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Scienza e psicoanalisi
 EDITORIALE
Gli editoriali del Prof. Nicola Peluffo
Articolo di Nicola Peluffo  
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Effetti d’un sogno interrotto

21 febbraio 2007

“Effetti di un sogno interrotto“ è il titolo di una delle ultime dodici novelle composte da L. Pirandello tra il 1931 e il 1936, pubblicata postuma nel 1937.
La lettura di questa novella ha stimolato in me alcuni pensieri, in sé banali, ma che desidero esporre.
Il numero di ore che si passa in una vita di media durata (70 anni), dormendo in media 7 ore al giorno, è imponente: 178.850. Se consideriamo che un sognatore, costruisca due sogni a senso compiuto ogni notte, in una vita di 70 anni avrà prodotto 357.500 sogni.
Si sogna prevalentemente durante la fase R.E.M.; un periodo che copre circa il 20% del sonno, durante le altre fasi la percentuale di sogni è molto bassa ma la possibilità di sognare non cessa. Infatti l’incubo, di cui tutti conoscono la definizione, non si forma in fase R.E.M. bensì in fase di sonno lento; un periodo in cui la motricità dell’addormentato non è ancora totalmente inibita e quindi l’impressione di veridicità di ciò che si sogna è viva al punto di non lasciarci distinguere la fantasia onirica (il sogno) da quella di veglia. Questo per dire che, in definitiva, il dormiente sogna sempre durante il sonno, e che i sogni che ricorda sono quelli “ben riusciti” da un punto di vista delle rappresentazioni “ben formate” che possono essere tradotte, tramite l’elaborazione secondaria, in una “fabula” comunicabile a se stesso e all’altro.
I sogni poco riusciti, a livello del dormiente adulto, sono quelli basati su tracce sensorio-motorie che non pervengono a vincolarsi in una proto-rappresentazione linguistica (disegni o parole) e che tuttavia riescono ad eliminare la tensione in modo sensorio-motorio e potrei dire cellulare. Ciò che fallisce, in tale caso, è il meccanismo di traduzione da un livello espressivo ad un altro più astratto.

II

Se vogliamo antropomorfizzare, il tecnico che compie il lavoro, possiamo ancora una volta far ricorso al Bimbo (il piccolo me di Pirandello) che cresce con il livello di rappresentabilità del sogno e che a seconda del livello in cui opera tenterà di usare delle rappresentazioni diverse: gestuali, figurative (disegni, espressioni sonore), linguistiche (parole, frasi).
La struttura di questo Bimbo è energetico-pulsionale, esiste apparentemente in un ambiente psico-biologico, ed ha accesso al mondo onirico che è il campo macroscopico di azione durante la sua vita. Come ho scritto in altri lavori, ha i mezzi di accesso alle vicende della veglia, interferisce pesantemente con la vita conscia personale e sociale del Grande me (l’ Adulto) in cui è incistato. Quel Bimbo è, per esempio, tutti i personaggi di un sogno, o di una novella che lo mette in scena a vari livelli di sviluppo. Pirandello docet, e con i suoi Sei personaggi in cerca di autore, ha spaventato moltissimo, alla prima rappresentazione, gli spettatori impreparati a che non ci fosse più una netta separazione tra la Scena e la Vita, tra il Bimbo e l’Adulto. Allo stesso modo si è terrorizzati quando l’impressione onirica ti “Incombe” e per qualche momento credi sia vera.
Penso che se a Pirandello, la psicoanalisi fosse stata presentata in questo modo non l’avrebbe rifiutata come, apparentemente, faceva. Il suo genio non poteva essere rinchiuso in una teoria rigorosa e in sé un po’ meccanicistica e la “relatività“ delle manifestazioni della psiche umana lo permeavano al punto da rifiutare di considerare patologia irreversibile i deliri, i pensieri e le manifestazione di follia della moglie; cercava di scoprirne i significati più intimi e di capirne i nessi. In effetti era molto più freudiano di ciò che egli pensasse, anzi direi che era un grande psicoanalista naturale. In Germania, Einstein andò a fargli visita in teatro e gli disse “Noi siamo parenti”. Una parentela psichica simile a quella di cui noi parliamo in Micropsicoanalisi.
M. Guglielminetti nel suo trattato “Pirandello“ (ed. Salerno, pg. 370) scrive: “Discorrendo di Non si sa come, Pirandello stesso pone la domanda circa l’eventuale conoscenza della dottrina freudiana, in data 20-30 dicembre 1935: «Ho forse voluto invitare il pubblico, a discutere ancora una volta, le idee di Freud? E sono forse io un freudista? Ma no: il mio personaggio si ribella contro il freudismo, vuole anzi acquistare piena coscienza di questo più vasto mondo che ci è intorno e farsi una morale meno angusta e più alta di quella quotidiana...».
Eppure era un “freudista“ ma non poteva ammettere di essere seguace di nessuno. In effetti, era veramente un Maestro, anche di se stesso.
Quello che aveva scoperto rispetto all’essere e al divenire della mente umana, anche se risuonava psicoanalitico, era suo.
L’uso del sogno per nutrire i suoi temi in bilico tra la realtà e la fantasia teneva conto dei resti diurni (gli accadimenti, le immagini, i pensieri, i desideri della veglia) che contribuivano alla produzione del sogno stesso e, elemento per me molto importante perché molto più tardi sarà formulato dalla micropsicoanalisi, non trascurava i resti notturni. Cioè quelle parti del sogno non ab-onirizzate (private della loro energia) durante il sonno che S. Fanti verifica essere le guide dei pensieri e delle azioni della giornata.
Ne è un esempio di una chiarezza assoluta la novella Effetti di un sogno interrotto di cui sto per dire.
La novella di Pirandello Effetti di un sogno interrotto racconta la storia di un personaggio, immagino un intellettuale, che vive nella casa di un amico, fuggito in America per debiti, in una sorta di disordine artistico e polveroso. Di fronte al letto, sulla mensola di marmo annerito del camino, è appeso un quadro settecentesco “mezzo affumicato“che rappresenta la Maddalena in penitenza. Un bel quadro. “La figura, grande al vero è sdraiata a bocconi in una grotta; un braccio appoggiato sul gomito sorregge la testa; gli occhi abbassati sono intenti a leggere un libro al lume di una lucerna posata a terra accanto a un teschio. Certo, il volto, il magnifico volume dei fulvi capelli sciolti, una spalla e il seno scoperti, al caldo lume di quella lucerna, sono bellissimi “.

