La dimensione narratologica
nellattuale cultura del virtuale *
3 novembre 2002
*
Relazione ufficiale al Convegno "ESODO: traumi e memorie",
svoltosi a Fiuggi il 4 ottobre 2002, i cui Atti completi saranno
pubblicati in un volume di prossima pubblicazione
E da tempo noto che le dimensioni
psicologiche dei legami che si stringono in rete possono essere
di notevole densità ma sovente anche con connotazioni
anomale, più o meno evidenti. Invero, qui si realizza
una situazione particolare, quella di due intimi sconosciuti,
dove il tempo di costruzione di un rapporto interpersonale viene
ad essere notevolmente accelerato, forse troppo, ma anche dove
si può ritenere che qui vengono consentiti margini di
invenzione tali da render possibili molti affrancamenti dalle
reticenze della vita quotidiana; la mediazione on-line riduce
molte censure o ne modifica la perentorietà.
Né è possibile banalizzare o minimizzare il fatto
che, attraverso la verità della finzione mediatica, la
realtà virtuale rischia di divenire lunica realtà
reale della nostra epoca post-moderna, lepoca dei simulacri.
Le notizie mediatiche, così sembra, non solo divengono
le sole immagini comprensibili, ma vengono ad alterare prospettive
di tempo e di storia, facilitando levasione in una realtà
virtuale come modo di fare fronte a eventi stressanti o semplicemente
spiacevoli.
Si può dire che il virtuale sia dentro di noi, ci coabiti,
accompagnandoci nel nostro storificarci, scavando pozzi di senso
nella piatta distesa dellimmediata presenza e cronaca
giornaliera.
Senza chiuderci in questo cerchio di realtà immaginale,
dobbiamo tuttavia riconoscere che la centralità della
narrazione in psichiatria va sempre più imponendosi (cfr.
Martini, 1988) con lattuale attenzione alla dimensione
ermeneutica, pur lasciando impregiudicata la validità
dellinformatizzazione del linguaggio analogico.
In
generale si può dire che la svolta narrativa nella letteratura
medica e psicologica e in quella relativa allesperienza
della malattia ha beneficiato degli interessi più ampi
dellanalisi letteraria, sia nelle scienze umane che in
quelle sociali. A tal proposito rinvio allesauriente lemma
di G. Bottiroli Letteratura e Psicoanalisi nel V°
Suppl. dellEnciclopedia Italiana, 1992, dove si evidenzia
lattrazione del pensiero freudiano da parte del principio
narrativo, almeno quanto il pensiero junghiano è attratto
dal pensiero allegorico. Il suggerimento di una trama maestra
dellesistenza ci fa tornare a Freud per il fascino della
sua scrittura, per il tessuto camaleontico della sua mitologia,
per il suggerimento di un masterplot, di un intreccio magistrale
(cfr. P. Brooks, Readings for the plot. Design and intention
in narrative, Torino, Boringhieri, 1995 ; Oxford, 1984), ricco
di interpolazioni e arricchimenti (cfr. Lavagetto M., Freud,
la letteratura e altro. Torino, 1985).
Si sa che Ricoeur parla di tempo narrativo; forse però
spetta ad Arthur Kleinmann (The Illness Narrative, New York,
Basic book, 1988) il merito di avere usato la tradizione antropologica
e quella clinica, mostrando il significato che viene creato
dalla malattia, plasmato dai rapporti sociali e dai valori
culturali. Si pensi allanamnesi fornita dai familiari
di unossessiva o dai genitori di una schizofrenica. Daltra
parte è necessario assumere di volta in volta punti di
vista diversi per seguire il filo degli intrecci presentati
dal narratore, quando esse propone e viene riconfigurando eventi
vissuti, azioni trascorse, prevaricazioni patite, atmosfere
appena còlte; inoltre il progressivo svolgersi del racconto
anamnestico del paziente induce alla scoperta personale di nuovi
significati concernenti sia la ricostruzione della trama della
malattia, sia la posizione del paziente nel contesto del discorso,
per lo più familiare ma anche lavorativo o scolare. E
forse proprio qui che, più o meno intenzionalmente, si
cerca di revocare loblio.
E nostra esperienza di terapeuti (a qualunque scuola si
appartenga) sentire che la trama narrativa che va dispiegandosi
prenda insieme, integrandoli fra loro, eventi svariati e dispersi
(Ricoeur, 1983) costruendo, a partire da ciò anche totalità
significative, la morale del racconto, la fabula de te narrata.
