LA solitudine
29 gennaio 2004
Premessa
Nel corso della vita ogni uomo
ha provato lesperienza della solitudine, e quando lha
confrontata con gli altri si è accorto che non ne esiste
una sola.
Ognuno di noi ha un modo proprio di rappresentarsela, di viverla
e perché no, dimmaginarsela. Esiste dunque una
solitudine diversa per ognuno di noi? Io credo di sì,
e, se spiegarla non è sempre facile, un tentativo è
doveroso. Ho quindi utilizzato le parole del Piccolo Principe
per tradurre le immagini in forma scritta. Ascoltiamolo.
Dagli uomini, disse il Piccolo Principe, coltivano
cinquemila rose nello stesso giardino... e non trovano quello
che cercano E tuttavia quello che cercano potrebbe
essere trovato in una sola rosa o in un po dacqua...
Ma gli occhi sono ciechi. Bisogna cercare col cuore
(Saint-Exupéry, 1943, pag. 108).
Partendo dalluomo, ritengo che queste parole esprimano
la condizione umana doggi; proteso nel ricercare allesterno
i significati delle cose, non si rende conto che sallontana
sempre più dalla fonte originaria interiore. Con queste
parole, il Piccolo Principe lancia un messaggio di ricerca ed
indica la strada che vorrei percorrere con voi.
Perché parlare, dunque, della solitudine?
Se esiste una spiegazione essa può essere ricondotta
alla natura della solitudine: essa tocca profondamente tutti
gli uomini, è ineliminabile, ci accompagna per tutta
la vita e, soprattutto, perché, per alcuni, i più
fortunati, può diventare la strada della ricerca interiore.
Definizione di solitudine
Etimologicamente il termine solitudine
rimanda alla parola separare composta da se
e parare. La prima indica divisone,
la seconda parto. Il termine solitudine rimanda
alla separazione del nascituro dalla madre con la conseguente
perdita di uno stato particolare. La stessa parola solitudine
rammenta alluomo la perdita che ha vissuto, in quanto
ne rappresenta levento avvenuto. Nessuno può negare
che sia unautentica esperienza di vita vissuta.
Luomo, oggi come ieri, è solo, con gli anni ha
imparato a convivere con la solitudine, ma a quale sacrificio?
Le origini della solitudine
La solitudine, nonostante offra
alluomo innumerevoli opportunità per maturare e
divenire un soggetto autonomo, è spesso ricettacolo di
valenze negative. È una condizione spiacevole, a volte
spaventevole, che spesso diventa un nemico da fuggire a qualsiasi
costo. Tutto ciò visto come il risultato di un vivere
caotico aggravato anche dalleredità biblica, conseguenza
delle azioni peccaminose compiute dallindividuo: perfino
Adamo ed Eva perdono il paradiso celeste e sono condannati ad
una vita di sofferenze e di dolore. Il dolore della perdita,
della separazione.
La solitudine, dunque, esiste prima delluomo.
Lovulo, al momento della fecondazione, è solo.
Assunto il patrimonio genetico del partner, le reazioni fisico-chimiche
dellorganismo separano lovulo dagli altri spermatozoi
e lo isolano definitivamente dalla popolazione cellulare materna.
È un organismo estraneo che conserva leco della
madre e del padre. La fecondazione stessa è fautrice
di separazione. A partire dalla quattordicesima settimana, lembrione,
che si chiamerà feto, è sperduto nelloceano
del ventre materno, è solo.
In futuro, la nascita, la crescita, ladultità rievocano
la solitudine originaria.
Socialmente, poi, la solitudine la riconosciamo con chiarezza.
Pensiamo ai milioni di bambini abbandonati nel mondo che vagano
soli, senza una meta precisa.
I nostri vecchi, quanti sono abbandoni nellanonima città?
Quante famiglie, sempre più estranei gli uni agli altri,
vivono isolate nellorrore della televisione?
Quanti ragazzi sono soli, nella prigione dorata del loro Walkman?
Quante persone, robotizzate dal lavoro, dalla spada di Damocle
del licenziamento, della disoccupazione, sono costrette ad una
solitudine forzata?
Labbandono e dunque la solitudine, non risparmia nessuno.
