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Psicoanalisi e Psicologia
della mente
18 marzo 2001
Sovente, durante le sedute
di più ore, mi accorgo di star seguendo l'andamento delle
associazioni in rapporto al loro movimento di allontanamento o
avvicinamento rispetto al nucleo rimosso che tenta di emergere
alla coscienza. Le associazioni sono convergenti o divergenti
e a volte l'allontanamento dal nucleo rimosso o dal segreto isolato,
è tale che si ha l'impressione che le connessioni tra alcune
di loro vengano catturate da un altro nucleo più lontano
e nascosto, che disfa il lavoro di rievocazione o semplicemente
ne fa un altro che intralcia il primo. Si intuisce che nel cono
d'ombra del primo nucleo ne esistono altri, nascosti,un poco quello
che succede ai così detti corpi celesti dalle cui deviazioni
dalle orbite osservate o calcolate si può dedurre l'esistenza
di altri corpi di cui i primi subiscono l'attrazione, senza tuttavia
poterli osservare direttamente.
Sembra che uno degli agenti in moto verso il completamento della
rievocazione e il passaggio alla coscienza del materiale rimosso,
dimenticato oppure isolato, cambi velocità ed entri nell'orbita
di un'altra istanza che sta facendo il lavoro opposto, cioè
invece di costruire il puzzle ne elimini delle parti e lo renda
irriconoscibile.
Da un punto di vista psicoanalitico questa problematica è
ben conosciuta ed appare in modo inequivocabile nel lavoro onirico.
Nel sogno ad esempio un desiderio semplice come quello che può
essere espresso dalla frase "Cerco una donna" viene
complicato e drammatizzato in modo inverosimile. I tentativi di
realizzare la messa in scena onirica che renda accettabile il
sogno a volte assomiglia al lavoro di un architetto che cerchi
di costruire una casa per mille padroni palesi (e altrettanti
nascosti) ognuno dei quali dica la sua. Un lavoro improbo che
a volte si risolve perché tutto il materiale entra nel
campo di attrazione di un'impresa di costruzioni più potente
e spietata che completa il tutto.
Marvin Minsky, nel suo libro " La società della mente,
Adelphi, Milano 1990", espone concetti simili pur non usando
una concettualizzazione psicoanalitica.
Gli esempi che fa sono molto interessanti. Egli immagina un bambino
che con alcuni cubetti costruisca una torre. Definisce in modo
antropomorfico l'agente creativo che opera in quel bambino (la
funzione del costruire) Costruttore, immagina poi che a quel bambino
non piaccia solo costruire ma anche distruggere, per cui vicino
all'agente Costruire ve ne sarà anche un altro, il Distruggere
(cioè la funzione di distruzione che opera l'azione del
distruggere).
Immaginiamo che l'oggetto da distruggere non sia ancora stato
costruito, l'agente Distruggere dipende da quello Costruire. La
costruzione ha inizio, può succedere però che ad
un certo punto la torre di cubetti da buttare giù sia abbastanza
alta per Distruggere, che vuole procedere, e non per Costruire
(che ci ha preso gusto). Si crea un conflitto tra Distruggere
e Costruire.
Potremmo pensare "ma è Distruggere che ha chiesto
l'opera di Costruire, quindi comanda", (il primato della
pulsione di morte) tuttavia se consideriamo un altro agente di
apparente livello allargato, Giocare con i cubetti, è chiaro
che il conflitto tra Costruire e Distruggere può intralciare
la funzione Giocare con i cubetti, che a sua volta può
essere inserita in una funzione più ampia, p. e. Giocare.
Questo agente Giocare può stare in mezzo ad altri due,
Mangiare e Dormire. Ed ecco che il conflitto tra Costruire e Distruggere
che rende antieconomico il gioco, che si è permeato di
ambivalenza, può indurre il giocatore a ripiegare sull'agente
Mangiare e/o su quello Dormire.
I concetti usati sono molto simili a quelli fantiani di tentativi,
insiemi di tentativi ed entità; il contenitore, l'essere
umano, è unico.
In conseguenza di codesta unicità, lo stesso movimento
che monta il puzzle (come una costruzione fatta di cubetti o blocchetti
che siano) può smontarlo quando cambi il vettore di direzione
del movimento, e/o quando la velocità dei movimenti diventi
incoerente con l'espletamento dei meccanismi di regolazione che
controllano la funzione, ad esempio del mettere e del levare.
