verso il medico meritano il nome di “traslazione”, perché la situazione della cura non comporta assolutamente il loro sorgere; la concezione della traslazione negativa è necessaria e ci assicura che non siamo caduti in errore nel giudicare quella positiva o affettuosa…

Mentre è ovvio che non dobbiamo cedere alle richieste del paziente che conseguono dalla traslazione, sarebbe assurdo respingerle in modo scortese o addirittura indignato; noi superiamo la traslazione dimostrando all’ammalato che i suoi sentimenti non derivano dalla situazione presente e non sono destinati alla persona del medico, bensì ripetono qualcosa che in lui è già accaduto precedentemente. In tal modo lo costringiamo a trasformare la sua ripetizione in ricordo…
Non dimentichiamo che la malattia del paziente che prendiamo in analisi non è qualcosa di concluso, di cristallizzato, ma qualcosa che continua a crescere e a svilupparsi come un essere vivente. L’inizio della cura non pone fine a questo sviluppo ma, appena la cura si è impadronita del malato, avviene che l’intera neoproduzione della malattia si riversa su un solo punto, ossia sul rapporto col medico. La traslazione diventa così paragonabile alla zona di cambio fra il legno e la corteccia di un albero, dalla quale deriva la formazione di nuovi tessuti e l’aumento di spessore del tronco. Non appena la traslazione è assurta a questa importanza, il lavoro sui ricordi dell’ammalato passa decisamente in secondo piano. Allora non è inesatto dire che non si ha più a che fare con la precedente malattia del paziente, bensì con una nevrosi di nuova formazione e profondamente trasformata, che sostituisce la prima…

Domare questa nuova nevrosi artificiale significa però anche eliminare la malattia portata nella cura, significa risolvere il nostro compito terapeutico. Colui che nei rapporti col medico è ormai diventato normale e non è più soggetto a spinte pulsionali rimosse, tale resterà anche nella vita privata, quando il medico sarà uscito di scena.

S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, lez. 27, 1915-17 (vol. 8, pagg.591-593)

La parte decisiva del lavoro consiste nel ricreare, all’interno del rapporto con il medico, cioè della “traslazione”, nuove edizioni di quei vecchi conflitti in relazione ai quali l’ammalato vorrebbe comportarsi come si è comportato a suo tempo, mentre invece lo si costringe a decidersi altrimenti, chiamando a raccolta tutte le forza psichiche in lui disponibili. La traslazione diventa dunque il campo di battaglia nel quale sono destinate a incontrarsi tutte le forze in lotta tra loro.

S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, lez. 28, 1915-17 (vol. 8, pagg.602-603)

Il malato non può ricordare tutto ciò che in lui è rimosso, forse non ricorda proprio l’essenziale, e quindi non riesce a convincersi dell’esattezza della costruzione che gli è stata comunicata. Egli è piuttosto indotto a ripetere il contenuto rimosso nella forma di un’esperienza attuale, anziché, come vorrebbe il medico, a ricordarlo come una parte del proprio passato. Queste riproduzioni, che si presentano con una fedeltà indesiderata, hanno sempre come oggetto una parte della vita sessuale infantile, ossia del complesso edipico e dei suoi esiti; e hanno invariabilmente luogo nella sfera della traslazione, vale a dire del rapporto col medico.

S. Freud, Al di là del principio di piacere, 1920 (vol. 9 pag. 204)

Se occorresse dare una prova ulteriore che davvero le forze motrici della formazione del sintomo nevrotico sono di natura sessuale questa prova potremmo trovarle nel fatto che durante il trattamento si instaura regolarmente, da parte del paziente, un particolare atteggiamento emotivo nei confronti del medico, atteggiamento che va molto al di là del razionale e che variando dalla più tenera dedizione alla più cocciuta ostilità prende a prestito tutte le sue singolarità dai precedenti e ormai inconsci orientamenti amorosi del paziente. Questa traslazione, che nella sua forma positiva come in quella negativa si pone al servizio della resistenza, si trasforma nelle mani del medico nel più potente ausilio del trattamento, e sostiene, nella dinamica del processo di guarigione, una parte cui non sarà mai dato troppo rilievo.