Dio stesso, essendo uno, è solo.
Alcuni aspetti della solitudine
La solitudine presenta moltissime
sfaccettature: ve ne sono di forzate, in genere imposte dalle
circostanze della vita, quali la prigionia, gli handicap e la
malattia, lisolamento percettivo o labbandono di
una persona cara.
Vi sono poi solitudini volute e ricercate. Quelle del creativo,
dellasceta o di chi, nella quotidianità, sente
il bisogno di ricercare un momento suo, per recuperare le energie
disperse nel mondo, per ritrovare quella parte soffocata dallaffanno
della vita, quando, invece, non è altro che una fuga
dalle situazioni che non riesce a gestire.
Vi sono ancora solitudini imposte dalla società. I mezzi
di comunicazione, i mass-media, gli slogan pubblicitari che
invitano ad isolarsi, a distinguersi esprimendo modi di vita
unici che accentuando lindividualismo. In
realtà la meta proposta è solo illusoria, dato
che è raggiungibile solo con comportamenti ed oggetti
uguali per tutti. Questi messaggi, per loro natura contraddittori,
alimentano la fuga e la ricerca di un rifugio che, visto come
un luogo dopposizione allesterno, limita la crescita
e lo sviluppo dellautonomia individuale.
Gestire la solitudine
Le reazioni sono le più
disparate e a volte le più paradossali. Luomo contrappone
alla solitudine un mondo costellato da relazioni, disseminato
di immagini ed affastellato da azioni. Nel tentativo, perenne,
di placare limmagine della solitudine che si porta addosso
come una seconda pelle, si procura le sofferenze e le gioie
della vita. Sarà poi la sua natura profonda, o il terreno
psicobiologico, a far pendere la bilancia da una parte piuttosto
che dallaltra.
Per non ripetere lesperienza della solitudine, luomo
è disposto a tutto, anche alla guerra. È disposto
addirittura ad abbandonare, per non sentirsi solo, ad uccidere,
per non sentirsi morire dentro. Il continuo bisogno di potere,
espresso da persone influenti o da intere nazioni, può
essere letto come una reazione alla solitudine.
La solitudine contiene, quindi, sia la depressione sia la reazione,
sia la fuga sia la ricerca e quando luomo riesce a contrapporre
la disperazione della vita alla speranza le opere che realizza
sono geniali.
La solitudine non essendo solo disperazione è speranza
e forza, conquistata nel riconoscimento di una propria individualità.
Esiste dunque una felicità nella solitudine.
La felicità della solitudine
Cercando dindividuare un
percorso, si rende necessario rieducare le persone alla solitudine
rendendola uno strumento che permette sia di realizzare un vero
incontro, con il proprio sé, sia di far germogliare le
emozioni che proviamo, leggiamo, sentiamo, compiamo ed inventiamo,
sia di ridare valore al silenzio, come atto preparatorio al
comunicare con gli altri.
Mi riferisco alla solitudine feconda che non può prescindere
dalla relazione con laltro, senza scadere in isolamento,
poiché condurrebbe nellestremo soggettivismo, nellautosufficienza,
nel rifiuto dellaltro come diverso da sé. Questultimo
aspetto è contrapposto al concetto di autonomia, intesa
come capacità di distinguere tra sé e gli altri
con chiarezza. La mente, in ogni caso, deve saper trovare da
se stessa la propria felicità.
La solitudine forzata
Esistono dei casi in cui lindividuo
non può sfuggire alla solitudine: benché la società
tenti di deprezzarla, esistono delle condizioni in cui lesterno
impone alle persone la solitudine. In questo caso alluomo
non rimane altro che soccombervi o servirsene. Le segregazioni
in celle disolamento, le prigionie di guerra, le privazioni
o le limitazioni sensoriali, dovute ad esempio a certe malattie
(cecità, sordità, interventi chirurgici deprivanti),
sono solo alcuni esempi di solitudini forzate.
