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Articolo di Tullio Giraldi   
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Curare il cancro, guarire di cancro

9 gennaio 2009

L’insorgenza del cancro, ed il suo trattamento, sono diventati, con il tumultuoso sviluppo recente della medicina, un problema rappresentato come esaurito, o quantomeno esauribile, con un approccio tecnologico e biologico.  Eppure, la dimensione della sofferenza individuale nel vivere l’esperienza della malattia neoplastica e del suo trattamento resta un evento di vita di grande rilevanza, bisognoso di attenzione non solo nella prospettiva della migliore possibile “qualità della vita” ma anche della qualità della convivenza con la malattia stessa. Le righe che seguono si sforzano di riassumere, nello spazio concesso, l’esperienza di chi scrive, iniziato nella dimensione meccanicisticamente riduzionistica dello studio e sviluppo di farmaci antitumorali in una prospettiva squisitamente biologico, ed approdato alla dimensione individuale delle difficoltà di adattamento agli eventi di vita, ed alla psiconeuroendocrinoimmunologia, anche in relazione alla “quantità” oltre che alla “qualità della vita” della persona che vive l’esperienza del cancro.

I MODELLI SPERIMENTALI

Il Lewis lung carcinoma nel topo offre un modello molto simile ai tumori solidi umani, in quanto dissemina spontaneamente e precocemente ai polmoni dopo impianto sottocutaneo o intra-muscolare (Giraldi 2000). E’ moderatamente immunogeno, e riesce a sfuggire al controllo immunitario dell’ospite se il numero di cellule tumorali clonogeniche presenti è superiore a 105, ed è rigettato per numeri minori (Giraldi 1994). Esso si presta ad essere asportato chirurgicamente e successivamente trattato con chemioterapici, in maniera analoga al trattamento chirurgico e chemioterapico adiuvante dei tumori solidi umani nella pratica clinica (Zorzet 1995). In questo modello sperimentale è stato studiato l’effetto sulla progressione neoplastica dell’applicazione di paradigmi stressanti, quali lo shock elettrico evitabile e non evitabile, lo svezzamento precoce, la restrizione fisica di varia entità, ed il disorientamento spaziale. I risultati ottenuti indicano in maniera consistente che tali paradigmi hanno effetti trascurabili sulla crescita del tumore primario, mentre incrementano significativamente la formazione delle metastasi polmonari (Giraldi 1989). Giova qui ricordare che l’aspetto cruciale della malignità neoplastica, e degli insuccessi dei trattamenti antitumorali, è sostanzialmente costituito dalle metastasi sistemiche, e solo marginalmente  dal tumore primario largamente controllabile localmente con chirurgia e radioterapia. Incidentalmente, tali effetti appaiono soggetti a fattori cronobiologici, essendo l’incremento osservato nella formazione di metastasi da stress più marcato nel periodo estivo in confronto con quello invernale (Perissin 1994). Gli effetti dello stress nel favorire le metastasi appaiono mediati dal sistema immunitario, e sono associati a corrispondenti variazioni nelle sottopopolazioni linfocitarie, in termini di riduzione del numero totale di linfociti e nel rapporto del numero di linfociti helper e suppressor (Perissin 1998). Negli stessi animali, il trattamento chemioterapico post-chirurgico incrementa significativamente la sopravvivenza, e causa una significativa percentuale di lungo-sopravviventi “curati”. In questi animali, l’applicazione della costrizione fisica quale paradigma stressante riduce marcatamente l’incremento della sopravvivenza, ed abolisce l’azione curativa causato dalla chemioterapia (Zorzet 1998), in maniera riconducibile alla concomitante  riduzione osservata del numero totale di linfociti e del rapporto del numero di linfociti helper e suppressor (Zorzet 1998). L’abolizione da parte dello stress dell’azione curativa della chemioterapia può essere interpretata considerando che l’efficacia curativa del trattamento deriva dalla riduzione del numero di cellule tumorali residue sotto il livello soglia di controllo immunitario da parte dell’ospite; fattori stressanti attenuano tale controllo ed abbassano la corrispondente soglia del controllo immunitario in maniera tale che le cellule neoplastiche residue dopo il trattamento invece di essere eradicate possono ricrescere con la successiva ricomparsa della malattia. Analoghi risultati dimostranti la soppressione degli effetti curativi della chemioterapia da stress sono stati ottenuti anche in topi portatori di altri tumori, quali il carcinoma mammario CBA e del linfoma TLX5, ed il disorientamento spaziale quale paradigma stressante (Perissin 1997; Rapozzi 1998)

