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La rappresentazione del mondo nella Grecia arcaica.
Capitolo 2.
29 ottobre 2007
Terra piatta
Già i babilonesi avevano rappresentato la terra come un disco piatto, circondato da un fiume, come testimonia la Babylonian World map, datata intorno al quinto secolo avanti Cristo. Questa tavoletta mostra una terra al cui centro si trova la città di Babilonia, contornata da un gran fiume e sette isole che indicano altrettanti territori lontani. I testi della tavoletta indicano anche delle costellazioni animali che nel descrivere il cielo evocano antiche divinità spodestate. 1
Il cosmo greco dell’epoca arcaica è descritto come una terra piatta circondata da un gran fiume, alla quale è sovrapposta una semisfera celeste. Molti autori concordano nel ritenere che tale rappresentazione sia di derivazione babilonese. 2
Per percorrere questo spazio seguiamo il corso del sole.
Il corso del sole
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3. Musei Vaticani |
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Elio, il dio sole, è rappresentato con caratteristiche umane, un essere “infaticabile”, un instancabile auriga che all’origine conduceva un carro trainato da buoi 3 e solo più tardi da cavalli infuocati. Secondo Pindaro il fatto che egli tramontasse ogni sera indicava la sua sovranità su altre genti, che abitavano un altro lato della terra, vivi o morti, oppure il suo viaggio nelle profondità della Notte, verso la madre, la sposa ed i figli. Il sole stesso, infuriato per l’uccisione delle sue bestie reclama vendetta contro i compagni di Ulisse segnalando la sua possibilità di illuminare altri luoghi della terra: “Se non mi pagheranno la giusta pena, calerò nell’Ade e brillerò tra i morti”.4
Elio è figlio del Titano Iperione e di Tea, figure nelle quali si può riconoscere il sole stesso al momento dello zenit (iperion) e la luna nel suo aspetto di astro splendente.
E’ quindi un dio che si genera da se stesso. La sua sposa, Perseide, o Neera, rimanda alla luna nuova, ovvero alla luna nella sua connotazione infera, oscura. Eos, l’aurora, sorella insieme a Selene di Elio, lo precede al suo sorgere, andando su un carro solare vero e proprio. Anche Selene ha il suo carro, anticamente trainato da buoi.
Due tra le figlie del sole, altri connotati della luce (“colei che illumina” e “colei che splende”) custodivano i trecentocinquanta buoi sull’isola Trinacria. Questo numero, secondo Kerényi, corrispondeva a quello dei giorni dell’anno 5 ; si comprende dunque il motivo per cui Elio, adirato con i compagni di Ulisse per l’uccisione dei suoi buoi, sottrasse dal novero dei giorni proprio quello del loro ritorno.
Questo dio all’ora del tramonto saliva su una grande coppa d’oro che lo conduceva tra le onde del fiume Oceano, dai luoghi delle Esperidi fino ad Oriente nel paese degli Etiopi, dove era pronto il carro ed i cavalli alati per ricondurlo in cielo.
La coppa d’oro, la stessa che userà Eracle, descrive una stupenda immagine del tramonto che infuoca il mare e subito inghiotte il sole, mentre le diverse rappresentazioni della luce vespertina sono affidate alle Esperidi, il cui nome indica l’oscurarsi della terra, imparentato etimologicamente con erebu, ovvero Occidente, ma anche luogo della profonda oscurità. Ad Eos, ai carri solari, ai cavalli alati il compito di raffigurare il trionfo del giorno sulla notte.
Oceano è il primo Titano, il più antico, il padre degli dei. Primogenito di Urano, il cielo e di Gea, la madre terra. Con Teti generò tremila fiumi, quattromila Oceanine, quattromila sorgenti. Egli fluisce in se stesso agli estremi margini della terra; dalle sue acque il sole sorge e tramonta.
Il tramonto avviene al di là di Oceano presso il giardino delle Esperidi, nei territori di Notte, di cui sono figlie, e dove esse custodiscono l’albero dai pomi d’oro, dono di Gea per le nozze di Era e Zeus. Il nome delle Esperidi ricorda la sera, il tramonto: “la serale”, “la luce”, “la rossastra”, “il folgorio”.
