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Scienza e Psicoanalisi
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Osservatorio di Psicoanalisi applicata
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Sesso ossessione on-line

12 ottobre 2009

I dispositivi di comunicazione mediatica hanno recentemente rappresentato dei potenti fattori di cambiamento nell’assetto cognitivo-affettivo e nella maniera d’interagire con gli altri. Ma, man mano che si sono andati diffondendo, con la contemporanea crescita delle pagine web e dei loro contenuti, hanno cominciato a palesare delle problematiche di “abuso” e delle modalità psicopatologiche di utilizzo della rete. Queste cosiddette nuove “dipendenze” tecnologiche interessano prevalentemente le giovani generazioni di adolescenti (statisticamente significativa la prevalenza del sesso maschile) e potrebbero comprendere varie forme di vere e proprie “addiction”, le quali andrebbero dal mobile ai videogames, come ad altri sistemi di impiego, quali la messaggistica. Con il perfezionamento dello “strumento”, ormai indispensabile per favorire un’adeguata modernizzazione informatica, si è verificato un proporzionale aumento della stessa desiderabilità del medium. E’ così nata una sorta di nuova generazione di perennemente “connessi” per tutti gli scopi, contrapposta alla precedente, preoccupata di limitare gli “accessi” ed inasprire le censure. Il conflitto intergenerazionale si è visto così complicato da un ulteriore contenzioso, un solco culturale (digital divide) che allontana ancor di più la dimensione esperienziale e la sottocultura giovanile, rendendone inintelligibili i linguaggi ed incomunicabili i vissuti.
La dimensione della virtualità produce modalità comunicative nuove, differenti da quelle convenzionali dell’”altro ieri”, con l’introduzione di uno slang costituito da acronimi, abbreviazioni, frasi sincopate, emoticons, nonché l’eventuale possibilità di ricorrere ad “identità fittizie”. I contatti relazionali favoriti dalla rete si sarebbero inevitabilmente dimostrati più superficiali, fluidi, instabili. Difatti, se emozioni e sentimenti possono proiettarsi in un mondo fittizio, inesorabilmente la realtà tende a perdere di significato, l’identità psicoaffettiva, sessuale e sociale si sbiadisce, le medesime relazioni interpersonali non avrebbero modo di consolidarsi. Quella che rappresenta una forte esigenza di “individuazione” verrebbe delegata ad una sorta di “protesi” dell’io, mentre la necessità di affermarsi sarebbe veicolata verso il soddisfacimento da quanto non è che un semplice apparire. Investendo nella virtualità sembra più facile dirimere i conflitti e gratificare i propri bisogni e, con la distensione dell’ansia, ci si aiuta a combattere la noia, la solitudine e la malinconia.
Coinvolgimento, stimolo e possibilità di soddisfazione psicologica hanno suffragato l’ipotesi di una stretta interazione diretta tra tecnologie e funzioni cognitive (tanto da far coniare a Derrick de Kerckhove il termine di psicotecnologie), poiché questi media intensificano le potenzialità operative dell’attività mentale; certi dispositivi amplificano le disponibilità funzionali, arrivando persino a “protesizzare” i canali sensoriali, senza contare il notevole rilievo assunto dall’istantaneità (tempo reale) delle transazioni, dalle repentine gratificazioni sensoriali, da tutta una dimensione ludica del contesto in cui si agisce, dalla multimedialità e dalle tendenze ad ibridarsi con modalità di sempre maggiore polifunzionalità.
Nel considerare questa new addiction da annoverare,  a pieno titolo,  tra le patologie psichiatriche “emergenti”, se ne rilevano le implicazioni psicopatologiche favorenti: impulsività, compulsività, spiccata introversione, alessitimia, tendenza alla dissociazione, iperespressione di fattori temperamentali (quali sensation seeking, novelty seeking, reward dependance), o ancora intensi vissuti di inadeguatezza, vergogna, colpa. Dopo i tratti caratteriali di tipo ossessivo compulsivo (anancastici), specie tra i giovani, risultano più frequenti quelli di tipo evitante, meno quelli schizoidi. Young K.S. e Rogers R.C. in “The Relationship between Depression and Internet Addiction” (Cyberpsych and Behaviour 1998 1,1: 25-28) e, più recentemente, Cerutti R., Manca M. e Besaghi F. in “Internet Addiction Disorder e comorbilità psichiatrica” (in Psich e Psicoter. 