Serial Killer: tra normalità e follia
24 novembre 2004
Quando parliamo di omicidi e di anime che uccidono altre anime, stiamo parlando di uno degli argomenti più complessi su cui uno studioso possa cimentarsi. La sua complessità però non riguarda una elevata difficoltà concettuale intrinseca, quanto una difficoltà legata alle emozioni, alle speranze ed alle aspettative che un argomento come questo inevitabilmente porta con sé. Non possiamo quindi parlare di omicidi né tanto meno di serial killer, senza fare i conti con questi aspetti e con il nostro colludere con questo tipo di emozioni. Questo colludere viene spiegato dal fatto che l’idea di uccidere un altro essere umano può essere una soluzione ad un problema proprio della persona. Tuttavia il fatto che possa essere una soluzione, non vuole dire che sia una buona soluzione, così come il fatto che non sia una buona soluzione non vuole dire che sia un pensiero che non ci appartiene. “Se i desideri fossero cavalli, tirerebbero i carri funebri dei nostri più cari amici e dei nostri parenti più stretti. Tutti gli uomini in fondo all’anima sono assassini.” 1.
Anche Freud sapeva che nel profondo del nostro inconscio vi è una forza la cui energia è orientata verso l’omicidio che può o meno rimanere fantasmatico: “Il nostro inconscio non attua l’uccisione, si accontenta di pensarla e di augurarla. Sarebbe tuttavia erroneo sottovalutare del tutto questa realtà psichica nei confronti della realtà di fatto. Essa è sufficientemente importante e gravida di conseguenza. Nei nostri moti inconsci noi sopprimiamo ogni giorno e ogni ora tutti coloro che ci sbarrano la via, che ci hanno offeso e danneggiato. <Che il diavolo li porti!> ci vien spesso detto, volgendo in scherzo il nostro intimo malumore; ma ciò in realtà significa semplicemente: <Che la morte lo colga>, e si tratta, nel nostro inconscio, di un desiderio di morte ben effettivo e serio” 2. Questo ci fa capire che se parliamo di omicidio, stiamo anche parlando di morte, e la morte porta sempre con sé paure, crisi di coscienza, ed aspettative escatologiche. Tuttavia la forza che proviene dall’idea di morte non deriva solamente dalla contestualità della persona che viene a mancare, poiché questo concetto ha una energia a sé che deriva da come i popoli passati lo hanno sperimentato: è anche questa la forza che passa dall’idea astratta della morte alla morte fenomenologica. Possiamo così capire perchè ogni volta che veniamo a conoscenza della morte di qualcuno siamo spiazzati, non sappiamo cosa dire, o rimaniamo del tutto indifferenti ed “Assumiamo un atteggiamento del tutto particolare, manifestandogli una specie di ammirazione, come per uno che abbia compiuto qualche cosa di assai difficile” 3. Questo atteggiamento viene motivato dalla consapevolezza che la persona venuta a mancare, ha ora risolto dentro di sé l’eterno problema della morte. Un problema che seppure con i dovuti cambiamenti è stato presente in ogni epoca storica fino a giungere a noi. Tuttavia oggi l’idea di morte è profondamente diversa rispetto al passato, infatti ci troviamo in un periodo storico in cui nelle nazioni più ricche regna la “pace”, e la guerra sembra essere così lontana dalle nostre case; oggi inoltre siamo riusciti con la medicina a sconfiggere molte malattie ed epidemie che prima mietevano migliaia di vittime. Tutto ciò ci dà in qualche modo l’illusione di essere artefici e responsabili della nostra vita, ed è proprio per questo che mai come in questo periodo la morte è stata interpretata come una sconfitta, mai come oggi l’idea di morte si è riversata sull’Io, facendo sentire le persone responsabili e colpevoli della propria morte. Oggi quindi il trasformarsi da vittima della morte in carnefice può rappresentare una soluzione che è in grado di mitigare i sentimenti negativi causati dal nostro senso di colpa. Infatti in questo ruolo potremmo assumere una posizione dominante all’interno di quella paura ed all’interno di quel senso di colpa, una posizione che ci permetterà di gestirli: ora l’omicida può