Basti qui pensare alla più comune forma di ricostruzione
anamnestica, per es. al grave trauma emotivo iniziale,
a una grave perdita personale o a unesperienza di paura:
si pensi alle psicosi da spavento (F. Panse, Angts
und Schreck, Thieme, Stuttgart, 1952).
Non vi è dubbio che una narrazione così intensa,
proprio nel senso delle biswangeriane storie interiori
di vita, stimoli e solleciti lo psicoterapeuta ad entrare
nel mondo ipotetico, possibile e probabile, del come-se, proposto
o appena ventilato dal paziente, attirandolo nelle sue diverse
prospettive, varianti, ricostruzioni; unanamnesi è
sempre una metafora alla quale sottostà unautobiografia
del profondo.
Nel resoconto anamnestico del paziente, nel suo svolgersi e
riprendersi, lo psicopatologo deve saper cogliere le sequenze
alternative della narrazione, narrazione che diviene narranza
di significazioni, dove ogni trama proposta o adombrata mantiene
aperture variabili, passibili di cambiamento, sia nelle albe
che nei tramonti del divenire personale. Il racconto del proprio
passato passa sempre per momenti di ricostruzione, non certo
inventati o fantasticati, ma sempre carichi di emozione, di
mnemotività (come diceva Raimiste). Si pensi ai racconti
che il fanciullo fa a se stesso, dove sfaldature e linee di
clivaggio possono essere pluridirezionali (cfr. D. Munari Poda
ed. , Il volto dellaltro, Milano, Ed. La vita felice,
1999) - Noi siamo sempre di nuovo la storia che narriamo di
noi stessi e su noi stessi; e la nostra identità si costruisce
mediante la nostra narrazione o, meglio, mediante il nostro
farsi narranza. La nostra identità narrativa è,
insieme, accertamento di dati e racconto creativo, con una innegabile
unione ermeneutica fra fiction e storia vissuta; qui, ancora,
Ricoeur (Temps et récit, vol. II): luomo come trama
di una narrazione che conduce alla scoperta della nostra identità,
identità piena di senso e di decifrabilità.
Il mondo della dimensione narrativa è, come quello di
ogni esperire umano, sempre un mondo temporale, anzi si potrebbe
dire che lesperienza temporale è sempre articolata
in modo narrativo, sia come intreccio che come favola. Si pensi
qui, anche, alla trascrizione narrativa del racconto del
sogno, come comunicato a quel recettore vivente
che è appunto lanalista, il quale si trova di fronte
a una storia raccontata, che va a produrre nuovi significati
e nuovi intrecci. E qui compare appieno, nella sua attuale fluenza
di significato, il rimanere impigliati e impelagati nelle storie
dei nostri pazienti o dei nostri interlocutori on-line (J. Naudin
e coll., Evol. Psychiatrique 69,3,1995, pag. 575-591).
Wilhelm Schapp, rinnovando la fenomenologia e lermeneutica
attuali alla luce della narratività, ci consente di riprendere
la lezione di L. Binswanger alla luce di una teoria generale
dellesperienza in tanto che narratività. Invero,
la storia interiore della vita (come la intende Binswanger)
privilegia la ricerca delle connessioni di senso tra le esperienze
vissute. Ecco, allora, con L. Binswanger, la necessità
di pensare che il comprendere la storia di ciascuno come storia
individuale non basta; questa storia del singolo va ricostruita
in seno alle connessioni che ne fanno una storia comprensibile
pour autrui, per laltro-da-noi; questa è appunto
la narrazione, che è una storia di decisioni, di svolte
patiche e di scelte, attraverso la quale si rivela lunità
di uno stile, la dimensione irriducibile di un esser-narrante,
di una narranza. Esperire queste scelte dellaltro-da-noi
può rivelare intime connessioni di senso fra lesperienza
vissuta di uno psicotico e altre esperienze vissute da altri
uomini (psichiatri inclusi): le connessioni di senso, sia intra-
che inter-personale, come fondamento di ogni possibilità
di significato.
Laprirsi a relazioni intersoggettive che nascono e crescono
on-line (anche se a volte si incontrano chat lines con inquietanti
forums di discussione) ha la struttura stessa di un récit
de fiction, denso e a rete. Siamo prossimi alle dimensioni vissute
di ogni vicenda clinica, dove le storie degli uni sono incastrate
(il plotting) nelle storie degli altri, incastrate e aggrovigliate
ma aperte alle due estremità.
