Genitore ideale, bambino
ideale
6 marzo 2001
Vorrei iniziare il discorso
, leggendo il canovaccio di una nota pubblicità .
Mattinata assolata, due graziosi bambini, accuratamente puliti
e pettinati, entrano in cucina, al tavolo, seduto, il padre
fa tranquillamente colazione, entrambi i bambini si siedono
e la madre, inappuntabile, ben vestita, pettinata e truccata
serve dei biscotti, tutti mangiano tranquillamente senza fretta,
quindi il padre chiama i bambini che prendono i loro zaini perfettamente
in ordine, con presumibilmente tutti i compiti fatti, e senza
fretta escono dalla stanza: il padre li accompagna a scuola.
La cucina è linda, la madre allegra e per niente affaticata.
Non credo che esista nella realtà una famiglia simile.
Una famiglia in cui gli orari di lavoro di entrambi i genitori
coincidono perfettamente con gli orari di due scuole diverse,
in cui i figli non hanno mai compiti da fare allultimo
minuto o lezioni da ripassare, nella quale i bambini si lavano,
pettinano, vestono accuratamente prima di fare colazione, nella
quale i genitori hanno tutto lagio di vestirsi, truccarsi
, dare un occhiata al giornale e preparare con tranquillità
la colazione, quindi sedersi comodamente a tavola.
La colazione, in Italia, è per antonomasia il pasto più
veloce, contrassegnato spesso da sollecitazioni imperiose del
tipo spicciati che sei in ritardo, esci fuori
dal bagno, hai fatto tutti i compiti?. Eppure
questa pubblicità ha imperversato per anni sui nostri
televisori ed ha fatto la fortuna di questa industria dolciaria.
Perché? La risposta è lapalissiana, perché
in questo modo i biscotti si vendono. Ma perché si vendono?
Unipotesi è che a livello subliminale, profondo
questo spot tocchi i telespettatori, stimolandoli allacquisto.
Qual è il meccanismo? E possibile che questa pubblicità
faccia leva su un senso di inadeguatezza.
Nessuno riesce ad essere così ideale, ed è così
piacevole vedere una famiglia così amorevole e serena,
guardando queste immagini scatta a livello profondo un senso
di colpa, e allora, dato che per linconscio una parte
equivale il tutto, vale a dire la soddisfazione di una parte
del desiderio, anche inessenziale, equivale alla soddisfazione
del desiderio nel suo complesso, meccanicamente al super - mercato
si mette nel carrello questi biscotti anziché altri.
Una piccola riparazione per noi e la nostra famiglia, un modo
per sentirci un po più simili a questo ideale.
Mi sono soffermata su questa pubblicità per introdurre
un concetto psicoanalitico, quello di Ideale dellIo, istanza
psichica della personalità, per buona parte inconscia
che condiziona inconsapevolmente il nostro agire sia in situazioni
banali e quotidiane come quella che ho prima descritto (non
tanto banale se però si pensa che su questo giochetto
si sono investiti miliardi), sia in momenti soggettivamente
più importanti della vita dellindividuo e di quella
della sua famiglia: pensiamo alliscrizione dei figli ad
una scuola, ad esempio, od ai desiderata dei genitori
rispetto alle attività estrascolastiche.
Inizierò definendo brevemente, secondo Freud e la psicoanalisi,
il concetto di Ideale dellIo per poi illustrare sinteticamente
lo sviluppo e il consolidamento di questa istanza psichica.
Per Freud , lIdeale dellIo è un istanza della
personalità, risultante dalla convergenza del narcisismo
cioè lidealizzazione dellIo e le identificazioni
con i genitori, con il loro sostituti e gli ideali collettivi.
LIdeale dellIo costituisce un modello a cui il soggetto
cerca di conformarsi.
Lidentificazione è un processo psicologico attraverso
cui un soggetto assimila un aspetto, una proprietà, un
attributo di un altra persona e si trasforma, totalmente o parzialmente,
sul modello di questultimo. La personalità adulta
si costituisce e si differenzia attraverso una serie di identificazioni,
attuate prevalentemente nella prima infanzia.
Vale a dire ognuno di noi è una miscellanea particolare
ed unica, nella sua strutturazione, di identificazioni successive,
così come ognuno di noi fisicamente è una miscellanea
particolare ed unica dei geni dellumanità in generale
e dei propri antenati in particolare.
