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Scienza e Psicoanalisi
 OSSERVATORIO
Osservatorio di Psicoanalisi applicata
Articolo di Bruna Marzi 
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Considerazioni su analogie tra riti tribali e cerimoniali ossessivi

18 settembre 2004

Già pubblicato sui pre-atti del Congresso Mondiale di Arte Preistorica e Tribale
“Nuove Scoperte Nuove Interpretazioni Nuovi metodi di ricerca
Darfo Boario Terme 8 – 14 settembre 2004

Nel suo scritto “La religione delle origini” Anati parla della presenza di comportamenti rituali già negli animali, dei quali si trovano tracce nell’uomo preistorico (australopitecini) in ambito religioso e nel rapporto con i fenomeni naturali.
Fanno riferimento al comportamento ritualistico tutte le forme di collezionismo di oggetti: “nel paleolitico l’uomo raccoglieva i crani” 1  scrive Anati, forse già con l’intento di rispondere a quesiti sulla propria identità.
Ciò nonostante, per parlare di concettualizzazioni e di intellettualizzazione bisogna aspettare l’avvento dell’Homo Sapiens, che segnerebbe una rapida ascesa nel processo evolutivo. Le tracce lasciate in tutti i luoghi dove l’uomo nuovo si è insediato lasciano supporre l’acquisizione di straordinarie capacità sul piano intellettivo e cognitivo, di gran lunga superiori rispetto ai suoi predecessori.
Si assiste al fiorire di espressioni artistiche con tematiche e stili ripetitivi che indicano, sempre secondo Anati, l’esistenza di un unico linguaggio visuale e di una medesima logica associativa di idee. “Sono state fatte scelte ben precise delle tecniche di realizzazione sia della pittura, sia dell’incisione, come se l’atto dell’istoriare seguisse dei dettami di carattere rituale” 2. La ripetizione di tali elementi e delle tecniche di realizzazione, testimonia, sec. Anati, la presenza di matrici comuni primordiali, caratteristiche della nostra memoria sommersa”.
Tralasciando tutti i contesti sociali e religiosi in cui è possibile osservare le vestigia di un comportamento ritualistico, desidero limitare l’attenzione al campo clinico in cui si riscontra la presenza di forme di ritualizzazione nella nevrosi ossessiva.
Lo scopo che mi prefiggo nel presente lavoro, è di analizzare la natura e l’origine delle analogie tra le ritualizzazioni preistoriche rintracciate nell’arte rupestre ed i cerimoniali dei nevrotici ossessivi.
In ambito psicoanalitico S. Freud si è occupato dei riti delle popolazioni primitive, e del loro significato inconscio, sottolineando l’esistenza di analogie tra gli usi derivanti dal tabù (in primis il tabù dell’incesto) e i sintomi della nevrosi ossessiva.
Secondo Freud i rituali trarrebbero origine da antichi tabù che l’uomo si sarebbe imposto per contrastare i suoi impulsi aggressivi e sessuali. In estrema sintesi il pensiero espresso da Freud in Totem e Tabù 3, è il seguente: i divieti più antichi che diedero luogo alle leggi sul totemismo, sono fondamentalmente rivolti all’evitamento dell’incesto (rapporti sessuali all’interno del clan) ed in ultima analisi alla costituzione di un ordinamento sociale più esteso. La spinta pulsionale che avrebbe portato alla violazione del tabù rendeva necessaria l’espiazione della colpa attraverso cerimoniali di evitamento dell’oggetto desiderato o di suoi sostituti. I divieti si sarebbero poi organizzati in un patrimonio psichico ereditario tramandato, probabilmente per rinforzo, cioè per successive violazioni del tabù stesso, costituendo quella “legislazione” da lui definita “complesso di Edipo”.
Analogamente la vita dell’ossessivo è costellata da divieti. Sul piano sintomatico la N.O. è caratterizzata da una pressione incoercibile e angosciosa che spinge il soggetto a compiere determinate azioni e pensieri in maniera coatta: lavarsi ripetutamente le mani, calpestare le righe delle mattonelle, aprire e chiudere il gas. La perfetta esecuzione di tali rituali serve a gestire il peso dell’autoaccusa e a garantirsi un sistema punitivo che allevia la persona dal senso di colpa per aver commesso un supposto misfatto. Il pensiero soggiacente è del tipo: “se non riesco con un balzo a tenere la porta aperta, mia madre morirà”. Il desiderio, talvolta conscio, ma affettivamente isolato, è che la spinta aggressiva raggiunga l’oggetto, in questo caso che la madre muoia. Ne conseguono una serie infinita di controlli atti ad evitare che il fatto temuto/desiderato avvenga. Tra questi, per l’appunto, la ripetizione coatta di gesti, azioni, scongiuri.