In termini psicoanalitici, la costruzione di un insieme rappresentazionale-affettivo,
diventa impossibile quando la quantità e la velocità
dell'investimento dell'energia sui legami tra le singole parti
dell'insieme rappresentazionale-affettivo (p.e. colpire avversario)
non siano abbastanza elevate e stabili (p.e. troppo veloce).
In altre parole affinché un'azione oppure un pensiero sia
iniziato e concluso (ed eventualmente distrutto) la regolazione
interna che mantiene il coordinamento spazio-temporale non può
oscillare oltre certe soglie vettoriali (direzione e velocità).
Cioè, p.e., per ogni movimento verso una certa direzione
(o scelta anche involontaria) può esistere un movimento
in senso contrario ma affinché l'azione si concluda ( cioè
non fallisca completamente) il movimento in senso contrario deve
avere una energia di spinta inferiore all'altro movimento. Noi
analisti lo verifichiamo continuamente in seduta nella dinamica
dei movimenti associativi (di cui ho parlato all'inizio di queste
riflessioni) e nell'organizzazione delle resistenze, in quanto
forze d'inerzia della rimozione.
Un 'Entità (Agenzia), sia essa psichica o materiale, o
mentale o psicobiologica è composta di un insieme di sottoentità
elementari più semplici (relativamente) che "svolgono
il lavoro" separatamente ma interconnesse. Ognuna fa la sua
parte, nessuna conosce l'intero piano, che è stato ordinato
ad un 'Agenzia che direttamente non lo fa perché il piano
lo richiede un'altra Agenzia che a sua volta fa parte di una relativamente
più grande o relativamente più piccola (in un confronto
di grandezze anch'esse relative) e così via. Un ipotetico
osservatore esterno che volesse studiare tutto il fenomeno, probabilmente
non capirebbe niente se studiasse i singoli agenti o le Agenzie
(in termini micropsicoanalitici i singoli "essais");
capirebbe di più se centrasse la sua attenzione sulle interconnessioni
tra i vari agenti e le interazioni tra le varie Agenzie, che oltre
un certo grado di complessità sono continuamente mutevoli,
sovradeterminate. In altre parole sono interconnesse a vari livelli
sulla base di piccoli dettagli comuni. In questo senso la
psiche è una famiglia di funzioni interconnesse che comunicano
tramite induzioni associative collegate per mezzo dell'affetto.
La mente è quella parte della psiche che opera sugli aspetti
cognitivi di tali funzioni. Non è strano che abbia
delle difficoltà a capire se stessa, nella sua totalità.
Segue il destino del cervello.
E' un dato banale ma che vale la pena di essere meditato, il fatto
che il cervello (anche tramite le sue diramazioni periferiche),
per definizione l'organo di conoscenza, al punto che, non solo
per i neurologi ma anche per la maggior parte degli psicologi
moderni le funzioni cognitive e quelle affettive stanno al cervello
come la digestione sta allo stomaco (all'apparato digerente in
generale), non sia in grado di conoscere se stesso ed il proprio
funzionamento se non con un faticoso e lunghissimo lavoro in cui
è implicata l'intera Entità psicobiologica (o Agenzia)
uomo. Quindi la funzione percettivo-sensoriale e quella cognitiva
servono a studiare il funzionamento del cervello e della mente,
che più o meno non sanno come funzionano perché
la maggior parte delle informazioni permangono in quella zona
della mente che sfugge all'attenzione vigile della mente stessa,
cioè nell'inconscio.
E' un ragionamento che sfiora il paradossale e persino il ridicolo
eppure non mi sembra facilmente confutabile.
Mi sembra, quindi, che la funzione cognitiva del cervello serva
a studiare il funzionamento del cervello che, in apparenza, non
sa come funziona. La mente che, per i neurologi, "è
ciò che fa il cervello" serve al cervello per cercare
di conoscere se stesso. Tante "piccole menti parziali"
con piccoli compiti che funzionano più o meno in sinergia
risolvono tanti piccoli compiti che ne compongono uno relativamente
più grande che è risolto, ma non si sa come. Un
po' quello che succedeva alle catene di montaggio funzionanti
nell'industria in cui un singolo lavoratore faceva il proprio
pezzo privo di finalità funzionali note, senza a volte
sapere che fine avrebbe fatto. Il problema è: l'uomo inventa
la catena di montaggio perché il suo cervello funziona
in quel modo, oppure è il contrario, cioè concepisce
il suo cervello come una catena di montaggio? In altri termini,
noi spieghiamo il funzionamento del cervello e delle agenzie che
compongono la mente come una catena di montaggio perché
nella nostra produzione manifatturiera abbiamo semplificato la
costruzione di oggetti complessi dividendoli in parti e riducendo
i compiti complessi a compiti più elementari, assemblandoli
in una serie di produzioni a catena, oppure funzioniamo così
perché non possiamo funzionare in un altro modo?