Come nelle chat lines, lesperienza clinica procede a zig
zag nel senso stesso di questo plotting, di questo restare impigliato
in storie, empetré dans des histoires, (1992, J. Greisch),
il cui orizzonte può ben essere anche quello delle comunicazioni
on-line; qui, al posto del primato della percezione, subentra
quello della cosa, della cosa-per (la Wozuding di
Schnapp) che deborda ampiamente il campo dellutensile
per ritrovarsi nella storia stessa. In altri termini, ciò
che caratterizza la cosa-per è il suo sorgere, emergere,
pro-porsi insieme con una storia, tuttuno con la narrazione,
meglio con una narranza, ondivaga. Questa tesi fenomenologica
fonda ogni narrativa: nelluomo la storia prende il posto
della percezione e ciò si coglie allo stato nascente
nella comunicazione on-line.
Importa allora e importa radicalmente vedere e
cogliere come gli altri si impigliano nelle loro storie vicendevoli;
è proprio questo che cerchiamo di comprendere allorché
parliamo di far sì che, lévinasiamente, lautre
devienne autrui. E ogni storia ci appare aprirsi ad un
orizzonte, ci si propone come connessione con altre storie,
senza un inizio e una fine: e lon-line non ha fine.
Questo nella connessione vivente mi pare essere il filo conduttore
della filosofia narratologica. La storia di un uomo, la sua
storia intima, può estendersi anche a dismisura verso
lascoltante, e intrecciarvisi e impigliarvelo. Narrazione
e ascolto, racconto e recezione non sono riducibili a mera trasmissione
dinformazione, ma vanno a costituire parte inscindibile
di connessioni viventi.
Su questa linea si può ben dire che esiste anche un auto-impigliarsi,
un intrecciarsi narrante di storie in prima persona, specie
in numerose storie passate, il cui intreccio sovente è
a mala pena rintracciabile.
Non si tratta qui di sola introspezione; si tratta piuttosto
di scoprire il nostro conficcarsi e immergersi nelle nostre
storie, seguendo a tastoni queste palafitte, a volte costruendone
il mobile assetto con lausilio dellimmaginario.
Nulla di meglio, qui, dellinternettizzazione delle relazioni
umane, fino allInternet Relay Chat e al MUD, ai giochi
di ruolo con valore di psicodramma, ed anche a forme di relazioni
intersoggettive on-line a valore psicoterapeutico: proteanismo
e appartenenze multiple, come analisi del virtuale, come fuori
dal ci dellesserci. Problema di psicopatologia
potrebbe allora divenire quello della minaccia allunità
delle varie storie: auto- ed eteronarrazioni non come mucchio
di pietre o ponteggio, ma come intrico di rami germoglianti,
in attesa dei propri grovigli. E dallintrico pluridirezioni
di crescita, narranze già predisposte per ulteriori tessiture,
conformi ai venti che modellano la direzione di crescita, il
piegarsi, il riprendersi, la resiliency.
Ecco allora, per i futuri terapeuti in internet, il racconto
che trae forma, che sopravanza se stesso e pur continuamente
si ripiega indietro, in una presenza di passato e di futuro,
in un orizzonte itinerante della narrazione, con evadere e far
fronte, come les enfants sans lien, di Cyrulnik, come i mondi
sospesi di Di Petta.
A me pare che la concezione delle connessioni viventi di (Schapp)
che fanno le storie interiori di vita, gli intrecci che ne formano
la contestura binswangeriana, facilitino unaltra via di
accesso a quello che la psicoanalisi chiama inconscio (come
ben ci mostra Ravasi Bellocchio in un suo recente bel contributo):
appunto laccesso offertoci dalla dimensione narrativa
in cui ogni relazione si innicchia e si invischia. Questo ci
consente di comprendere come il racconto (le recit) del nostro
passato sia unanticipazione, unintenzione di andare
a cercare nella nostra memoria qualche ricordo (Paul Valéry
diceva le souvenir de lavenir) per comporre
una narrazione: un racconto da indirizzare agli altri ma anche
a noi stessi. Ciò significa che ogni racconto, come dice
Cyrulnik, è una coproduzione (pag. 163).
Ecco allora il nostro co-involgimento con le storie dei nostri
pazienti, un coinvolgimento non raramente profondo e denso.