Voglio ancora sottolineare il fatto che le identificazioni che
portano alla costruzione dellideale dellIo sono
identificazioni con personaggi idealizzati, vale a dire, che
in questo processo psichico, le qualità e il valore delloggetto
sono portati al grado di perfezione.
Secondo Freud il senso di inferiorità deriva appunto
dal confronto e lo scontro tra lIo e lIdeale dellIo,
istanza amata a cui si tende a conformarsi, senza però
mai raggiungerla.
Quando si forma lIdeale dellIo?
La fine della piccola infanzia è contrassegnata dallo
strutturarsi del Super-io, di cui lideale dellIo
fa parte, con funzioni parzialmente autonome.
E proprio in età di latenza (sei anni fino alla
pubertà) che lIdeale dellIo si consolida.
Il periodo di latenza fornisce al bambino e consolida quelle
acquisizioni dellIo che lo preparano per lintensificazione
pulsionale tipica del periodo puberale e i suoi conseguenti
conflitti emotivi.
In altri termini, la latenza prepara il bambino al compito di
distribuire lafflusso di energie su tutti i livelli di
funzionamento della personalità che si elaborano proprio
in questo periodo. Egli diviene capace man mano di convogliare
lenergia istintuale su strutture psichiche differenziate
e su molteplici attività a dimensione psicosociale, invece
di doverla sperimentare esclusivamente sotto forma di aumentata
tensione sessuale od aggressiva (ad esempio, lagonismo
sportivo come valvola di sfogo della tensione a tonalità
aggressiva).
Questo cambiamento, secondo Freud, è promosso dal fatto
che lindividuo rinuncia parzialmente ai desideri edipici
della prima infanzia, sostituendoli con identificazioni. Linteriorizzazione
delle figure genitoriali, compreso la loro funzione superegoica
fa sì che i regolatori della tensione diventino sempre
più interni. Ciò avviene attraverso linteriorizzazione
delle figure parentali cioè lassimilarsi ad alcuni
loro aspetti, precetti morali, ideali, modalità di comportamento,
filtrati, e variamente modificati, dal vissuto personale del
bambino derivato dalla sua precedente storia relazionale ed
affettiva.
Per Peter Blos nella latenza la dipendenza dalla rassicurazione
parentale per quanto riguarda i sentimenti di valore e di importanza
viene progressivamente sostituita da un senso di autostima derivato
da conquiste e capacità che ottengono unapprovazione
sociale.
Queste risorse interne del bambino si affiancano alla persona
dei genitori come regolatori dellautostima. Con laffermarsi
del Super-io e dellIdeale dellIo, il bambino diviene
maggiormente capace di mantenere in modo più o meno indipendente
e stabile il proprio equilibrio narcisistico.
Ma è proprio in questo periodo che il bambino esce nel
mondo e, attraverso la scuola, le attività estrascolastiche,
lo sport, eccetera, si propone alla società in prima
persona e viene valutato ed apprezzato per le sue capacità
intellettive, fisiche, di socializzazione, sia dagli adulti,
sia dagli stessi coetanei.
Cosa succede ai genitori?
Se il bambino vede, nei risultati raggiunti, una conferma o
una disconferma delle sue capacità, così spesso
i genitori vivono i successi o gli insuccessi dei figli come
cartine tornasole delle loro capacità genitoriali: il
bambino non riesce a scuola nel modo atteso, è goffo
negli sport, è timido, non si è svolto il compito
di genitori in modo adeguato.
Se questo discorso si può confutare facilmente dal punto
di vista razionale, diventa spesso un assioma dal punto di vista
emotivo, esiste unimmagine di bambino ideale nel bambino
stesso e nei genitori, ma esiste altresì un immagine
di genitore ideale nei genitori stessi (oltre che nel bambino)
e il minimo fallimento o anche solo un non adeguato successo,
scalfisce questa immagine facendo sentire i genitori come non
capaci, non degni dellideale.
Nasce un contrasto tra lIo e lideale dellIo
(nel caso dei genitori con la sfaccettatura riguardante la funzione
genitoriale idealizzata).
Questo conflitto per essere sedato può spingere a mettere
in atto vari comportamenti e a cercare diverse soluzioni dipendenti
dalle personalità dei singoli soggetti (madre, padre,
figlio), dalle dinamiche relazionali della coppia (marito e
moglie) e dalle dinamiche relazionali generazionali ( genitori
e figli).
Un tentativo di risoluzione può essere quello di assecondare
il bambino nel ritiro nel nucleo familiare, proiettando laggressività
e la cattiveria tra virgolette nel mondo esterno: il bambino
non ha niente che non va, non ci sono problemi, sono gli altri
che non capiscono.
