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Direttore scientifico: Prof. Nicola Peluffo | Direttore editoriale: Dott. Quirino Zangrilli 
Scienza e Psicoanalisi
 INFANZIA
Infanzia e Adolescenza
Articolo di Daniela Marenco  
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Genitore ideale, bambino ideale

6 marzo 2001

Vorrei iniziare il discorso , leggendo il canovaccio di una nota pubblicità .
Mattinata assolata, due graziosi bambini, accuratamente puliti e pettinati, entrano in cucina, al tavolo, seduto, il padre fa tranquillamente colazione, entrambi i bambini si siedono e la madre, inappuntabile, ben vestita, pettinata e truccata serve dei biscotti, tutti mangiano tranquillamente senza fretta, quindi il padre chiama i bambini che prendono i loro zaini perfettamente in ordine, con presumibilmente tutti i compiti fatti, e senza fretta escono dalla stanza: il padre li accompagna a scuola. La cucina è linda, la madre allegra e per niente affaticata.
Non credo che esista nella realtà una famiglia simile. Una famiglia in cui gli orari di lavoro di entrambi i genitori coincidono perfettamente con gli orari di due scuole diverse, in cui i figli non hanno mai compiti da fare all’ultimo minuto o lezioni da ripassare, nella quale i bambini si lavano, pettinano, vestono accuratamente prima di fare colazione, nella quale i genitori hanno tutto l’agio di vestirsi, truccarsi , dare un occhiata al giornale e preparare con tranquillità la colazione, quindi sedersi comodamente a tavola.
La colazione, in Italia, è per antonomasia il pasto più veloce, contrassegnato spesso da sollecitazioni imperiose del tipo “spicciati che sei in ritardo”, “esci fuori dal bagno”, “hai fatto tutti i compiti?”. Eppure questa pubblicità ha imperversato per anni sui nostri televisori ed ha fatto la fortuna di questa industria dolciaria.
Perché? La risposta è lapalissiana, perché in questo modo i biscotti si vendono. Ma perché si vendono?
Un’ipotesi è che a livello subliminale, profondo questo spot tocchi i telespettatori, stimolandoli all’acquisto. Qual è il meccanismo? E’ possibile che questa pubblicità faccia leva su un senso di inadeguatezza.
Nessuno riesce ad essere così ideale, ed è così piacevole vedere una famiglia così amorevole e serena, guardando queste immagini scatta a livello profondo un senso di colpa, e allora, dato che per l’inconscio una parte equivale il tutto, vale a dire la soddisfazione di una parte del desiderio, anche inessenziale, equivale alla soddisfazione del desiderio nel suo complesso, meccanicamente al super - mercato si mette nel carrello questi biscotti anziché altri.
Una piccola riparazione per noi e la nostra famiglia, un modo per sentirci un po’ più simili a questo ideale.
Mi sono soffermata su questa pubblicità per introdurre un concetto psicoanalitico, quello di Ideale dell’Io, istanza psichica della personalità, per buona parte inconscia che condiziona inconsapevolmente il nostro agire sia in situazioni banali e quotidiane come quella che ho prima descritto (non tanto banale se però si pensa che su questo giochetto si sono investiti miliardi), sia in momenti soggettivamente più importanti della vita dell’individuo e di quella della sua famiglia: pensiamo all’iscrizione dei figli ad una scuola, ad esempio, od ai “desiderata” dei genitori rispetto alle attività estrascolastiche.
Inizierò definendo brevemente, secondo Freud e la psicoanalisi, il concetto di Ideale dell’Io per poi illustrare sinteticamente lo sviluppo e il consolidamento di questa istanza psichica.
Per Freud , l’Ideale dell’Io è un istanza della personalità, risultante dalla convergenza del narcisismo cioè l’idealizzazione dell’Io e le identificazioni con i genitori, con il loro sostituti e gli ideali collettivi. L’Ideale dell’Io costituisce un modello a cui il soggetto cerca di conformarsi.
L’identificazione è un processo psicologico attraverso cui un soggetto assimila un aspetto, una proprietà, un attributo di un altra persona e si trasforma, totalmente o parzialmente, sul modello di quest’ultimo. La personalità adulta si costituisce e si differenzia attraverso una serie di identificazioni, attuate prevalentemente nella prima infanzia.
Vale a dire ognuno di noi è una miscellanea particolare ed unica, nella sua strutturazione, di identificazioni successive, così come ognuno di noi fisicamente è una miscellanea particolare ed unica dei geni dell’umanità in generale e dei propri antenati in particolare.