2006, 25, 2:98-110) hanno rilevato l’alto rischio dimostrato dalla dipendenza da Internet di accompagnarsi ai disturbi depressivi e di personalità, a sintomi psicosomatici (vertigini, cefalea), all’insonnia, e, nei più giovani, alla sindrome da iperattività-deficit dell’attenzione (ADHD). – A questo proposito: soggetti che in ambito scolastico, o lavorativo, mostrano evidenti difficoltà a mantenere l’impegno o la concentrazione, a volte anche per periodi piuttosto brevi, riescono invece a protrarre per ore l’esecuzione di videogame o la navigazione in rete senza manifestare calo dell’acuità attentiva, molto probabilmente per via dell’effetto stimolante a livello sensoriale e della gratificazione che ne ricavano. Per alcuni soggetti l’esperienza tecnomediata assumerebbe, quindi, il significato di un tentativo di autoregolazione emozionale, di compensazione di elementi depressivi e/o anedonici. –
Così come avviene nelle dipendenze convenzionali, anche nelle new addiction si instaura il circolo vizioso del peggioramento della generale disregolazione della vita affettiva e relazionale con rinforzo del legame di dipendenza e conseguente ulteriore ricaduta negativa nei rapporti sociali. Altrettanto “vizioso” appare il circuito che sembra instaurarsi con la computer self-efficacy. Alla percezione cioè di un’elevata capacità nelle performances, per migliore attitudine nella gestione ed alta competenza tecnologica, corrisponde un maggior rischio additivo. In età adolescenziale un elevato grado di competenza performativa si svilupperebbe a scapito della capacità di autoregolazione emozionale, di una corretta attitudine a sviluppare costrutti “esistenziali” ed a maturare “orizzonti di senso”. Cosicché si realizza una sorta di paradossale “regressione” con sproporzione marcata tra tecnologia avanzata e contenuto deteriore della comunicazione, in cui si esibiscono quei tratti narcisistici e di onnipotenza primitiva in una “spettacolarizzazione” degli aspetti più intimi dell’esistenza. Questa modalità di funzionamento non facilita l’elaborazione intrapsichica di emozioni, tensioni e pulsioni, destinandole a “bypassare” il filtro della coscienza per venire “agite” direttamente a livello comportamentale, nei termini dell’esibizione mediatica di condotte disfunzionali.
Nella comunità scientifica internazionale si sta, allora, sempre più profilando un largo consenso nel considerare l’Internet Addiction come un disturbo psichiatrico “emergente”, un disturbo a se stante, le cui caratteristiche, più che essere state codificate da Jvan Goldberg in una parodia  di criteri diagnostici (dall’uso eccessivo alla negazione dei bisogni di base, dalla chiusura in se stessi al senso di frustrazione in caso di astinenza, dalla tolleranza/assuefazione alla ricaduta sulla vita relazionale) tipici delle tossicodipendenze, rientrano invece (ed a pieno titolo) nell’ambito dello spettro impulsivo- (o dipendente-) compulsivo.
La diagnosi di vera e propria dipendenza, abuso, astinenza e intossicazione era stata sino ad ora consentita solamente per alcune sostanze chimiche quali: alcol, anfetamine, caffeina, cannabis, cocaina, allucinogeni, inalanti, nicotina, oppiacei, fenciclidina, sedativi-ipnotici o ansiolitici…
E’ la dopamina (DA) ad essere più direttamente coinvolta nella dipendenza, in quanto mediatrice del sistema di gratificazione (rewarding system, sistema limbico), per via del suo ruolo in funzioni come l’apprendimento, il comportamento e i suoi rinforzi, l’attenzione e l’integrazione senso-motoria.
Un comportamento gratificante incrementa il rilascio di DA in alcuni nuclei cerebrali, e l’esperienza di “gratificazione” è sostenuta dalla sollecitazione dei suoi recettori.
Eppure, dall’incontro dell’oggetto (sostanza o strumento), dell’organo (cervello) e della sua funzione (psiche) potrebbero nascere sempre nuove e diverse problematiche. Quella più studiata è relativa all’epilessia correlata all’uso della tecnologia digitale, un’altra riguarda il gioco d’azzardo, un’altra ancora è rappresentata dall’ipotesi di internet “addiction”, ed un ulteriore esempio potrebbe essere il tema della violenza e dell’attività criminale svolta tramite la mediazione della tecnologia digitale… - Per il tramite di internet è abbastanza frequente che si possano adescare soggetti facilmente suggestionabili, come i bambini, allo scopo morboso di sfruttarli con finalità seduttive o pedopornografiche. Sembra che nell’etiologia di questo particolare tipo di comportamento rivestano ruoli di una certa importanza, oltre al ricorso alle nuove tecnologie, la loro conoscenza, l’impegno profuso in esse, un loro uso “problematico”, se non proprio l’abuso, ovvero un utilizzo “patologico”.-
 