In alcuni casi, la solitudine forzata è diventata, per
qualche personaggio della storia, la condizione che ha permesso
lespressione della fantasia. La creatività ha avuto
lopportunità di esprimersi, tantè
che alcune delle più grandi espressioni artistiche sono
nate in condizioni disolamento. Dostoevskij, trovando
in sé risorse spirituali che gli permisero di sopportare
la prigionia, scrisse memorabili opere. Beethoven, la cui sordità
l'ha portato ad isolarsi dal mondo, ha potuto sviluppare una
grande sensibilità interiore, le sue opere più
belle hanno visto la luce nel silenzio.
La creatività, come modo per esprimere un mondo interno,
non è solo prerogativa degli artisti, si può ritrovarla
negli hobbies, talora unici, delle persone comuni, come mezzo
per esprimere le proprie attitudini. Sono casi in cui dal
fango è potuto nascere un fiore di loto.
La solitudine voluta
Si parla molto del desiderio e
della paura della solitudine, poco della capacità dessere
soli. Durante il nostro sviluppo psicofisico, se non abbiamo
subito dei traumi gravi, dallinfanzia ad oggi, abbiamo
sperimentato, magari gradualmente, un essere soli anche in presenza
dellaltro. La fiducia, costruita dentro di noi negli anni
della crescita, ci ha permesso di controllare la solitudine
di riconoscere i sentimenti che animano la parte profonda della
nostra mente e di esprimerli.
La solitudine diviene, così, condizione privilegiata
e da ricercarsi per aiutare lindividuo ad integrare i
pensieri interni con i sentimenti. La meditazione, la preghiera
e, a livello inconscio, il sonno operano questa trasformazione.
Costruire un momento di solitudine e di silenzio aiuta la persona
a ritrovare se stesso nelloceano della vita. Lanelito
di questo momento permette labbandono a qualcosa o qualcuno
sopra di lui, in grado di dare significato alla vita, alle emozioni
quotidiane ed al silenzio ricercato.
La solitudine, fuga o difesa?
Abbiamo visto che il saper star
soli, rappresenta una preziosa risorsa. Permette agli uomini
di entrare in contatto con i propri sentimenti più intimi,
di riorganizzare le idee, di mutare atteggiamento. In alcuni
casi, persino lisolamento forzato può rappresentare
un incentivo alla crescita dellimmaginazione creativa.
Esiste ancora una forma di solitudine, quella più semplice,
di tutti i giorni, che si realizza come via di fuga dalla tensione
della vita quotidiana. Alcune persone isolandosi riescono ad
evitare un leggero stato di depressione o di apatia ed investono
in creatività.
Si può arrivare ad affermare che questo tipo dinvestimento
permette una vera e propria fuga dalla malattia mentale. Osservate
le persone dedite prevalentemente al lavoro, sembra che non
ne possano fare a meno. A volte si ha addirittura limpressione
che siano drogate. Non vi è da stupirsi se appaiono avide
di lavoro. Per loro, forse, lincapacità di reggere
le emozioni di una relazione umana alla pari, le spinge alla
solitudine. Spesso queste persone appaiono fredde, distaccate
e poco accattivanti, ma è solo una conseguenza, volta
a mascherare la debolezza e la vulnerabilità verso gli
altri.
Quale futuro nella solitudine?
Per concludere mi sono chiesto
qual è il destino delluomo. Può uscire dalla
solitudine?
Temo di no, anzi ne sono convinto, ma luomo vivendo in
solitudine ha imparato a conviverci. Per quelli che non sono
caduti nella disperazione la ricerca di vita, sia materiale
sia spirituale, ha fornito una ragione per tentare, per vivere.
Ognuno di noi, con le proprie capacità e con le proprie
convinzioni, ha cercato una via e tracciato dei percorsi. Cercando
di descriverli, ho riconosciuto quattro cammini. Non ritengo
uno più meritevole di un altro, li interpreto, semmai,
come dei tentativi, neutri se vogliamo, volti a recuperare una
situazione di benessere, fortemente integrati nella complessità
della vita.
ß Ho visto persone che hanno delegato a Dio la
loro stessa vita, consapevoli che esiste una forza più
grande delluomo, sempre disposta ad operare per la crescita
umana. Sono le persone che allapparenza soffrono meno
della solitudine, per loro la fede, oltre che una guida alla
vita, rappresenta un faro che non farà calare la notte
nellanimo.