Voglio ancora sottolineare il fatto che le identificazioni che portano alla costruzione dell’ideale dell’Io sono identificazioni con personaggi idealizzati, vale a dire, che in questo processo psichico, le qualità e il valore dell’oggetto sono portati al grado di perfezione.
Secondo Freud il senso di inferiorità deriva appunto dal confronto e lo scontro tra l’Io e l’Ideale dell’Io, istanza amata a cui si tende a conformarsi, senza però mai raggiungerla.
Quando si forma l’Ideale dell’Io?
La fine della piccola infanzia è contrassegnata dallo strutturarsi del Super-io, di cui l’ideale dell’Io fa parte, con funzioni parzialmente autonome.
E’ proprio in età di latenza (sei anni fino alla pubertà) che l’Ideale dell’Io si consolida. Il periodo di latenza fornisce al bambino e consolida quelle acquisizioni dell’Io che lo preparano per l’intensificazione pulsionale tipica del periodo puberale e i suoi conseguenti conflitti emotivi.
In altri termini, la latenza prepara il bambino al compito di distribuire l’afflusso di energie su tutti i livelli di funzionamento della personalità che si elaborano proprio in questo periodo. Egli diviene capace man mano di convogliare l’energia istintuale su strutture psichiche differenziate e su molteplici attività a dimensione psicosociale, invece di doverla sperimentare esclusivamente sotto forma di aumentata tensione sessuale od aggressiva (ad esempio, l’agonismo sportivo come valvola di sfogo della tensione a tonalità aggressiva).
Questo cambiamento, secondo Freud, è promosso dal fatto che l’individuo rinuncia parzialmente ai desideri edipici della prima infanzia, sostituendoli con identificazioni. L’interiorizzazione delle figure genitoriali, compreso la loro funzione superegoica fa sì che i regolatori della tensione diventino sempre più interni. Ciò avviene attraverso l’interiorizzazione delle figure parentali cioè l’assimilarsi ad alcuni loro aspetti, precetti morali, ideali, modalità di comportamento, filtrati, e variamente modificati, dal vissuto personale del bambino derivato dalla sua precedente storia relazionale ed affettiva.
Per Peter Blos nella latenza la dipendenza dalla rassicurazione parentale per quanto riguarda i sentimenti di valore e di importanza viene progressivamente sostituita da un senso di autostima derivato da conquiste e capacità che ottengono un’approvazione sociale.
Queste risorse interne del bambino si affiancano alla persona dei genitori come regolatori dell’autostima. Con l’affermarsi del Super-io e dell’Ideale dell’Io, il bambino diviene maggiormente capace di mantenere in modo più o meno indipendente e stabile il proprio equilibrio narcisistico.
Ma è proprio in questo periodo che il bambino esce nel mondo e, attraverso la scuola, le attività estrascolastiche, lo sport, eccetera, si propone alla società in prima persona e viene valutato ed apprezzato per le sue capacità intellettive, fisiche, di socializzazione, sia dagli adulti, sia dagli stessi coetanei.
Cosa succede ai genitori?
Se il bambino vede, nei risultati raggiunti, una conferma o una disconferma delle sue capacità, così spesso i genitori vivono i successi o gli insuccessi dei figli come cartine tornasole delle loro capacità genitoriali: il bambino non riesce a scuola nel modo atteso, è goffo negli sport, è timido, non si è svolto il compito di genitori in modo adeguato.
Se questo discorso si può confutare facilmente dal punto di vista razionale, diventa spesso un assioma dal punto di vista emotivo, esiste un’immagine di bambino ideale nel bambino stesso e nei genitori, ma esiste altresì un immagine di genitore ideale nei genitori stessi (oltre che nel bambino) e il minimo fallimento o anche solo un non adeguato successo, scalfisce questa immagine facendo sentire i genitori come non capaci, non degni dell’ideale.
Nasce un contrasto tra l’Io e l’ideale dell’Io (nel caso dei genitori con la sfaccettatura riguardante la funzione genitoriale idealizzata).
Questo conflitto per essere sedato può spingere a mettere in atto vari comportamenti e a cercare diverse soluzioni dipendenti dalle personalità dei singoli soggetti (madre, padre, figlio), dalle dinamiche relazionali della coppia (marito e moglie) e dalle dinamiche relazionali generazionali ( genitori e figli).