Il giardino delle Esperidi sorge vicino alle colonne d’Ercole, di fronte al punto in cui il Titano Atlante sorregge la volta stellata dominando le colonne che separano cielo e terra. Esiodo 6 : “E avvolta da livide nuvole, la casa terribile della Notte oscura s’innalza. Di fronte ad essa il figlio di Giapeto (Atlantendr) tiene il cielo ampio reggendolo con la testa e le infaticabili braccia, saldo là dove Notte e Giorno venendo vicini, si salutano passando alterni il gran limite di bronzo, l’uno per scendere, l’altro attraverso la porta esce, sempre l’uno fuori della casa la terra percorre, e l’altro nella casa aspetta l’ora del suo viaggio”.
Una bella immagine ci viene dall’Atlante Farnese, che rappresenta il Titano nell’atto di sorreggere la volta celeste, rappresentata come una sfera. La statua risale al II secolo dopo Cristo,. ma si suppone sia una copia di un originale greco del III secolo a.C. Almeno in teoria Atlante dovrebbe sorreggere una semisfera essendo egli appoggiato alla terra; la sfera qui scolpita evoca quindi una rappresentazione condensata, come si vedrà più avanti.
Un limite estremo del mondo, cui va associato il suo opposto, quello a Oriente, nel Caucaso, dove giace incatenato Prometeo, il Titano fratello di Atlante. Due luoghi che indicano i limiti del corso solare, ma anche quelli del mondo conosciuto; numerosi i dibattiti per stabilire dove gli antichi situassero le Colonne d’Ercole. 7
Il viaggio diurno del sole tuttavia si compie sui territori conosciuti dai greci arcaici; vediamolo seguendo le ricerche di Ballabriga 8 ed iniziamo con le parole proferite a Ulisse dal porcaio Eumeo: “C’è un isola che chiamano Siria, è situata al di là di Ortigia, là dove il sole gira”. 9
Gira per tramontare, come anche si comprende in un altro passo che descrive il paese dei Cimmeri, sempre avvolto da foschie e nuvole: ”Né mai li contempla con i suoi raggi il sole fulgente, né quando sale verso il cielo stellato, né quando dal cielo si volge indietro verso la terra”. 10
Ballabriga prende in considerazione varie fonti e commenta: “Questo punto centrale, questo zenit da cui il sole gira, si trova sulla verticale di Ortigia (ovvero di Delos), che funziona allora come un centro cosmico nel cuore delle Cicladi e delle terre greche, a uguale distanza dai paesi favolosi del sole, ai confini del mondo, Asia, Esperidi e i due paesi degli Etiopi, quello di levante e quello di occidente.” 11
Il viaggio solare comincia quindi a precisarsi; tra le pieghe dei versi di Omero, i racconti di Esiodo e le immagini, si delinea un percorso che certo segue un’ellittica ma non è rappresentato in tal modo, quanto piuttosto come un cammino che ha i suoi punti, le svolte, i mezzi di locomozione, i riferimenti più o meno espliciti a paesi reali, mescolati a descrizioni di mondi fantastici.
Il fatto che in molti versi sia descritto girare, oltre che segnalare i punti geografici maggiormente significativi, evoca il cammino di un carro più che il corso di un astro; un altro esempio di condensazione di un’esperienza umana nella rappresentazione di un fenomeno fisico. Vediamo inoltre in azione il meccanismo dello spostamento che antropomorfizza il corso del sole presentandolo come il cammino di un carro.
Un’esperienza – quella umana - che serve per costruire un’immagine certa e chiara anche per il corso del sole e successivamente diviene il calco, la forma di una trasposizione mitica del medesimo fenomeno. Appare dunque un processo bifasico, in cui si associano elementi sensoriali antropomorfizzati a fenomeni naturali (come il carro solare), i quali fungono da modello per una costruzione mitica che diviene in seguito un sistema di memoria. Memoria geografica, astronomica, temporale. Questa stessa memoria condenserà a sua volta aspetti della cosmografia mitica e della genealogia fantastica; luoghi, costellazioni e astri assorbiranno i dati dl mitologie raccontando le vicende delle divinità, e li mescoleranno ai racconti sugli eroi e sulle storie umane.