S. Freud, Due voci di enciclopedia: “Psicoanalisi” e “Teoria della libido”, 1922 (vol 9 pag 450)

In ogni trattamento analitico si stabilisce, senza alcun intervento del medico, una intensa relazione emotiva del paziente nei confronti dell’analista, relazione che i dati di fatto reali non giustificano in alcun modo. Questa relazione, che per brevità chiameremo “traslazione”, prende ben presto nel paziente il posto del desiderio di guarire, e finché è affettuosa e misurata, essa rappresenta un sostegno per il comune lavoro analitico. In seguito, quando assume le caratteristiche della passione o si converte in ostilità, diventa il principale strumento della resistenza. Può accadere allora che il paziente cessi di produrre associazioni mettendo in pericolo il risultato del trattamento. Voler eludere questo fenomeno sarebbe comunque insensato: non c’è analisi senza traslazione. Tuttavia non si deve neppure credere che l’analisi crei la traslazione e che questa compaia solo in essa. L’analisi non fa altro che rendere palese e isolare la traslazione, la quale è un fenomeno universalmente umano, che decide delle sorti di qualsiasi influsso medico e addirittura stabilisce il suo dominio su tutte le relazioni che gli individui hanno con i loro simili.

Ad opera dell’analista la traslazione viene resa cosciente al malato, e viene risolta quando si è riusciti a persuadere quest’ultimo che nel suo comportamento, determinato dalla traslazione, egli riesperimenta relazioni emotive che derivano dai suoi investimenti oggettuali più remoti e appartenenti al periodo rimosso della sua infanzia.

S. Freud, Autobiografia, 1924 (vol. 10 pagg.109-110)

…questo strano amore prescinde da tutti i fattori della realtà ed è indipendente dall’aspetto, dall’età, dal sesso e dallo stato civile dello psicoanalista…nella situazione analitica si verifica regolarmente senza che sia dato trovarne una spiegazione razionale.
La nostra tesi, che alla base della nevrosi stia una parte di vita amorosa deviata in modo anormale, viene confermata in modo inequivocabile da una tale esperienza.
Il paziente ripete, sotto forma di innamoramento per l’analista, accadimenti psichici che ha già vissuto una volta nel passato; ha trasferito sull’analista atteggiamenti già latenti in lui, e che sono intimamente connessi con l’origine della sua nevrosi. Ripete sotto i nostri occhi anche le sue passate reazioni di difesa, e tenderebbe a riprodurre, nei suoi rapporti con l’analista, tutte le vicende di quel dimenticato periodo della sua vita. Ciò che in tal modo egli ci rivela è il nocciolo della sua storia intima; egli dunque riproduce, in una forma intuibile, attuale, in luogo di ricordare.
[Il nevrotico ha vissuto il modello originario del suo amore di traslazione] nell’infanzia, e in genere nei suoi rapporti con uno dei genitori.

S Freud, Il problema dell’analisi condotta da non medici, 1926 (vol. 10 pagg. 392-394)

[La] traslazione è ambivalente, comprende atteggiamenti positivi e affettuosi, ma anche negativi e ostili nei confronti dell’analista, il quale, di regola, prende il posto di uno dei genitori, il padre o la madre.
Poiché la traslazione riproduce la relazione con i genitori, è chiaro che ne assume anche l’ambivalenza. È quasi inevitabile che l’atteggiamento positivo verso l’analista si converta prima o poi, repentinamente, in un atteggiamento negativo e ostile. Anche questo rappresenta di norma una ripetizione del passato. L’arrendevolezza verso il padre (se si trattava del padre), il tentativo di accattivarsi il suo favore, era radicato in un desiderio erotico a lui diretto. Prima o poi questa pretesa si manifesterà prepotentemente anche nella traslazione reclamando soddisfazione. Nella situazione analitica, però, essa dovrà essere immancabilmente frustrata. Relazioni sessuali vere e proprie tra paziente e analista sono assolutamente da escludere e l’analista si lascerà andare con estrema parsimonia anche a forme di soddisfacimento più sottoli come la predilezione, l’intimità e così via. Il paziente prende il destro da questo atteggiamento sdegnoso per capovolgere i suoi sentimenti: probabilmente la stessa cosa era già accaduta nella sua infanzia.

