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Scienza e Psicoanalisi
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Psicoanalisi e Neuroscienze
Articolo di Edoardo Spina   
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Psicofarmaci e neuroplasticità

1 luglio 2007

neurofarmacologiaNell’ultimo decennio le nostre conoscenze sul meccanismo d’azione di alcuni psicofarmaci si sono ampliate. Per lungo tempo si è creduto che i farmaci antidepressivi ed antipsicotici svolgessero la loro azione interferendo con il funzionamento neurotrasmettitoriale e recettoriale in specifiche strutture cerebrali, normalizzando alterazioni sinaptiche importanti nella fase acuta del trattamento. Si ritiene tuttavia che questi meccanismi a breve termine, fondamentali per il controllo sintomatologico delle fasi acute della schizofrenia e del disturbo bipolare, inneschino modificazioni a lungo termine, sia di tipo molecolare che strutturale, capaci di contribuire alla stabilizzazione del paziente con queste patologie. Infatti, le evidenze scientifiche più recenti suggeriscono che la fisiopatologia della schizofrenia e del disturbo bipolare coinvolga alterazioni delle vie di trasduzione intracellulare associate a ridotta plasticità e conseguente atrofia neuronale  in alcune strutture cerebrali più vulnerabili a situazioni di stress (Coyle e Duman, 2003; Gould et al., 2004). A questo proposito, studi post mortem e di brain imaging hanno dimostrato l’esistenza di modificazioni morfofunzionali  nel cervello di pazienti affetti da queste patologie (Manji et al., 2001; Rajkowska, 2002). In particolare, è stata osservata una diminuzione di volume della corteccia prefrontale e dell’ippocampo associata ad una riduzione del numero e della densità dei neuroni e delle cellule gliali.  E’ lecito ipotizzare che queste alterazioni  possano essere la conseguenza di anomalie nel profilo di espressione  e di attività di proteine cruciali per la plasticità neuronale. Per neuroplasticità s’intende la capacità del sistema nervoso di rispondere ad eventi fisiologici, patologici ed a stimoli ambientali con modificazioni morfologiche e funzionali e comprende diversi processi tra i quali la sinaptogenesi, la formazione di nuove terminazioni assonali e di arborizzazioni dendritiche, e la neurogenesi.
Negli ultimi anni la ricerca preclinica e clinica si è pertanto focalizzata sull’attivazione di meccanismi di neuroplasticità, in particolare l’effetto sui fattori neurotrofici e sulla neurogenesi, indotti dalla somministrazione cronica degli psicofarmaci con conseguente effetto stabilizzante e neuroprotettivo.

Effetto sui fattori neurotrofici

I fattori neurotrofici sono proteine importanti sia durante lo sviluppo del sistema nervoso centrale che nei processi di sopravvivenza neuronale, con un ruolo fondamentale in quei fenomeni di plasticità sinaptica che sono alla base di una trasmissione centrale normalmente funzionante. Negli ultimi tempi, l’attenzione si è rivolta in particolare al Brain Derived Neurotrophic Factor (BDNF), una neurotrofina particolarmente espressa nell’ippocampo e nella corteccia frontale, che, oltre a svolgere un ruolo importante nei processi di apprendimento e memoria, riveste un compito fondamentale nella crescita, differenziazione, mantenimento e sopravvivenza neuronale. Questo fattore è implicato nella fisiopatologia di diverse patologie psichiatriche, fra cui la schizofrenia ed il disturbo bipolare, in cui è stata riscontrata una sua ridotta espressione (Hashimoto et al., 2004). E’ ben documentato che situazioni di stress possono ridurre l’espressione di questa neurotrofina nell’ippocampo di ratto (Ueyama et al., 1997). I ridotti livelli di BDNF potrebbero pertanto contribuire alla perdita delle spine dendritiche e all’aumentata vulnerabilità che caratterizza i neuroni deficitari di BDNF.
Diversi fattori, fra cui stimolazione ambientale, terapie elettroconvulsivanti, psicoterapie e farmaci, sono in grado di modulare l’espressione genica dei fattori neurotrofici. Tra i farmaci, numerosi composti utilizzati nel trattamento della schizofrenia, della depressione e del disturbo bipolare possono determinare un aumento dei livelli di BDNF in specifiche aree cerebrali. E’ stato dimostrato che un trattamento cronico con antidepressivi, litio o valproato può aumentare significativamente i livelli di BDNF, sia nell’ippocampo che nella corteccia frontale in modelli sperimentali (Duman et al., 1997). Anche gli antipsicotici possono modificare i livelli di BDNF. Tuttavia, mentre gli antipsicotici tradizionali, come l’aloperidolo, riducono i livelli di BDNF nell’ippocampo di ratto, composti di seconda generazione, fra cui clozapina, olanzapina e quetiapina, li aumentano (Bai et al., 2003). Inoltre, è stato dimostrato che un trattamento cronico con quetiapina o olanzapina è in grado di normalizzare la diminuzione dei livelli di BDNF ippocampali indotta  a seguito a stress in modelli animali (Xu et al., 2002; Luo et al., 2004) Le potenziali implicazioni di queste osservazioni sono evidenti. Il trattamento cronico con quetiapina, così come con altri farmaci utilizzati nel trattamento del disturbo bipolare, modificando l’espressione del BDNF, potrebbe correggere le alterazioni morfofunzionali osservate in alcune strutture cerebrali più vulnerabili a situazioni, come lo stress, in pazienti con disturbo bipolare.         