In una così estrema condensazione, in cui il sole é dio padre di stesso, la progenie rappresenta diverse fasi solari e lunari, i suoi armenti evocano un calendario, appaiono echi di una geografia conosciuta dai Greci, tracce di intuizioni ed osservazioni, sebbene raccontate in una lingua diversa da quella che useranno i grandi scienziati di Mileto, Talete Anassimandro e Anassimene, fra il VII e il VI secolo a.C.12
Gli “ionici” furono tutti filosofi e scienziati, nel senso che su basi di esperienza tecnica, dal calcolo matematico all’osservazione astronomica, alla cartografia geografica, con uno sforzo di semplificazione logico-razionale, che abbandonava le mitografie, ritennero di individuare un principio fisico unitario (acqua o umidità, lo spazio infinito ovvero apeiron, l’aria) all’origine e come fondamento dell’ordine naturale.
Principi materiali di una physis concepita come realtà naturale (animata) in movimento. 13
Per Anassimandro la terra diverrà una colonna tronca, che si trova in mezzo al cosmo; essa rimane immobile perché é posta a eguale distanza da tutti i punti della circonferenza celeste. Abbiamo quindi, secondo Vernant, già una concezione sferica dell’universo.
Lasciando da parte le infinite discussioni sulla “geografia omerica”, Ballabriga introduce la sua ipotesi che vede in atto, nella poesia epica, una distinzione tra i quattro punti che segnano i due luoghi in cui il sole sorge in estate ed inverno ed i due luoghi del tramonto. Il sole che sorge sulla Grecia “gira” sulla città degli Etiopi situata ai confini dell’universo nella direzione del levante invernale, mentre il levante estivo, quello del solstizio, lo vedrà in Scitia e Colchide. Pilos è la porta d’occidente. Più in là il grande fiume Oceano da cui escono tutti i fiumi, i mari, le sorgenti e le acque dei pozzi. 14
Note:
1 Cfr. O.A.W. Dilke, Greek and Roman Maps
2 Cfr.F.Prontera, “Il Mediteraneo come quadro della storia greca“, in: ”I Greci“, Vol. 2, I: Formazione, Einaudi, Torino, 1996.
3 Cfr. K. Kerényi, Die Mythologie der Griechen, tr. It. Gli dei e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano, 1963
4 Odissea, XII, 382.
5 Contati unendo i dodici mesi lunari in un anno solare incompleto. Kerényi, Op. cit.
6 Esiodo, Teogonia, vv 744-754
7 Cfr. S. Frau, Le colonne d’Ercole, ed. Nur Neon, Roma, 2002.
A. Ballabriga, Le Soleil et le Tartare, Ed. de L’EHESS, Paris, 1986.
Od. XV, 403-414.
Od. XI, 14-16.
Ballabriga, Op. cit. pag 21, traduzione mia.
Cfr. G.Loria, Le scienze esatte nell’antica Grecia, Hoepli, Milano, 1987.
K. Popper tesse le lodi dei presocratici, a cominciare dai cosmologi ionici, in particolare di Anassimandro, geniale scopritore della idea che “la terra… non è trattenuta da nulla, ma sta ferma per il fatto che è ugualmente distante da tutte le altre cose”: in altri termini della “libera sospensione della terra nello spazio”, sia pure immaginata di forma cilindrica anziché sferica. Scriveva Popper: “Questa concezione di Anassimandro è a mio avviso una delle più audaci, rivoluzionarie e portentose idee di tutta la storia del pensiero umano. Essa rese possibili le teorie di Aristarco e di Copernico ” (pag. 239). K. Popper, (1969), tr. it. Congetture e confutazioni, Il Mulino, 1972..
Iliade, XXI, 194-197.
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