LA CLINICA

Il carcinoma mammario sembra fornire una dimensione particolarmente adeguata ad approcci di ricerca essendo relativamente frequente, ed avendo una curabilità in termini di sopravvivenza a lungo termine parziale e variabile, pur per tumori omogenei per istopatologia, stato ricettoriale, ed ora anche per caratteristiche genetico-molecolari. Queste caratteristiche mettono in evidenza il ruolo cruciale dei fattori di resistenza dell’ospite alla progressione neoplastica, già riferite per modelli sperimentali nel paragrafo precedente. L’imprevedibile ricomparsa del tumore dopo terapia, nonostante il più accurato staging oncologico, può quindi essere ricondotta alla variabilità derivante da fattori psico-sociali marginalmente considerati negli studi clinici di fattori di resistenza alla progressione neoplastica dell’ospite cruciali nell’induzione di sopravviventi a lungo termine (“cure”). Infatti, oltre alle difficoltà individuali di adattamento ad eventi di vita eventualmente incontrati, lo stesso percorso della malattia con i momenti della diagnosi e della terapia contribuisce alla costellazione di significativi eventi stressanti cui devono confrontarsi le i soggetti con malattia neoplastica.

Nell’esperienza dell’Autore, quando gli eventi di vita stressanti erano raccolti seguendo la procedura di Paykel (Paykel 1976; 1983) in un campione di 95 donne trattate per un tumore della mammella presso l’Ospedale di Udine, 59 donne riferivano di aver vissuto nei sei mesi precedenti la diagnosi almeno un evento di vita considerato stressante, indesiderabile ed incontrollato che riguardava la salute, il lutto o gravi problemi familiari; 25 donne riferivano di aver vissuto anche un secondo evento, e 5 di esse anche un terzo. Quando il volume medio del tumore all’intervento chirurgico veniva determinato in queste 59 donne, esso era uguale a 13.3 cm3, mentre era di 5.2 cm3 nelle donne che non avevano riferito di aver vissuto eventi stressanti (differenza statisticamente significativa). Gli eventi riferiti ai cinque anni precedenti erano privi di relazione con il volume del tumore primario (Giraldi 1997).

Questi risultati potrebbero essere ascritti ad un meccanismo psico-biologico, in cui un’attenuazione delle risposte immunitarie antitumorali dell’ospite causata dagli eventi di vita stressanti porta al maggiore sviluppo della lesione neoplastica primitiva. E’ altresì possibile che l’incidenza degli eventi stressanti abbia portato le donne che li hanno subiti a ritardare l’iniziale identificazione di un nodulo sospetto, ed il successivo ricorso al medico, con la conseguente maggiore crescita della massa neoplastica prima della chirurgia. I risultati preliminari della ricerca in corso suggeriscono che, sebbene eventi di vita rilevanti siano stati riferiti dalle pazienti quali causa di un ritardato ricorso all’attenzione dell’oncologo in alcuni casi, i meccanismi psico-biologici sopra esposti abbiano un ruolo prevalente nel determinare la grandezza della massa neoplastica.

Tutto l’iter diagnostico-terapeutico, a partire dalla comunicazione della diagnosi, costituisce una dimensione condivisa che si presta all’analisi delle differenze individuali nell’adattamento mentale alla malattia, e fattori rilevanti sono stati identificati da eccellenti approcci di ricerca dal gruppo di Greer e Watson (Watson 1999). Modalità di disperazione impotenza e di depressione sono state dimostrate essere modalità disadattative di reazione psicologica alla malattia, costituenti significativo rischio di ripresa di malattia prevalente rispetto fattori di rischio biologico, con validità prognostica negativa (Watson 1999). Questi aspetti saranno ulteriormente considerati nel paragrafo successivo.