Io penso che l'ipotesi più probabile sia la seconda, poiché,
almeno per il modello di Fanti, le entità sono composte
di tentativi elementari che a loro volta sono entità (con
le loro qualità) discrete anche se appartenenti ad un tutto
dinamico. Se accettassimo la prima ipotesi saremmo costretti a
farne un altra, vale a dire postulare l'esistenza di un architetto
universale che fa i piani: dio.
Un insieme di tentativi è tale, e si automantiene e riproduce
come l'essere umano, se i meccanismi di regolazione che funzionano
al suo interno sono riusciti a comporre i conflitti più
importanti tra i tentativi psicobiologici elementari che formano
gli insiemi e le entità ( le cellule ed i sistemi di cellule
per esempio). Lo stesso discorso che vale per le cellule ed i
sistemi di cellule vale anche per le altre entità psicobiologiche,
i pensieri, le emozioni, i desideri, i sogni.
Io penso veramente che la Psiche ed il Cervello siano l'espressione
di un fenomeno associativo, gravitazionale (almeno in senso figurato)
più vasto simile a quello che obbliga le polveri cosmiche
a costituirsi in insiemi e che mantiene la coesione tra le varie
parti dei corpi celesti, e, quando ci siano le condizioni, lascia
apparire quel fenomeno di fermentazione che noi chiamiamo vita.
La Psiche e il Cervello si sono costruiti tramite il lavoro di
un insieme di meccanismi di regolazione senza ragione alcuna,
diciamo per caso, e continuano a lavorare nello stesso modo in
cui hanno lavorato i meccanismi che li hanno messi assieme, cioè
a comporre dei conflitti per mantenere un'omeostasi adatta alla
sopravvivenza per il tempo sufficiente a rinnovarsi: una vita.
Gli agenti e le agenzie, continuano a lavorare (non possono fermarsi)
e la vita dell'essere umano diventa sempre più lunga e
i problemi sempre più complessi, i quadri di riferimento
sempre più vasti e, di conseguenza, le necessità
di frazionamento dei compiti sempre più pressante. A quadri
più vasti corrispondono frazionamenti sempre più
microscopici e lontani dalla comprensione dell'uomo comune che
in confronto ai suoi prodotti (tecnici) diventa sempre più
ignorante ed alienato (nel senso di alieno), estraneo ed in rottura
con la realtà in cui vive, cioè psicotico. La scena
che mi viene alla mente (quasi visiva) sono le vaste masse di
"giovani sradicati" che girano senza apparente direzione
nelle vie principali delle città specialmente al sabato
pomeriggio. Una scena da realismo sovietico con toni da espressionismo
tedesco, specie nei volti dei personaggi: volti intrisi di smarrimento
e di paura. L'essere umano moderno è roso dalla paura;
non sa perché ha paura e cerca delle cause che normalmente
sono ritrovate per contiguità come nel ragionamento dello
schizofrenico. Oppure, e sono certamente le persone più
intelligenti, comprende che gli argomenti che gli servono per
spiegare la sua paura sono pretesti, avvenimenti o fatti o fenomeni
sproporzionati alla sua angoscia e va alla ricerca di cause più
credibili tramite le tecniche di analisi della psiche. Oppure
cerca di operare sulle cellule, cioè sul cervello, usando
sostanze chimiche, più o meno naturali (il vino, le piante
tranquillanti o allucinogene, etc.) o più sofisticate,
le specialità farmaceutiche.