Un tentativo di risoluzione può essere quello di assecondare il bambino nel ritiro nel nucleo familiare, proiettando l’aggressività e la cattiveria tra virgolette nel mondo esterno: il bambino non ha niente che non va, non ci sono problemi, sono gli altri che non capiscono.
Un’altra modalità di agire il conflitto e contemporaneamente negarlo e lo spostamento intempestivo e prematuro da un’attività all’altra, da un corso all’altro: il bambino non riesce in questo proviamo altro, o più cose contemporaneamente. Se questa tattica permette, tra il resto, di negare l’insuccesso perché non ci si lascia il tempo di avere una reale conferma del fallimento o del successo, dall’altra frustra il bambino portandolo ad una disaffezione per le varie attività, disinteresse che porta all’insuccesso, che stimola ulteriormente alla fuga e così via.
Spesso accade che, in parallelo, il bambino si viva come fallimentare.
Se esiste nei genitori un’immagine di genitore ideale, esiste anche nel bambino l’immagine di un figlio ideale. Il non sentirsi adeguato a tale immagine, porta anche in questo caso ad un conflitto intrapsichico e a difese per placarlo. Ecco, ad esempio, il bambino che muta carattere, diventa oppositivo, rifiuta ogni proposta , non studia, non si impegna, fallendo così per cattiva volontà sempre tra virgolette e non per possibile mancanza di capacità. Oppure il bambino musone, irascibile che non ascolta i genitori, li critica spesso aspramente, attaccando apertamente il loro ideale genitoriale. O anche il bambino che somatizza, impedendosi così più o meno parzialmente l’uscita sociale, eccetera.
Certo i sintomi e i comportamenti che ho descritto non sono solo imputabili al conflitto tra Io e Ideale dell’Io, ma questo conflitto può assommarsi ad altri o rinforzarli rendendo il comportamento più rigido o dare maggiore determinazione al formarsi e al perdurare del sintomo o del comportamento.
Non voglio addentrarmi nella psicopatologia, bensì sottolineare come anche nella normalità, nella vita quotidiana, spesso ci troviamo, sia come genitori che come figli, in conflitto con il nostro ideale, e questo conflitto amareggia la vita.
Un Ideale dell’Io rigido, il tentativo ostinato di adeguarvisi sempre ed in ogni caso, non aiuta anzi spesso intralcia non permettendoci di dare il giusto valore alle azioni positive che quotidianamente si eseguono né di godere dei risultati che si ottengono, anche attraverso i figli.
La ricerca dell’adeguamento alla perfezione porta ad essere intransigenti con noi stessi e con i figli.
Se è importante avere aspettative su noi stessi e su chi si ama, si cura e si educa, l’irrigidirsi nel perseguire un modello ideale rende difficile tollerare il dubbio, l’incertezza, l’indecisione. Ma sono proprio il dubbio, l’incertezza gli stati d’animo che ci portano alla riflessione, al ripensamento e quindi alla possibilità della messa in atto di comportamenti inediti, di atteggiamenti inabituali, comportamenti ed atteggiamenti in qualche modo creativi che a volte permettono di risolvere o per lo meno di sboccare situazioni o conflitti interpersonali che parevano immutabili ed insormontabili.
Esistere, essere, come punto di riferimento costante del proprio bambino, adeguarsi allo sviluppo personale del proprio figlio, rispettando le sue caratteristiche e peculiarità, i suoi tempi e i suoi ritmi, introdurlo nel mondo permettendo, da un lato, di comprenderlo man mano, dall’altro di viverlo come stimolante, soddisfacendo così la naturale spinta alla conoscenza del bambino, sono i compiti che si pongono i genitori ( madre e padre) di bambini in età di latenza.
Ebbene Winnicott definisce questo insieme di comportamenti ed atteggiamenti materni con i termini di “madre sufficientemente buona”. Termini che di per sé stessi negano l’idealità per sottolineare invece l’umanità del genitore, la sua possibilità di avere dubbi, di provare sentimenti contrastanti, di sentirsi incerto, insicuro e anche di sbagliare.
Rispetto alla paura di sbagliare, paura che sempre di più attanaglia i genitori odierni, vorrei concludere proprio con una frase di Winnicott: “Una madre può fare, e farà, degli errori, ma, se le serviranno a fare meglio in futuro, questi finiscono col trasformarsi in un arricchimento”.1

© Daniela Marenco

NOTE:

1 D. Winnicott, “Dalla pediatria alla psicoanalisi” , Giunti, 1985 Firenze, pag. 195

     
 

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