Tra gli hackers la prevalenza di disturbi di personalità antisociale e ossessivo compulsivo è sovrapponibile a quella che si ha nelle popolazioni dei comuni tossicodipendenti. Ciononostante è abbastanza comprensibile come quanti potevano essere considerati dei normali punti di riferimento culturali (e clinici) vengano messi in crisi da situazioni nuove e differenti da quelle tradizionali, quale appunto un comportamento di dipendenza associato all’uso della Tecnologia.
La maggioranza dei soggetti che “abusano” di Internet vive una sorta di “luna di miele”, molto verosimilmente per aver scoperto da poco l’immaginifico universo della rete, e per esserne rimasta profondamente affascinata (enchantment). In seguito si instaurerebbe un qualche equilibrio, in cui il ricorso ad Internet rientra in un utilizzo più responsabile, armonicamente integrato con le altre attività quotidiane della «vita reale». Così come spesso, rapidamente si è instaurata (fast addiction) ai primi contatti con una determinata tecnologia, altrettanto di frequente, questo tipo di dipendenze, quale appunto l’Internet Addiction Disorder, tendono verso una forma spontanea di remissione o graduale ridimensionamento (short addiction), nella quale, nell’arco di un periodo di alcuni mesi, o al massimo di un paio d’anni, l’intensità e l’estensione del comportamento dipendente subiscono un progressivo ed autonomo decremento.
 
Per la Young (Young KS, Psychology of computer use: XL. Addictive use of the Internet: a case that breaks the stereotype, Psychol Rep, 79 (3 Pt 1):899-902 1996 Dec) la sindrome da Internet-dipendenza andrebbe classificata tra le dipendenze cosiddette “comportamentali”, quali possono essere considerati  il gioco d’azzardo o la bulimia. Non per questo, però, meno pericolosa delle tossicodipendenze vere e proprie. Caretti (Caretti V., Psicodinamica della Trance Dissociativa da videoterminale, in Cantelmi T. et al., La mente in Internet, Psicopatologia delle condotte On-line, Piccin, Milano 1999) considera questa “patologia da computer” come una prima fase di un disturbo ben più grave («Trance Dissociativa da Videoterminale»), caratterizzato da perdita del senso abituale dell’identità personale, vera e propria depersonalizzazione, o alterazione dello stato di coscienza.
 
