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Scienza e Psicoanalisi
 INFANZIA
Infanzia e Adolescenza
Articolo di Daniela Marenco  
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Il bambino e la morte:
costruzione del concetto di morte e percezione endopsichica inconscia

11 maggio 2001

Il bambino è un grande investigatore, un piccolo scienziato sperimentale; se da un lato il suo istinto epistemofilico, sostenuto dalle pulsioni libidiche, lo porta a produrre fantasie ed ad indagare sulla nascita e la procreazione, dall’altro fantasie ed investigazioni sono indirizzate anche sul problema della fine della vita: la morte.
Per parlare di nozione di morte in età evolutiva bisogna tenere presente due piani distinti anche se interdipendenti. Il piano cosciente ed intellettivo, vale a dire le progressive tappe del pensiero che conducono alla costruzione del concetto di morte come fenomeno universale ed inevitabile e il piano inconscio, vale a dire le manifestazioni della pulsioni di morte nella produzione di fantasmi inconsci con la conseguente stimolazione di angoscia e di meccanismi di difesa.

Nascita e sviluppo del concetto di morte

Prima dei cinque anni, il bambino riesce a concettualizzare la morte solo come assenza. Vita e morte non sono dissociabili dall’altra coppia di opposti presenza – assenza. Morto è colui che non c’è ma può sempre riapparire.
È fra i cinque e i dieci anni che prende forma il concetto di morte. La sua costruzione è parallela a quella del concetto di vita. Nel periodo denominato da Piaget “artificialismo” tutto ciò che si muove a cui il bambino dà un’intenzionalità ( vento, sole, nuvole, ecc.) è considerato vivo. Inizialmente il bambino identifica il movimento con la vita: una bimba di sei anni, alla domanda: “Cosa sono i morti?” risponde: “ Quelli che non si muovono più”.
Man mano la nozione di vivente viene ristretta ai soli oggetti con moto proprio, successivamente ai soli animali e piante e solo per questi ultimi il bambino parlerà di morte.
Il carattere di irreversibilità della morte viene acquisito relativamente tardi (verso gli otto anni). Prima è un’assenza provvisoria e reversibile. Ecco il motivo delle domande imbarazzanti del bambino tipo: “Ora è morto, ma quando ritorna?”, oppure: “Per quanto tempo deve stare il cielo?”.
Anche il carattere di inevitabilità della morte è oggetto di una progressiva evoluzione del pensiero. In un primo momento la morte è associata ad un incidente, è la conseguenza di un atto aggressivo esterno. È morto chi viene ucciso. Solo più tardi la morte acquista i caratteri di legge iscritta nell’ordine biologico, di evento inevitabile. Da quel momento la morte si lega alla vecchiaia.
Se quindi solo alle soglie della pubertà il bambino è in grado di pensare alla morte come evento ineluttabile ed irreversibile, ben prima, a livello di fantasmi inconsci e di angosce, la morte fa la sua comparsa.