MaddalenaUn antiquario che frequenta la casa è attratto da quel quadro; ha l’impressione che quella Maddalena somigli moltissimo alla moglie di un signore, morta da poco tempo. La vista del quadro sconvolge quel Signore che lo vorrebbe comperare a qualsiasi prezzo; anzi è furiosamente geloso delle nudità della Maddalena-moglie. Il nostro personaggio principale, non può venderlo (lo farebbe volentieri per ricuperare parte del suo credito) ma è onesto, e non può. I due visitatori vanno via e il futuro sognatore va a letto ancora sotto l’impressione della violenta scenata di gelosia del vedovo, e... “Io ne rimasi talmente impressionato che la notte me lo sognai “.
Penso valga la pena citare l’intero brano riguardante il sogno.

“Il sogno, a dir più precisamente, dovette avvenire nelle prime ore del mattino e proprio nel momento che un improvviso fracasso davanti all’uscio della camera, d’una zuffa di gatti che m’entrano in casa non so di dove, forse attratti dai tanti topi che l’hanno invasa, mi svegliò di soprassalto”.

Come si può notare la prima impressione del sogno è quella di un’invasione. I gatti, attratti dai topi, gli entrano in casa. Cioè i fantasmi si preparano ad invaderlo.

“Effetto del sogno così di colpo interrotto fu che i fantasmi di esso, voglio dire quel signore a lutto e l’immagine della Maddalena diventata sua moglie, forse non ebbero tempo a rientrare in me e rimasero fuori nell’altra parte della camera oltre le colonne, dove io nel sogno li vedevo; dimodoché, quando al fracasso springai dal letto e con una strappata scostai il cortinaggio, potei intravedere confusamente un viluppo di carni e panni rossi e turchini avventarsi alla mensola del cammino per ricomporsi nel quadro in un baleno; e sul divano, tra tutti quei cuscini scomposti, lui, quel signore, nell’ atto che, da disteso, si levava per mettersi seduto, non più vestito di nero ma in pigiama di seta celeste a righine bianche e blu, che alla luce man mano crescente delle due finestrette s’andava dissolvendo nella forma e nei colori di quei cuscini e svaniva.
Non voglio spiegare ciò che non si spiega. Nessuno è mai riuscito a penetrare il mistero dei sogni. Il fatto è che alzando gli occhi, turbatissimo, a riguardare il quadro sulla mensola del camino, io vidi chiarissimamente vidi per un attimo gli occhi della Maddalena farsi vivi, sollevare le palpebre dalla lettura e gettandomi uno sguardo vivo, ridente di tenera diabolica malizia. Forse gli occhi sognati della moglie morta di quel signore che per un attimo si animarono in quelli dipinti dell’immagine”