A titolo esemplificativo esporrò il caso di una persona che, a mio parere, presenta nel comportamento manifesto, alcune analogie con le ritualizzazioni riscontrate da Anati nelle popolazioni primitive.4
Si tratta di una collezionista di ciotoline che presentava un quadro sintomatico tipico della N.O. Il sintomo più fastidioso era costituito da un rituale di vestizione: ogni mattina la persona era costretta ad indossare e togliere tutti i capi d’abbigliamento del suo guardaroba nel tentativo di trovare quello che la facesse sentire a suo agio, comoda, adeguata. Manifestava, inoltre, difficoltà relazionali con il sesso opposto e anorgasmia. L’omosessualità latente era sublimata da pratiche masturbatorie coatte, accompagnate da fantasie di unione sessuale con donne.
La persona intratteneva una relazione sado-masochistica con un fidanzato con il quale aveva stipulato un patto che avrebbe dovuto evitare ad ambedue di incorrere nella tentazione di avere rapporti sessuali con altri partners.
Si erano giurati “sur la tete de la mère di non incontrare nè parlare a persone dell’altro sesso. La violazione di tale divieto avrebbe comportato qualcosa di molto brutto alle rispettive madri. Infine il divieto era stato esteso alla visione di programmi televisivi che mostravano donne poco vestite.
Le associazioni alla parola “tete”, essendo la persona di lingua italiana, avevano stimolato la produzione di materiale riguardante il seno (tetta) voluminoso della madre ed i rapporti sessuali tra i genitori. L’attenzione si era poi concentrata sulla collezione di ciotoline che la persona associò agli oggetti rappresentanti la relazione fusionale con la madre: seno, utero, cioè quei contenitori dai quali dipende la sopravvivenza del feto/bambino. S’intende, infatti per “fase fusionale” quel periodo che va dal concepimento ai primi 6/8 mesi di vita postnatale, durante il quale il feto/bambino non ha una percezione di se stesso come di un’entità separata dalla madre, per cui qualsiasi rottura dell’omeostasi relazionale, implica un vissuto mortale di deprivazione energetica.
Il soggetto era alla ricerca di un’identità sia sessuale sia in quanto entità psicobiologica; ripetendo inconsciamente la filogenesi, affidava alle ciotoline (coppelle) la funzione di connotare la propria appartenenza al genere femminile.
Tale processo (di individuazione della propria identità), risultava ostacolato da una fissazione a fasi preoggettuali dello sviluppo. La teorizzazione micropsicoanalitica, rispetto alla N.O. va oltre la formulazione freudiana di fissazione allo stadio sadico anale, attribuendo grande importanza alla vita intrauterina e parla di fissazione allo stadio inziatico-anale.
Riprendendo le formulazioni già citate di Anati e le elaborazioni di Peluffo circa la spinta esistente nell’uomo fin dai primordi, di scoprire la sua identità, di differenziarsi dal resto della natura nonché dal mondo animale, ritengo che le tracce di tali spinte pulsionali, che si ritrovano nelle forme di collezionismo di oggetti e successivamente nelle manifestazioni artistiche, possano costituire impronte di esperienze che formano il patrimonio filogenetico dell’essere umano e che vengono recuparate per via associativa, quando le condizioni situazionali/affettive lo richiedono. Mi riferisco a ciò che Anati chiama “memoria sommersa”.
Probabilmente prima che fosse scoperto un codice alfabetico che permettesse di esprimere il pensiero astratto, l’essere umano utilizzava in maniera prevalente la sensorialità e la motricità per soddisfare i suoi impulsi. Proprio le progressive rinunce al soddisfacimento diretto, cioè al raggiungimento dell’oggetto fonte/meta del desiderio (rimozione) rappresentano gli eventi traumatici originari. L’elaborazione del conflitto attraverso l’uso di meccanismi difensivi quale lo spostamento e la sublimazione, ha consentito lo sviluppo di capacità cognitive superiori. Mi riferisco a quelle qualità, come scrive Anati, forse già presenti nel neanderthal e riscontrate nel Sapiens: “capacità di accumulo delle informazioni, capacità analitiche, associative e di astrazione…”5 di cui l’arte rupestre ci ha lasciato testimonianza.
La ripetizione degli eventi traumatici nell’ontogenesi di un individuo, costituisce un intralcio allo sviluppo delle potenzialità acquisite dalla specie e lo costringe a regressioni sia sul piano cognitivo sia su quello pulsionale.