In entrambi i casi cerca di usare delle agenzie e degli agenti
che rimettano ordine nelle interazioni tra i lavori presenti e
passati che accadono in lui. Nel caso dell'azione verso la psiche
cerca di eliminare i nodi conflittuali che esistono tra il pensiero
e l'emozione, in modo che la paura appaia solo quando ha la funzione
di un meccanismo di regolazione che assicura la sopravvivenza
e verifica la realtà (p.e. non buttarsi da una torre alta
cinquanta metri pensando di volare come gli uccelli, oppure come
si può fare in sogno) e non quando non è necessaria
o anzi è nociva (non poter mangiare un certo cibo anche
quando sia l'unico disponibile); nel caso dell'azione sulle cellule
cerca dei mediatori chimici che facciano più o meno la
funzione di un capo-traffico in una stazione ferroviaria. In entrambi
i casi si tratta di ripulire, e riordinare le tracce che assicurano
le interconnessioni adatte perché le interazioni funzionino
in accordo con il reale, cioè con il compito da svolgere
che garantisce l'adattamento con il minor uso di energia possibile.
Bisogna quindi affrontare il problema della traccia che io intendo
come un'impronta che una volta impressa può servire da
sentiero quando il futuro agente espleta il suo lavoro. Lo fa,
più o meno bene, seguendo una traccia in un labirinto di
intersecanti e si trova alla fine con un risultato senza sapere
bene cosa è successo e perché prova l'emozione (o
sentimento) che prova. Il bello è che anche l'agenzia (entità
psicobiologica, essere umano) può provare il sentimento
che prova l'agente in completa dissonanza con ciò che,
in una situazione simile, statisticamente si dovrebbe provare.
Per esempio Costruttore sta per mettere in moto gli agenti che
costruiranno la torre di cubetti ma una paura, anzi un'angoscia
indicibile, gli impedisce di girare la chiavetta della messa in
moto. Il problema è che quasi sempre la machina è
già partita e Costruttore (Homo faber) si trova a dover
mettere in moto una moltitudine di altri agenti per gestire la
paura (preferisco parlare di paura anche se non è un termine
molto preciso, perché è di uso comune, molto più
di ansia o angoscia).
Quando si verifica una situazione simile, con un linguaggio freudiano
si parla di ritorno del rimosso sotto forma di sintomo e di conseguente
inibizione totale o parziale ad eseguire il compito. Se l'azione
fosse interrotta l'angoscia cesserebbe (ciò che si manifesta
nella fobia) il problema è che nella maggior parte dei
casi, il soggetto Costruttore ha l'intuizione dell'assurdità
della risposta non adeguata allo stimolo e mette in atto delle
procedure per continuare a costruire. Si crea un conflitto tra
agenti, alcuni si fermano intralciando il lavoro che diventa molto
più dispendioso (in termini energetici) mentre altri continuano,
mentre nell'agenzia serpeggia la paura che può trasformarsi
in angoscia, sino al terrore e al marasma.
Se come Osservatore (neutro) ci chiedessimo che cosa sta succedendo,
la risposta più semplice che potremmo darci sarebbe che
Costruttore sta facendo un errore di interpretazione. Inserisce
una variabile pericolosa in un compito in cui essa non esiste
e quindi per eliminare la sua paura basterà spiegargli
il fenomeno nei particolari del suo svolgimento. Ma se esso ci
darà la dimostrazione di conoscere perfettamente le procedure,
di essere al corrente della non pericolosità dell'operazione
ma di provare lo stesso una grande paura, saremo costretti a ipotizzare
almeno due possibili soluzioni. La prima è che la paura
del Costruttore, provenga da uno (o più) tra i suoi agenti
di cui egli non conosce l'esistenza (una delle sue microscopiche
menti ha paura), l'altra è che nessun agente abbia paura
ma che l'esperienza di paura esista nelle vie di interconnessione
tra agenti ed interazione tra le agenzie. In altre parole che
l'esperienza che ingenera il vissuto di pericolo imminente e quindi
la paura, come difesa, esista come energia potenziale di un'azione
non espressa in quanto pericolosa, in una delle tracce (strade)
che gli agenti percorrono.
E' il non espresso che si sta per esprimere che ingenera la paura.
La metafora che penso è una strada con un bivio e una gamba
alzata nel passo, che se calasse, forse, si poggerebbe su una
mina antiuomo. La mina è ormai anacronistica ma la paura
che serve a non abbassare la gamba è rimasta sul posto:
è "verdrängen" cioè non-mossa, o
come si dice impropriamente, rimossa.
© Nicola Peluffo
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