Il sognatore, come succede in questi casi in cui il Bimbo ti fa gli scherzi, è terrorizzato: gli occhi della Maddalena sono oramai i soliti occhi dipinti, fermi, intenti alla lettura, ma egli ha l’impressione che quando non guarda si aprano e esprimano il loro invito malizioso. “Non potei più restare in casa“. Va di corsa dall’antiquario per proporre a quel signore di affittare la casa dell’amico, per stare vicino al quadro, e con uno stupore infinito si rende conto che il vedovo indossa lo stesso pigiama che aveva nel sogno. Gli grida “Lei torna da casa mia... Lei è stato questa notte a casa mia... si a casa mia in sogno c’è stato davvero...e sua moglie è scesa dal quadro...Io l’ho sorpresa che vi rientrava “.

A poco a poco l’Adulto riprende il sopravvento e cerca di darsi una spiegazione : “L’incontro del mio sogno con il suo...Ma io non posso più stare in quella casa con lei che ci viene in sogno e sua moglie che m’apre e chiude gli occhi dal quadro...Vada dunque a ripigliarsi la sua immagine rimasta a casa mia “.
La vicenda viene chiusa dall’Antiquario con una frase banale e rassicurante : “...Allucinazioni signori miei allucinazioni...”
Il commento finale di Pirandello è : “Quanto sono cari questi uomini sodi che davanti a un fatto che non si spiega, trovano subito una parola che non dice nulla e in cui così facilmente s’acquetano. Allucinazioni”.

III

Non si tratta di allucinazioni ma di un interpretazione del fenomeno di tipo infantile che il Bimbo suggerisce all’Adulto. Le prime spiegazioni che i bambini di tre o quattro anni danno alle domande sulla natura del sogno sono di quel tipo: il sogno è nella camera, fuori dal sognatore che lo vede sul muro, solo più tardi capiranno che il sogno “è nella testa”.
I personaggi del sogno sono oggettivizzati e quindi, in una fase ipnopompica i personaggi vanno e vengono dal sogno-quadro.
È più difficile spiegare la contemporaneità del sogno anche se è possibile facendo ricorso alla contemporaneità del desiderio: entrambi, il sognatore e il vedovo (anch’esso sognatore), desiderano la bella Maddalena e la sognano. Cioè realizzano un loro desiderio, in realtà, impossibile da esaudire poiché la donna non solo è la figura di un quadro ma è anche morta. Il sogno è l’unica via per realizzare il loro desiderio.
Le entità psichiche che agiscono nel sogno possono benissimo incontrarsi poiché vivono energeticamente in un palcoscenico vuoto dove sono “Personaggi in cerca di autore“. L’Autore li riceve dal sogno come resti notturni e... “ Non si sa come”.
Una spiegazione, pienamente micropsicoanalitica, potrebbe essere che attraverso la continuità del vuoto, qualsiasi entità onirica (un pochino di energia identificata) può incontrarsi, anzi scontrarsi, con qualsiasi altra, ad ogni livello di strutturazione psico-materiale.
Un’altra delle sue Novelle: Tu ridi (1912, p. vol. II, pp. 397-398), testimonia la propensione psicoanalitica “naturale“ di Pirandello. Per la verità bisogna anche dire che era un conoscitore ed estimatore del pensiero di A. Binet e che, come ricorda M. Guglielminetti (op. cit. pag. 120), il libro, Les altérations de la personalité , ricco di esperimenti oltre che di ragionamenti, lo conforta rispetto ai suoi esperimenti sulla sovradeterminazione dell’io, che, ben lungi dall’essere un’unità inscindibile, è “...un aggregato temporaneo scindibile e modificabile di varii stati di coscienza più o meno chiari “ (in M.G. op. cit. pag 120)
A proposito di ”Tu ridi”, racconto il fatto per chi ancora non lo conosce.
Uno dei protagonisti, il signor Anselmo, che, come sovente accade nelle novelle di Pirandello è tormentato dalle disgrazie, pensa che la consolazione, il nascondiglio della felicità, il luogo del ridere, sia il sogno, finché :