S. Freud, Compendio di psicoanalisi, 1938 (vol.11 pagg. 602 - 603)

 
     

     
 

Divulgazione di Quirino ZangrilliNella storia del movimento psicoanalitico probabilmente nessun concetto ha subito una evoluzione così complessa e profonda come quello di transfert. All’inizio il transfert è per Freud soltanto una forma di spostamento dell’affetto da una rappresentazione mentale ad un’altra, e la preferenza per lo schermo costituito dall’analista è dovuta al fatto che esso costituisce una specie di “resto diurno” sempre a disposizione del soggetto e che questo tipo di trasferimento favorisce la resistenza in quanto l’esplicitare il desiderio rimosso è reso più difficile se deve essere fatto all’interessato.
Come si vede, si concepisce il transfert essenzialmente come resistenza tendente a nascondere la vera natura delle fantasie infantili proiettate sull’analista (S.Freud,”Per la psicoterapia dell’isteria”,1985).
Il successivo sviluppo del pensiero freudiano si allontanerà, per approfondirsi, da questa prima formulazione. Passando per le teorizzazioni raccolte ne “La dinamica del transfert” del 1912, in cui si parlerà per la prima volta esplicitamente di investimento libidico di “prototipi infantili”, “clichés indeformabili” esistenti nel soggetto, si perviene alla concezione, essenzialmente energetica, esplicitata in “Al di là del principio del piacere” (1920) in cui Freud riconduce il transfert a quella tendenza generale della materia vivente a ricostituire per ripetizione gli eventi traumatici nel fine onnipotente di accedere alla stasi pretraumatica.
Ho riportato succintamente tale sviluppo poiché molti psicoanalisti mostrano nelle loro teorizzazioni e nei loro rendiconti clinici di essersi appiattiti sulla iniziale formulazione freudiana, probabilmente perché più consona ad una visione onnipotente dell’impresa psicoanalitica. Ritengo che affermazioni, piuttosto frequenti, come “attivare”, ”creare”, ”manipolare il transfert” siano la cartina al tornasole di tale visione riduzionistica che porta ad una pericolosa sottovalutazione del fenomeno.
Se solo si pensa alle difficoltà che normalmente si incontrano per ricondurre all’osservazione analitica i nuclei infantili dislocati nel presente e attualizzati, ad esempio, in un rapporto amoroso con il partner, si potrebbe facilmente rendersi conto che nulla, di quanto già non sia in nuce tra l’analista e l’analizzato, si crea nel rapporto analitico. E ciò che si crea, per lo meno finché la dinamica transferale non sia stata portata alla coscienza e sufficientemente metabolizzata, è totalmente condizionato dalle immagini filogenetiche racchiuse nel corredo ideico dei due soggetti in interazione.
Come esplicita con chiarezza N.Peluffo in “Immagine e fotografia” (1984) “la relazione con l’oggetto è sempre interna e sotto la pressione dello stimolo esterno una delle sfaccettature (affetto e rappresentazione) di tale relazione viene proiettata all’esterno e dà l’intonazione affettiva alla situazione dei rapporti di vita quotidiana (vedi ciò che succede nel transfert)”.
Cosa altro avrebbe potuto intendere Freud quando, sempre ne “La dinamica del transfert” afferma:“quando tutto il materiale composito nell’ambito del complesso è idoneo ad essere trasferito sulla figura del medico, tale transfert ha luogo”, se non che si è raggiunta, per intervento del caso o del tentativo, una omogeneità tra le immagini attivate nella psiche dei due soggetti in relazione?
Alla luce di queste considerazioni si comprende perché Silvio Fanti insistesse nel riaffermare l’idea che “tutto ciò che indichiamo con il termine di transfert è inconscio” (Comunicazione personale, 1987), cioè per sottolineare che noi siamo vissuti dalle dinamiche transferali delle immagini psichiche e la possibile elaborazione cosciente di tale dinamica può essere fatta solo a posteriori.
D’altra parte già Jung aveva compendiato l’essenziale di questi aspetti ne “La psicologia del transfert” (1946): “Nell’atto in cui il paziente trasferisce sul medico, mediante l’azione induttiva che si sprigiona sempre, in misura maggiore o minore, dalle proiezioni, un contenuto attivato dall’inconscio, viene costellato anche nel medico il materiale inconscio corrispondente. In tale modo medico e paziente si trovano in un rapporto fondato su una comune inconscietà”.
Ora lo scopo del lavoro psicoanalitico e particolarmente di quello micropsicoanalitico, e la modalità stessa con cui di fatto si realizza, è quello della osservazione delle dinamiche ripetitive fino alla messa a nudo, e possibilmente alla abreazione energetica, del nucleo originato dal trauma, che determina la forma psicomateriale che tende a riprodursi nel presente con modalità che sono del tutto identiche a quelle che aveva nel momento in cui l’accumulo energetico ha avuto luogo (N.Peluffo, “La situazione”, Bollettino n° 5 ).