Da un punto di vista cognitivo si assiste al permanere di sistemi di spiegazione infantili. Tra questi, per esempio, il pensiero magico: “se non riuscirò con un balzo a tenere la porta aperta, mia madre morirà”. Talvolta si riscontrano difficoltà di acquisizione di forme di pensiero astratto che, sul piano ontogenetico, richiamano l’utilizzo di strumenti conoscitivi ed espressivi del bambino nello stadio sensorio-motorio, su quello filogenetico autorizzano raffronti con quelle tappe dello sviluppo della specie umana in cui il gesto ha rappresentato presumiblmente la prima modalità espressiva dell’affettività.
Da un punto di vista pulsionale si costituiscono fissazioni a fasi precoci dello sviluppo che ostacolano l’accesso alla relazione d’oggetto.
Durante un seminario sulla nevrosi ossessiva N. Peluffo 6  diede una definizione della nevrosi ossessiva che ha stimolato le mie riflessioni successive, comprese quelle che hanno motivato il presente scritto. Egli disse: “la N.O. è l’espressione psichica di un trauma motorio avvenuto in utero”. Si riferiva, cioè ad un periodo della vita ontogenetica in cui l’essere umano dispone solo della motricità per esprimersi. In quelle condizioni gli eventi traumatici possono essere costituiti dal le manifestazioni somatiche delle reazioni di rigetto da parte dell’organismo materno: contrazioni uterine, brusca riduzione dell’apporto di ossigeno ecc.
Sottoposto ad una improvvisa variazione dell’omeostasi, il feto cerca di reagire attraverso l’unico mezzo che ha a disposizione: la motricità, alla ricerca del gesto perfetto che gli consenta di assumere una posizione comoda e di sottrarsi alla tensione.
Tale tentativo di diseccitazione rimane però bloccato per effetto della reazione di rigetto materna, provocando un evendo traumatico che metterà il soggetto nella necessità coatta di trovare modalità di riparazione.
Nel corso della vita, ogni volta che si troverà in situazioni associativamente simili a quelle traumatiche originarie il nevrotico utilizzerà modalità regressive di abbassamento della tensione.
Da un punto di vista filogenetico attingerà al bagaglio delle esperienze copulsionali degli antenati iscritte nell’Es (memoria sommersa), restaurando nell’agire modalità divenute anacronistiche e apparentemente anti economiche: il gesto, cioè la forma primitiva dell’impulso.
Portatore di un trauma avvenuto in utero e consolidatosi allo stadio anale, il nevrotico ossessivo è alla ricerca coatta ed infruttuosa di quel gesto perfetto che lo riporti alla relazione fusionale con il contenitore/mamma e gli consenta di ripristinare la situazione antecedente alla rottura traumatica.
Tale regressione sorretta dalla pulsione di morte, pone il soggetto a contatto con una zona di sempre minor differenziazione che determinerà una reazione opposta (pulsione di vita). Sul piano pulsionale il fallimento dell’esecuzione del “gesto perfetto”e la necessità coatta di ripetere il rituale, rappresenta la manifestazione, nel secondario, della pulsione di vita, in quanto tentativo di differenziarsi dalla madre fusionale e successivamente dalla madre infantile dello stadio anale.
E’ a questo punto (stadio anale) che l’utilizzo del gesto prende una forma rituale, in coincidenza con l’acquisizione del controllo volontario della muscolatura, in particolare l’acquisizione della statura eretta, della deambulazione e del controllo sfinterico e grazie alla contemporanea comparsa del linguaggio che segna sul piano evolutivo della Specie e su quello individuale, l’inizio della mentalizzazione dell’azione e la formazione del pensiero propriamente detto.
L’impulso si esprime attraverso il desiderio di appropriarsi, di possedere l’oggetto e poterlo controllare. In età adulta prenderà alternativamente la forma di collezionismi di vario genere, come nel caso sopra esposto (ciotoline o coppelle) o quella di rimuginamenti ideativi.
In conclusione, possiamo affermare che in tutti i tempi l’Uomo ha sentito il bisogno di riunire, conservare e eventualemente classificare oggetti naturali o fabbricati 7. L’Arte rupestre dimostra che si tratta di una delle caratteristiche fondamentali del comportamento pulsionale umano. Per la micropsicoanalisi, il fatto di collezionare è pulsionale, vale a dire che mette in moto una spinta psico-biologica la cui specificità consiste in oggetti che tentano di realizzare inconsciamente l’eternità dell’individuo.
Anzi, a questo proposito, si può evidenziare una perfetta concordanza tra le nostre due discipline, la micropsicoanalisi e l’Archeologia dell’Arte Ruestre, individuando una pulsione a collezionare che struttura l’organizzazione della sessualità e dell’aggressività dello sviluppo sia filogenetico che ontogenetico.