Effetto sulla neurogenesi

Un concetto fondamentale della neurobiologia, per molti anni ritenuto un dogma incontrovertibile, è l’impossibilità dei neuroni del sistema nervoso centrale di andare incontro a duplicazione cellulare. Negli ultimi anni è stata invece documentata la possibilità di neurogenesi, cioè di proliferazione di nuovi neuroni, in alcune aree cerebrali, in particolare nella zona subventricolare e nel giro dentato dell’ippocampo, mentre controversa sembra la sua presenza nella corteccia cerebrale (Eriksson et al., 1998). Alcuni studi sperimentali hanno recentemente dimostrato che il trattamento cronico con diverse classi di farmaci antidepressivi è in grado di aumentare la neurogenesi a livello dell’ippocampo di ratto e che tale processo sembra essere necessario per indurre effetti comportamentali in modelli animali (Malberg et al., 2000; Santarelli et al., 2003). Si è inoltre osservato che il trattamento con antidepressivi (ad esempio fluoxetina) può ripristinare la diminuzione della neurogenesi e l’atrofia indotte dallo stress (Malberg e Duman, 2003). Anche il trattamento cronico con i tradizionali stabilizzatori dell’umore quali litio ed acido valproico sembra stimolare la  neurogenesi (Hao et al., 2004). Per quel che riguarda l’effetto di un trattamento con antipsicotici sulla neurogenesi, i dati al momento disponibili suggeriscono che la capacità di stimolare questo processo sia limitata agli atipici. Un aumento della neurogenesi è stato infatti descritto in alcune regioni dell’ippocampo di ratto in seguito a somministrazione di clozapina, risperidone, olanzapina e quetiapina, ma non di aloperidolo (Wakade et al., 2002; Kodama et al., 2004; Wang et al., 2004). Uno studio recente ha dimostrato che la quetiapina è in grado ripristinare la soppressione della neurogenesi ippocampale indotta nel ratto da situazioni di stress (Luo et al., 2005). E’ ipotizzabile che l’effetto dei farmaci sul processo della neurogenesi sia in parte dovuto alla loro capacità di indurre un’aumentata espressione dei fattori neurotrofici, come il BDNF, che a loro volta stimolerebbero tale processo.

©Edoardo Spina

Bibliografia

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Per la corrispondenza:
Prof. Edoardo Spina
Sezione di Farmacologia,
Dipartimento Clinico Sperimentale di Medicina e Farmacologia, Università di Messina,
Policlinico Universitario
Via Consolare Valeria
98125 Messina,
Tel. +39 090 2213647
Fax +39 090 2213300
E-mail espina@unime.it

 

     
 
   
 
 

 
     
 

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