GENI ED AMBIENTE IN ONCOLOGIA

L’evidenza disponibile indica che in generale la sofferenza mentale in ambito neuro-psichiatrico non può essere ricondotta alla variabilità individuale nell’espressione di un singolo gene. Allo stesso tempo, dati interessanti sono stati raccolti relativamente al polimorfismo 5-HTTLPR del gene che codifica il trasportatore sinaptico della serotonina (SERT). Tale polimorfismo è costituito da un segmento di basi nella regione regolatrice del gene di diversa lunghezza, con conseguenze funzionali derivanti ulteriormente anche dallo stato di omo- o etero-zigosi per il polimorfismo stesso; esso si presenta inoltre con elevata penetranza nella popolazione. Il SERT è il target molecolare per l’azione dei farmaci antidepressivi SSRI, e l’azione degli antidepressivi è stata dimostrata dipendere in maniera significativa da tale polimorfismo (Murphy 2004). Il 5-HTTLPR come tale non costituisce un fattore determinante nel determinare sofferenza mentale, ma esso contribuisce significativamente a determinare disturbi depressivi quando soggetti così geneticamente predisposti sono sottoposti ad eventi di vita stressanti (Caspi 2003). Appare quindi interessante valutare se differenze individuali in termini di adattamento mentale al cancro e depressione siano associati al polimorfismo del SERT anche per il tumore della mammella.

La ricerca, in corso di svolgimento, ha inizialmente considerato 145 pazienti assistite presso la Struttura Complessa di Oncologia Clinica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, valutate nel corso del primo colloquio (T0) e a 3 mesi di distanza (T1) con una batteria di scale psicometriche, e genotipizzate per il polimorfismo 5-HTTLPR del trasportatore della serotonina.

Le frequenze genotipiche di 5-HTTLPR osservate seguono la legge di Hardy Weinberg  e non differiscono dal campione normativo di Lesch et al. (1996).

Quando le pazienti sono stratificate secondo il genotipo SERT, si osservano a T0 e T1 punteggi inferiori per Depressione (HADS), Preoccupazione Ansiosa e Disperazione Impotenza (Mini-MAC) per le pazienti con la variante allelica a bassa attività funzionale (S-S, S-L) rispetto alle pazienti con la variante allelica ad alta attività (L-L).

CONCLUSIONI

Da questi dati appare come eventi di vita rilevanti, e tra questi le difficoltà di adattamento mentale al cancro dopo comunicazione della diagnosi e trattamento, possono modificare la storia della malattia in termini di maggiore diffusione metastatica e di minore risposta al trattamento chemioterapico sino all’abolizione della sua efficacia. Questi dati indicano anche che fattori genetici costitutivi dei singoli soggetti e dotati di alta penetranza, quali l’aplotipo “L” del polimorfismo del trasportatore della serotonina, possono causare maggiore vulnerabilità alla sofferenza mentale derivante da difficoltà di adattamento ad eventi di vita, ed in particolare all’esperienza della diagnosi e cura del tumore della mammella.

Questi risultati aprono anche interessanti prospettive in relazione allo specifico assetto genetico-molecolare del paziente, per l’impiego di farmaci antidepressivi contro la sofferenza mentale in oncologia con la scelta individualizzata del farmaco, con l’obiettivo della più precisa identificazione e del migliore trattamento della sofferenza mentale derivante dalle difficoltà individuali di adattamento mentale alla malattia in oncologia.

L’identificazione degli individui maggiormente vulnerabili, grazie anche all’uso attento delle caratteristiche psicologiche dei soggetti e di quelle biologiche e genetico-molecolari, potrà permette di sviluppare e finalizzare vari interventi, inclusi quelli di natura psicoeducazionale oltre che farmacoterapica, con l’obiettivo del migliore approccio e dell’ottimizzazione dell’efficacia delle terapie così integrate, in termini non solo di “trattamento” ma anche di “cura“ della malattia.

 

©Tullio Giraldi

Ringraziamenti:

La parte del lavoro non ancora pubblicata, e quindi non citata nelle referenze, è dovuta alla fruttuosa collaborazione con colleghi e studenti, citati brevemente con gratitudine:

Giulia Schillani (assegnista e dottore di ricerca in farmacologia), Maria Anna Capozzo (psicologa e neuropsicofarmacologa), Elisabetta Martinis (psicologa), Sara Pavanello e Sabrina Veneruso (studentesse di psicologia);  Dip. di Scienze biomediche e di Scienze della Vita
Maria Anna Conte (medico); responsabile dell’Hospice dell’ASL N° 6
Giorgio Mustacchi (oncologo medico, Fac. Med. Chir. Università di Trieste), Tania Cristante (medico psichiatra); Centro Soc. Oncologico ASS N° 1 Trieste
Luigi Grassi (medico psichiatra, Fac. Med. Chir. Ferrara), Elena Rossi (psicologa); Clinica Psichiatrica Università di Ferrara

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