ß Ho visto persone che hanno percorso la via che dallesterno
porta al centro. Esercitando il controllo hanno percorso
la via della disciplina, del proprio corpo, della propria mente.
Sono persone che hanno trovato un equilibrio discreto nel rispetto
delle norme, dei precetti morali e nel rispetto di sé
e degli altri. Sono persone che soffrono molto le ingiustizie,
perché queste le rendono sole.
ß Ho visto persone che avvertivano il bisogno di condividere
con altri la propria solitudine, salvo poi soffrire della stessa
quando si lasciano. Sono persone molto orientate alle relazioni
esterne, amanti della vita sociale, ricevono calore e sostegno
in gruppo.
ß Ho visto persone, infine, che hanno cercato di metabolizzare
la solitudine. Utilizzando gli strumenti che la società
e la cultura mettevano loro a disposizione, hanno tentato una
ricerca: abbandonati i precetti religiosi, politici e sociali
si sono messi in gioco intimamente elaborando le esperienze
di vita vissuta, le debolezze e la forza, propria di ogni individuo.
Sono persone che hanno fatto i conti con il proprio vuoto interiore,
con la paura della morte e dellabbandono. Sono persone
che hanno affrontato un percorso di analisi profonda e che hanno
avuto il coraggio di chiedere aiuto, consapevoli che metabolizzare
la solitudine è un percorso di ricerca continuo, che
dura tutta la vita e che spesso rievoca i grandi dolori vissuti.
Scusate in questultimo punto mi sono divulgato, del resto
lavoro con la sofferenza umana e, tra le poche consapevolezze
vissute sulla mia pelle, so che dalla solitudine non si può
uscire, ma si può assegnarle un significato.
Dentro il mio cuore ho una segreta speranza: visto che la solitudine
traduce nei sentimenti la separazione da qualcosa o da qualcuno,
vorrei poterla trasformare nel ricordo. Il ricordo di
unesperienza vissuta, esattamente come nel racconto del
Piccolo Principe.
No, disse il piccolo principe. Cerco degli
amici. Che cosa vuol dire addomesticare?
E una cosa da molto tempo dimenticata. Vuol dire
creare dei legami...
Creare dei legami?
Certo, disse la volpe. Tu, fino ad ora, per
me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E
non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non
sono che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi,
noi avremo bisogno luno dellaltro. Tu sarai per
me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo.
Comincio a capire, disse il piccolo principe. Cè
un fiore... credo che mi abbia addomesticato...
...
Ma la volpe ritornò della sua idea:
La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline,
e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano,
e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio per ciò.
Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come illuminata.
Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso
da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto
terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica.
E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano?
Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I
campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste!
Ma tu hai dei capelli color delloro. Allora sarà
meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è
dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore
del vento nel grano...
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
Per favore... addomesticami, disse.
Volentieri, rispose il piccolo principe, ma
non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici,
e da conoscere molte cose.
Non si conoscono che le cose che si addomesticano,
disse la volpe. Gli uomini non hanno più tempo
per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già
fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini
non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!
Che bisogna fare? domandò il piccolo principe.
Bisogna essere molto pazienti, rispose la volpe.
In principio tu ti sederai un po lontano da me,
così, nellerba. Io ti guarderò con la coda
dellocchio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte
di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po più
vicino...
Il piccolo principe ritornò lindomani.
Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora,
disse la volpe. Se tu vieni per esempio tutti i pomeriggi
alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice.
Col passare dellora aumenterà la mia felicità.
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e
ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità!
Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che
ora prepararmi il cuore... Ci vogliono i riti!.
Che cosè un rito?(...)
E quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni,
unora dalle altre ore.(...)
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando lora della partenza fu vicina:
Ah! disse la volpe, ...piangerò.
La colpa è tua, disse il piccolo principe,
io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti
addomesticassi...
E vero, disse la volpe.
Ma piangerai! disse il piccolo principe.
E certo, disse la volpe.
Ma allora che ci guadagni?
Ci guadagno, disse la volpe, il colore del
grano.
(Saint-Exupéry, 1943).
© Ambrogio Zaia