Note:

1  E. Anati: “La religione delle origini” Studi Camuni, Vol. XIV. 1995 Ed del Centro. Pagg. 55-56. Back!
2   E. Anati: Op. cit. pag. 89. Back!
3  S. Freud: “Totem e Tabu” OSF Vol VII. Back!
4 E. Anati: Op. cit. pag.68-70. Back!
5  N. Peluffo: “La nevrosi ossessiva” in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, Tirrenia Stampatori, Torino. Back!
6  N. Peluffo: “Riflessioni sulle costanti rappresentazionali-affettive dell’espressività umana” Convegno Assembleare CCSP Capo di Ponte (BS) 5 aprile 2003. Back!
7  S. Fanti: “Pulsion de collection” in Collections Passion, Musée d’Ethnographie, Neuchatel, 1982. Back!

© Bruna Marzi

Abstract:

Some considerations upon analogies between tribal rituals and obsessional ceremonials

Dott.ssa Bruna Marzi Chiari
Psychologist, micropsychoanalist

The author tries un integration between Freud’ theories of instincts and Piaget’s on cognitive process development, in accordance to what  N. Peluffo said in his last speach in Capo di Ponte in 2003 regarding flight phobia.
We assume that during ontogenesis the human being passes through philogenetic development stages and in particular that the child in evolutive age uses the design and gesture to express his psychic life, since he is still unable to use a linguistic code. Similarly to what happened to our anchestors in prehistoric era in rituals and in graphic representation of them.
Using Anati’s expression we could talk of a “submerged memory” where are engraved trails of instinctual experiences that can be recovered, by association, when required by particular affective and situation conditions.
In obsessional neurosis ceremonials have an economic function, in relation to the need for lowing down tension. Through the gesture that the neurotic compulsive repeats during his ceremonials, he tries to find a system which can express at the same time the wish and the need for self-punishment. Such need allows to reduce sense of guilt, by using an expressive mean which can be, only formally, compared to the one used by the primitive man in ritual and by the child in concrete logic stage. After all, from an instinctual point of view, obsessive neurotic has a fixation to early psycho-sexual developing stages (intrauterine-anal), where there is no access to object relationship and gesture is the only mean which allows unexcitation; while for primitive man it represents a transition phase.

 

     
 

 
 
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