Unaltra modalità di agire il conflitto e contemporaneamente
negarlo e lo spostamento intempestivo e prematuro da unattività
allaltra, da un corso allaltro: il bambino non riesce
in questo proviamo altro, o più cose contemporaneamente.
Se questa tattica permette, tra il resto, di negare linsuccesso
perché non ci si lascia il tempo di avere una reale conferma
del fallimento o del successo, dallaltra frustra il bambino
portandolo ad una disaffezione per le varie attività,
disinteresse che porta allinsuccesso, che stimola ulteriormente
alla fuga e così via.
Spesso accade che, in parallelo, il bambino si viva come fallimentare.
Se esiste nei genitori unimmagine di genitore ideale,
esiste anche nel bambino limmagine di un figlio ideale.
Il non sentirsi adeguato a tale immagine, porta anche in questo
caso ad un conflitto intrapsichico e a difese per placarlo.
Ecco, ad esempio, il bambino che muta carattere, diventa oppositivo,
rifiuta ogni proposta , non studia, non si impegna, fallendo
così per cattiva volontà sempre tra virgolette
e non per possibile mancanza di capacità. Oppure il bambino
musone, irascibile che non ascolta i genitori, li critica spesso
aspramente, attaccando apertamente il loro ideale genitoriale.
O anche il bambino che somatizza, impedendosi così più
o meno parzialmente luscita sociale, eccetera.
Certo i sintomi e i comportamenti che ho descritto non sono
solo imputabili al conflitto tra Io e Ideale dellIo, ma
questo conflitto può assommarsi ad altri o rinforzarli
rendendo il comportamento più rigido o dare maggiore
determinazione al formarsi e al perdurare del sintomo o del
comportamento.
Non voglio addentrarmi nella psicopatologia, bensì sottolineare
come anche nella normalità, nella vita quotidiana, spesso
ci troviamo, sia come genitori che come figli, in conflitto
con il nostro ideale, e questo conflitto amareggia la vita.
Un Ideale dellIo rigido, il tentativo ostinato di adeguarvisi
sempre ed in ogni caso, non aiuta anzi spesso intralcia non
permettendoci di dare il giusto valore alle azioni positive
che quotidianamente si eseguono né di godere dei risultati
che si ottengono, anche attraverso i figli.
La ricerca delladeguamento alla perfezione porta ad essere
intransigenti con noi stessi e con i figli.
Se è importante avere aspettative su noi stessi e su
chi si ama, si cura e si educa, lirrigidirsi nel perseguire
un modello ideale rende difficile tollerare il dubbio, lincertezza,
lindecisione. Ma sono proprio il dubbio, lincertezza
gli stati danimo che ci portano alla riflessione, al ripensamento
e quindi alla possibilità della messa in atto di comportamenti
inediti, di atteggiamenti inabituali, comportamenti ed atteggiamenti
in qualche modo creativi che a volte permettono di risolvere
o per lo meno di sboccare situazioni o conflitti interpersonali
che parevano immutabili ed insormontabili.
Esistere, essere, come punto di riferimento costante del proprio
bambino, adeguarsi allo sviluppo personale del proprio figlio,
rispettando le sue caratteristiche e peculiarità, i suoi
tempi e i suoi ritmi, introdurlo nel mondo permettendo, da un
lato, di comprenderlo man mano, dallaltro di viverlo come
stimolante, soddisfacendo così la naturale spinta alla
conoscenza del bambino, sono i compiti che si pongono i genitori
( madre e padre) di bambini in età di latenza.
Ebbene Winnicott definisce questo insieme di comportamenti ed
atteggiamenti materni con i termini di madre sufficientemente
buona. Termini che di per sé stessi negano lidealità
per sottolineare invece lumanità del genitore,
la sua possibilità di avere dubbi, di provare sentimenti
contrastanti, di sentirsi incerto, insicuro e anche di sbagliare.
Rispetto alla paura di sbagliare, paura che sempre di più
attanaglia i genitori odierni, vorrei concludere proprio con
una frase di Winnicott: Una madre può fare, e farà,
degli errori, ma, se le serviranno a fare meglio in futuro,
questi finiscono col trasformarsi in un arricchimento.1
© Daniela Marenco
NOTE:
1
D. Winnicott, Dalla pediatria alla psicoanalisi
, Giunti, 1985 Firenze, pag. 195