Pulsione di morte ed angosce di morte

Nel 1920, in “Al di là del principio del piacere” Freud postula l’esistenza della pulsione di morte, in opposizione dicotomica con le pulsioni di vita. Mentre la prima tende alla distruzione, disintegrazione delle unità vitali, al livellamento radicale delle tensioni attraverso la riconduzione dell’essere vivente allo stato inorganico, le seconde mirano alla conservazione dell’unità vitale esistente e alla costruzione, a partire da esse, di unità più complesse e strutturate.
La pulsione di morte originariamente è diretta verso l’interno e tende all’autodistruzione, successivamente viene proiettata all’esterno, manifestandosi sotto forma di pulsioni aggressive o distruttive.
M. Klein (1948) ipotizza che l’esistenza della pulsione di morte sia avvertita dall’organismo sotto forma di angoscia di annientamento. Proiettata all’esterno, essa dà l’avvio alle angosce persecutorie della fase schizo-paranoide. Per la Klein è sul “seno cattivo” 1, il seno che infligge le frustrazioni, che viene deflessa l’angoscia di annientamento del lattante, esso diventa il rappresentante esterno della pulsione di morte. Il lattante però introietta anche il seno cattivo, ciò rafforza le angosce primarie di pericolo interno e ingenera una nuova spinta proiettiva.
L’elicitazione dell’angoscia di annientamento provoca, come difesa, l’intensificazione dei meccanismi proiettivi e la costruzione di oggetti persecutori. Ciò è ben visibile nei comportamenti dei bambini affetti da malattie croniche e mortali. Ho avuto modo di seguire per qualche tempo due bambini affetti da tumore, benché di età e personalità diversa entrambi occupavano la maggior parte delle sedute ripetendo, pur con varianti, lo stesso gioco: il protagonista invincibile e onnipotente ( magico) era perseguitato da esseri malvagi e stupidi, si scatenava un combattimento e l’eroe alla fine distruggeva, a volte in modo sadico, i nemici. Ciò che distingueva questi giochi di lotta da altri analoghi di altri bambini era l’impossibilità assoluta del protagonista di poter essere anche minimamente leso o solo scalfito, la denigrazione eccessiva del nemico, l’intensità del piacere goduto dal bambino nella lotta ed il suo senso di trionfo.
In effetti spesso la malattia è vissuta dal bambino come un violento attacco e una grossa ferita narcisistica, la reazione difensiva è la fuga nell’onnipotenza, da un lato, e dall’altro l’identificazione con l’aggressore vissuto come potente e sadico.
Freud parla di lavoro antagonistico tra pulsione di morte e pulsione di vita, Klein individua in questo antagonismo la spinta alla nascita e allo sviluppo del mondo interno del lattante e il motivo dell’alternarsi delle fasi schizo-paranoide e depressiva nelle dinamiche relazionali successive. L’insorgere della fase depressiva è stimolata dalla pulsione di vita che trova il suo primo rappresentante nel “seno buono”. Secondo la Klein è la pulsione di vita che conduce il bambino, all’inizio della fase depressiva, quando riconosce la madre come oggetto totale e non più scisso in buono e cattivo, a fantasie riparatorie rispetto all’oggetto amato vissuto fantasmaticamente come leso dagli attacchi aggressivi e proiettivi della precedente fase schizo-paranoide.
Nel 1912, prima di Freud quindi, Sabina Spielrein pubblica un saggio: “La distruzione come causa della nascita”. In questo lavoro ipotizza che il motore propulsivo di ogni creazione, dall’atto procreativo vero e proprio, alle produzioni artistiche sia una miscellanea di spinte costruttive e distruttive, un prodotto del lavoro congiunto di spinte verso la distruzione e spinte volte alla strutturazione, una morte – nascita.
Fanti, nel 1981, sembra riprendere questa intuizione e, attraverso l’individuazione di un'unica pulsione di morte-di vita, sottolinea questa sinergia.
Fanti rielabora la metapsicologia freudiana secondo i paradigmi teorici della fisica dell’ultimo secolo. Ipotizza che l’energia che costituisce ed anima le entità sia sottoposta ad una spinta dicotomica: da un lato una tendenza alla destrutturazione – scomposizione ai cui limiti esiste il vuoto (attrazione per il vuoto), dall’altra un’esigenza, a partire da un certo grado di destrutturazione, di vincolamento e ristrutturazione (fuga dal vuoto). Nell’essere umano questa perpetua oscillazione tra spinta destrutturatrice e fuga-rimbalzo verso la complessizzazione è modulata attraverso la pulsione di morte-di vita.
Mentre la componente di morte esprime la propensione alla destrutturazione, alla perdita del legame, la componente di vita esprime la tendenza alla strutturazione, al legame. A partire da un certo grado di vuoto o destrutturazione creato dalla componente di morte, della pulsione di morte-di vita, scatta per rimbalzo la componente di vita che dà avvio alla strutturazione energetica.
L’antinomia è quindi rielaborata come continua oscillazione tra i due poli. Per la micropsicoanalisi pulsione di morte e pulsione di vita invece di opporsi in un dualismo, costituiscono una sinergia motrice, un perpetuo meccanismo di azione-reazione.

© Daniela Marenco

NOTE:

1 Per la Klein il seno buono e il seno cattivo sono i primi oggetti interni del lattante nati dall’interazione con la madre e costruiti tramite identificazioni e proiezioni successive. back

Bibliografia

L. Di Cagno, F. Ravetto, “Le malattie croniche e mortali nell’infanzia e l’angoscia di morte” , Il Pensiero Scientifico Editore, 1980 Roma
S. Fanti, “La micropsicoanalisi” Borla, 1983 Roma
S. Fanti, “Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi”, Borla, 1984 Roma
P. Ferrari, Il bambino affetto da malattia mortale in S. Lebovici, R. Diatkine, M. Soulé, “Trattato di psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza”, N.2 Borla 1990 Roma
S. Freud (1920): Al di là del principio del piacere, in “Freud Opere” Vol.9, Boringhieri, 1977 Torino
M. Klein (1948), Sulla teoria dell’angoscia e del senso di colpa in “Scritti: 1921 –1958” Boringhieri, 1978 Torino
J. Piaget (1926), “La rappresentazione del mondo nel fanciullo”, Boringhieri, 1966, Torino
S: Spielrein (1912) , La distruzione come causa della nascita, in Jb, psychoanal. Psycopach. , Forsch, 4,465, 1912

     
 

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