“Purtroppo, però, anche questa illusione doveva perdere il signor Anselmo.
Gli avvenne una volta, per combinazione, di ricordarsi d'uno dei sogni, che lo facevano tanto ridere ogni notte:
Ecco: vedeva un'ampia scalinata, per la quale saliva con molto stento,
appoggiato al bastone, un certo Torella, suo vecchio compagno d'ufficio, dalle gambe a roncolo. Dietro al Torella, saliva svelto il suo capo-ufficio, cavalier Ridotti, il quale si divertiva crudelmente a dar col bastone sul bastone di Torella che, per via di quelle sue gambe a roncolo, aveva bisogno, salendo, d'appoggiarsi solidamente al bastone. Alla fine, quel pover'uomo di Torella, non potendone più, si chinava, s'afferrava con ambo le mani a un gradino della scalinata e si metteva a sparar calci, come un mulo, contro il cavalier Ridotti. Questi sghignazzava e, scansando abilmente quei calci, cercava di cacciare la punta del suo crudele bastone nel deretano esposto del povero Torella, là, proprio nel mezzo, e alla fine ci riusciva.
A tal vista, il signor Anselmo, svegliandosi, col riso rassegato d'improvviso su le labbra, sentì cascarsi l'anima e il fiato. Oh Dio, per questo dunque rideva? per siffatte scempiaggini?
Contrasse la bocca, in una smorfia di profondo disgusto, e rimase a guardare innanzi a sé.
Per questo rideva! Questa era tutta la felicità, che aveva creduto di godere nei sogni! Oh Dio... Oh Dio... Se non che, lo spirito filosofico, che già da parecchi anni gli discorreva dentro, anche questa volta gli venne in soccorso, e gli dimostrò che, via, era ben naturale che ridesse di stupidaggini. Di che voleva ridere? Nelle sue condizioni, bisognava pure che diventasse stupido, per ridere“.

Mi sembra che anche qui sia il Bimbo (il piccolo me) a ridere. Per il Bimbo, quel gioco lungo le scale, era certamente fonte di felicità e di allegria. Per dirla con Freud, è il Babbo che gioca con il Bimbo (e viceversa) e lo stimola in quel punto (lo sfintere anale) che è una zona erogena del periodo anale e ciò che in sé potrebbe sembrare spiacevole ed insulso per un adulto, invece è la realizzazione, solo un poco mascherata, di un desiderio dell’infanzia. E’ un gioco aggressivo - sessuale in cui il tormentato si ribella al tormentatore alla ricerca di un’impossibile vittoria e deve subire “l’affronto” che tuttavia, sia pur in maniera regressiva, soddisfa il suo desiderio di impadronirsi del padre-aguzzino tramite la passività.
Concludo questi pochi ragionamenti, dicendo che quando si parla della storia della psicoanalisi in Italia (e nel mondo) bisognerebbe inserire anche L. Pirandello. Egli, probabilmente, non sarebbe d’accordo; cercherò in uno studio più ampio di dimostrare questo mio punto di vista, posso però affermare che con il nostro grande genio agrigentino lo “spirito” della psicoanalisi, non nella teoria di Freud o di altri, ma nella sua intima essenza, ha preso il premio Nobel. Eravamo nel 1934, l’anno in cui Freud inizia la sua ultima, più faticosa opera, su un altro aspetto dello sviluppo della spiritualità umana, che sarà pubblicata nel 1937 con il titolo “L’uomo Mosé e la religione monoteistica” e si prepara al suo Esodo.

 

© Nicola Peluffo

Bibliografia:

L. Pirandello, Tu ridi, Novelle per un anno, a cura di Mario Costanzo, Milano, Mondadori, 1985-90, (prima ed. 1912)
L. Pirandello, Effetti di un sogno interrotto, Ultime Novelle, B.I.T., Milano, 1995
N. Peluffo, Le manifestazioni del Bimbo nella dinamica transfert-controtransfert, in Scienza e Psicoanalisi - Rivista multimediale, settembre 2006.
S. Freud, L’uomo Mosé e la religione monoteistica : tre saggi, Freud , Opere, vol. 11, Boringhieri, Torino
S. Fanti, P. Codoni, D. Lysek, Dizionario di psicoanalisi e Micropsicoanalisi, Borla , Roma, 1984
M. Guglielminetti, Pirandello, Salerno editrice, Roma, 2006

     
 

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