Finché il lavoro di revisione del rimosso viene condotto su vicende ontogenetiche relativamente recenti (inerenti agli stadi fallico ed anale) di solito non sono necessari particolari accorgimenti; anche se, ad esempio, per riattivazione di situazioni traumatiche proprie dello stadio fallico si possono determinare delle spinte all’autocastrazione punitiva talmente potenti da poter determinare incidenti autolesionistici più o meno seri. (Una volta per tutte converrà ricordare che non sempre è possibile, soprattutto in casi particolarmente gravi, vincolare il paziente al ricordo e all’elaborazione, piuttosto che all’agire!).
Quando, invece, si riattivino dinamiche che competono lo stadio orale e quello iniziatico, la vigilanza del micropsicoanalista deve essere portata al massimo livello in quanto, come ha dichiaratamente mostrato N.Peluffo ne “La situazione”, nel momento in cui tali dinamiche fusionali si riattivano possono innescare dei meccanismi difensivi disastrosi che possono mettere persino in pericolo la vita del soggetto. Se la micropsicoanalisi del nevrotico ha tra i suoi scopi fondamentali quello di rendere più plastiche le strutture difensive che entrano in attività nella relazione con l’Immagine, il “lavoro di addomesticamento della statua”, di cui parla N. Peluffo in “Immagine e fotografia”, il lavoro micropsicoanalitico con psicotici ha come primo punto di approdo di rendere possibile questo contatto con l’immagine senza che esso determini dei cataclismatici riflessi filogenetici che la situazione ambientale non tollera più: in altri termini se il nevrotico deve arrivare a familiarizzarsi con la Statua, lo psicotico dovrà prima sopportarne la presenza.
Ora, la strada perché questo avvenga, passa, nel caso dello psicotico più che del nevrotico, nel transfert. Cioè il paziente ha il bisogno di rivivere la situazione originaria, inserendo, come vissuti, gli elementi di novità. Freud, con la consueta efficacia scrive: ”...in ultima analisi, è impossibile distruggere chicchessia in absentia o in effige”, e “Le sorti di ogni conflitto andranno risolte nella sfera del transfert”.
Per meglio illustrare questa dinamica mi servirò della breve esposizione di un caso clinico. Si tratta di un soggetto affetto da depressione anaclitica secondo R. Spitz, susseguente all’allontanamento coatto e poi alla scomparsa della madre avvenuta in tenera età, difesa parzialmente da una posizione psicotica di diniego del trauma e da un continuo, fallimentare e doloroso tentativo di stabilire un rapporto d’amore con una giovane donna che rappresentava a tratti per il paziente la reincarnazione della madre scomparsa. In una fase avanzata del trattamento il paziente intraprese più volte il tentativo di confrontarsi con la perdita negata, abreagirne l’angoscia legata al contatto con il vuoto e trovare delle forme di esistenza possibili nella nuova situazione in cui l’oggetto originario non era più presente, tentativi che culminarono con la visita dei luoghi dell’infanzia che incluse anche la visita del cimitero dove la madre era sepolta. L’ausilio dell’io dell’analista, insieme al rafforzamento dei processi di elaborazione che il giovane aveva conseguito nel lungo lavoro analitico condotto fino a quel momento, determinò per la prima volta la presa di coscienza dell’accaduto ed innescò una elaborazione, certamente lacerante e dolorosa, ma vitale, del lutto.
Quello che è interessante è che, nell’intervallo tra una seduta e l’altra di questa tranche, vidi il giovane paziente presentarsi nel mio studio in preda all’agitazione più profonda perché, avendo incontrato di nuovo l’amata, l’aveva vista come uno zoombie, un morto vivente che lo atterriva.
La fase di elaborazione della presa di coscienza della morte della madre aveva avuto il bisogno imperioso di trasferirsi nel presente per consumarsi come evento vissuto e solo il lavoro di abreazione dell’affetto dislocato sulla situazione persecutoria attuale, ebbe la possibilità di esaurire l’investimento energetico sull’immagine materna e favorirne il distacco. E’ questo un fenomeno che, se pur con intensità proporzionalmente ridotta, si verifica anche nei nevrotici e nei soggetti normali. Si creano , cioè, delle vere e proprie sacche esistenziali in cui l’accumulo energetico utero-infantile si disloca ed è solo mettendo in atto l’accortezza tecnica di vincolare le associazioni del paziente sulla situazione attuale, riducendo quel movimento sinusoidale tra presente e passato, che si può riuscire ad enucleare l’affetto incistato nella situazione transferale.

 
   
 
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