Lasciando da parte le implicazioni pratiche di ciò, a
volte con un mirabile passaggio dallalienità allalterità,
insisterei piuttosto sul ritorno alla fenomenologia comprensiva
come pensiero delle connessioni viventi proprio secondo la concezione
dellanalisi narrativa di Wilhelm Schapp. E in questo
senso che possiamo evocare le storie del paziente mentale, storie
che, sovente, sono in sé ancora piene di senso e sono
anche ricollegantisi le une alle altre: dallalcove obscure
de souvenirs, di Baudelaire, a le glacier des vols qui nont
pas fui, di St. Mallarmé, e a la recherche du temps perdu,
di Proust.
Ecco allora limportanza della comprensione ermeneutica,
del recit ricoeuriano, delle connessioni viventi di Schapp.;
esperire significa stabilire connessioni di intenso significato
in seno a una storia intima di vita, continuare un illimitato
discorso a intreccio, un agire che non può essere còlto
al di fuori della narrazione. In tal senso lanalisi esistenziale
(allo stesso titolo della psicoanalisi) è unanalisi
narrativa. Una tale analisi narrativa, espressione
forse criticabile linguisticamente, mantiene la sua ambiguità
ove ci si chiede se essa sia (o sia anche) un metodo terapeutico;
si potrebbe ben dire che la psicoterapia sia una vera e propria
variante del colloquio narrativo.
Lauto-impigliarsi come sottomissione a un tema divenuto
autonomo (si pensi ad uno sviluppo delirante) è un vero
orizzonte di chiusura, zona perenne di penombra, sempre più
fitta, incomprensibile (jaspersianamente), perché solo
la comprensione, stabilendo connessioni viventi, è apertura
ad altri campi, al altre storie, ad altri orizzonti. Ecco profilarsi
una precisa riformulazione del compito dello psichiatra e della
psicoterapeuta: col colloquio, con lentretien, con la
connessione, egli deve recuperare o instaurare un accesso ad
altre storie, ad altre narrazioni, ad altre significanze, riaprendo
così connessioni viventi nellambito di una dialogicità
ritrovata, di un nuovo co-empetrement (Fédida).
Linternet narrante può facilitare in non pochi
casi laccesso ala dimensione narrativa di una storia,
allarticolazione di nuove connessioni viventi nellintimità
dellesperienza; potrebbe profilarsi una analisi strettamente
narrativa, con una propria sintattica, semantica, pragmatica;
il che potrebbe arricchire e intensificare quella Social
Construction of Reality così ben evocata da Berger
e Luckmann.
Da quanto sono venuto dicendo appare ben delineabile il rischio
della chiusura nella realtà immaginale (una volta si
parlava forse, a questo proposito, di autismo ricco
cfr. A. Ballerini), di attingimento a nuove forme di
coesistenza (ad es. la sociabilità di Liliana Deroche-Gourcel);
e qui si giustifica lallarme della Turkle, la strizzacervelli
del cyberspazio;; la quale ritiene (in: Life on the Screen,
1966) che il concetto di Io andrà considerato sempre
meno come indicante unistanza unitaria e sempre più
come la risultante di molteplicità di frammenti e di
proiezioni (il Sé proteico, di Lifton, 1993), che rispecchiano
e riproducono il mondo-ambiante, lUm-Welt; questo sé
proteico, come identità multipla e decentrata o pluricentrica,
non necessariamente da interpretarsi come segno di isteria o
di schizofrenia.
Certamente il rischio è maggiore nelle personalità
più vulnerabili e labili; è il rischio che la
realtà virtuale possa condurre fuori del reale, a volte
generando inquietanti sintomi di onnipotenza, con discontrollo
della critica, che riverberano nella realtà giornaliera,
con evidente disadattamento. Soprattutto, queste eventualità
ci autorizzano a chiederci se, in un eventuale, ben delineata,
psicopatologia propria del circolo Internet, sia possibile alternarsi
fra un mondo concreto e uno virtuale senza rischiare drammatiche
conflittualità psicopatogene. Va detto anche che la dimensione
e narrativa dellesistenza, come qui prospettata da me
nei suoi aspetti più attuali e individuabili, rischia
di divenire modalità di abuso o di addiction, checché
ne sia , va sottolineato che sono le chat-rooms a dare più
dipendenza; in vero, per molto le relazioni virtuali sono il
miglior tipo di rapporto o quello più a portata di man
o, dove il singolo può assumere qualsiasi identità
e dimensione desistenza, colmando vuoti, anche consistenti,
costituiti dai bisogni insoddisfatti di comunicazione interpersonale,
di dialogo, di reciprocità. Si tratta di tematiche che
nei prossimi anni saranno crescenti, anche dal punto di vista
etico.
© Bruno Callieri
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