Da una diversa prospettiva, se da una lato si dice che l’Internet addiction meriterebbe di essere classificata quale nuovo disordine psichiatrico “emergente”, dall’altro si sottolinea come siano solo certi individui a manifestare un uso “problematico” di Internet, e limitatamente a certe specifiche attività online, quali e-mail, gambling, o pedopornografia. All’interno della categoria di dipendenze da Internet sono state infatti segnalate delle varianti in ragione della specifica tipologia di servizio on-line alla base della condotta additiva: gambling, shopping, trading, second life, cyber sex
Per molti Autori, anche l’abuso di pornografia convenzionale sarebbe comparabile alle dipendenze da sostanze e costituisce un analogo problema, altrettanto quanto il gambling o lo shopping compulsivi, soprattutto per il significativo contributo a far perdere il controllo delle proprie azioni. Una progressiva dedizione alla pornografia rappresenta una sorta di “regressione” psicopatologica, anche se non sono ancora del tutto chiarite le prove documentali in proposito. Alcuni studi avrebbero messo in luce una certa gradualità a partire dall’interesse per un intrigante erotismo softcore, il successivo passaggio all’esplicito hardcore, per completare la “regressione” con l’attrazione nei confronti di scene estreme di sottomissione o di franca aggressività. La dipendenza da pornografia on-line viene considerata la più tenace e coinvolgente, rispetto alle altre forme di pornografia, per via di una più ampia disponibilità, della natura direttamente esplicita, del mantenimento della riservatezza e dell’intimità che la visione on-line offre. Sarebbe questo, allora, il punto di congiunzione tra le due new addicts: dedicare sempre più tempo alla ricerca su internet di sempre nuove attrattive pornografiche. Ritrovare facilmente su internet una così vasta scelta di immagini contribuisce ad incrementare il senso del “così fan tutti”, legittimando, con questa disponibilità, la possibilità di farlo, anche qualora l’attività di fruizione dovesse risultare contraria ai propri standard di moralità.
Sembra che certi individui suscettibili di una “vulnerabilità premorbosa”, in particolare per quanto riguarda una precedente storia di mancanza di controllo degli impulsi o di disturbi di tipo additivo, presentino un rischio più elevato di far ricorso ad Internet con modalità di natura “problematica” o decisamente patologica. Nonostante sia più convincente questa seconda prospettiva di inquadramento in seno agli epifenomeni di altri disturbi psichiatrici, l’ipotesi nosografica del Problematic Internet Use sembra abbia sofferto di una maggiore  trascuratezza.
Soprattutto R. A. Davis si è posto il quesito della definizione che distingua “Problematic” o “Pathological Internet Use”, quale espressione di disagio mentale, evidenziando come la “psicopatologia Internet correlata” si caratterizzi innanzitutto proprio per una percezione distorta della realtà, sentimenti di negazione, mancata acquisizione della concezione del tempo, ed eventualmente anche per un’assunzione di identità in funzione dei bisogni da soddisfare.
R.A. Davis ha affrontato l’argomento da un punto di vista cognitivo-comportamentale, presupponendo che la più probabile eziologia risieda in quelle “cognizioni” da considerare “problematiche”; sarebbero queste, unite a degli specifici comportamenti, le maggiori responsabili della risposta disadattativa.
 
R. A. Davis darebbe la preferenza al termine ‘pathological internet use’ nel caso in cui la vulnerabilità (verso depressione, ansia sociale, tendenza all’abuso o alla dipendenza da sostanze) si manifesti in presenza di stressor. In questo caso, la causa dei sintomi si radica su di una base cognitivo-comportamentale francamente psicopatologica e condizioni di particolare disadattamento indirizzerebbero verso scopi determinati nell’uso dello stesso strumento mediatico, favorendo ad esempio il gambling piuttosto che il sesso online.
Esisterebbero pertanto delle forme di dipendenza  specifiche per il loro contenuto - persone che abusano cioè di una funzione specifica di Internet (es. materiale erotico, gioco d'azzardo, aste, ecc.) -autonome quindi dal mezzo, la cui esplicazione potrebbe teoricamente aversi anche in assenza di Internet.
L’altro utilizzo patologico di Internet sarebbe più generalizzato, in quanto comprende un generico abuso multidimensionale di Internet, che potrebbe limitarsi magari ad una semplice ed afinalistica perdita di tempo online – in chat come nella posta elettronica - probabilmente per soddisfare un bisogno di contatto sociale attraverso  una relazione virtuale. Il patologico utilizzo  generalizzato di Internet sembrerebbe socialmente più pericoloso, in esso infatti  Internet agirebbe da stressor, il che può esacerbare nei soggetti  predisposti condizioni psicopatologiche latenti. Per altri Internet si dimostra uno strumento di espressione di una semplice dipendenza che potrebbe essere determinata dagli stimoli più diversi.
 
Concludendo, in ogni caso, sembra tuttora valida la definizione (fornita da Ariel Goodman nel 1990) secondo la quale si può parlare di addiction ogni qual volta esista un’ossessione in merito ad un comportamento che vada a detrimento delle altre aree della vita reale

© Giuseppe M. S. Ierace

 

     
 

 
 
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