affrontare l’idea della morte senza esserne sopraffatto. Senza questa premessa, non possiamo avvicinarci all’ottica dei serial killer, così come lo psicologo che non provi, sebbene solamente in alcuni casi sentimenti psicotici, difficilmente potrà curare questo tipo di patologia. La letteratura ci ha insegnato che esistono varie categorie di serial killer: chi uccide per gelosia, chi per vendetta simbolica, chi perchè motivato da una volontà di potere e molti altri ancora sono i moventi che li spingono ad uccidere 4. Tuttavia affermare che un serial killer uccida per un movente ben preciso, non vuole dire che gli altri moventi siano estranei alle cause dell’omicidio, è infatti molto frequente che un serial killer, per quanto metodico e ripetitivo possa essere, sia stimolato nel compiere il crimine da più moventi; per questo il funzionamento dei principi dei sistemi motivazionali di Licthnberg 5, possono essere applicati anche alla psiche dei serial killer. Secondo Lichtenberg esistono cinque sistemi motivazionali che ancorandosi ai bisogni, alle esigenze, alle aspettative dell’individuo sono in grado di spiegare la motivazione. Il punto centrale attorno al quale ruota tutta la sua teoria si basa sul fatto che la motivazione non può essere mai spiegata da un solo fattore, ma da una combinazione di fattori inseriti all’interno di un sistema plastico ed in continuo cambiamento. Tra questi sistemi motivazionali, ci spiega Lichtenberg, vi possono essere uno o due sistemi dominanti, ma questo non significa che il loro “dominio” sia permanente né che gli altri siano ininfluenti sul sistema che in quel momento domina. È possibile così ipotizzare che quando parliamo di movente per quanto riguarda un serial killer, non ci stiamo riferendo con questo termine al motivo che lo ha spinto ad uccidere, quanto alla motivazione più visibile e facilmente comprensibile che lo ha spinto ad uccidere. La differenza è significativa, non possiamo infatti pensare che un serial killer uccida per vendetta simbolica, se non vediamo sotto a quel simbolismo tratti psicotici, rabbia odio e quant’altro si possa aggiungere. Infatti spesso, il movente della vendetta simbolica, può essere solamente una maschera che l’assassino indossa per giustificare i suoi delitti. Ad esempio David Gore, ricondusse la rabbia che lo spinse ad uccidere sette persone, alla sua ex moglie la quale dopo essersi separata gli aveva tolto la possibilità di vedere i suoi bambini. In una parte della sua autobiografia afferma infatti di avere pensato durante alcuni suoi omicidi: “"Lo sto facendo anche alla mia Ex Moglie e Quello Che Lei ha fatto A me". Nella mia mente, mi stavo giustificando che, quello che stavo facendo, era quello che era stato fatto a me.” 6, ma in seguito quando tenta di descrivere le sue emozioni provate dopo un’altro omicidio ecco che la vendetta simbolica passa completamente in secondo piano in favore di un sentimento di “POTENZA. Mi sentivo come fossi un SUPER-UOMO, potevo impossessarmi delle Vite. E credo che quello che è successo in seguito, ha avuto origine da quel senso di potere che provavo” 7. Ma se alcuni moventi da un punto di vista intrapsichico sembrano non essere così rilevanti da spiegare la nascita della follia omicida, tuttavia risultano fondamentali per le indagini, poiché questi stessi moventi ancorandosi alla vita dell’omicida possono fornire indicazioni necessarie alla sua cattura. Ma queste indicazioni possono tornarci utili solo se abbiamo la capacità di vivere e di percepire quello che loro percepiscono. Ma che cosa succede se ci spostiamo dal loro punto di vista al nostro, a quello dei media e del sociale? In questo caso tutto cambia, tutto si fa più preciso e chiaro. Dall’altra parte del cancello, possiamo demonizzarli, possiamo etichettarli come mostri rilegandoli così ad un’altra specie la cui psiche e le cui caratteristiche non ci interessano perchè noi siamo umani. Ma categorizzarli schematizzandoli come mostri non ci aiuta a capire personalità così complesse quali sono quelle dei serial killer. Infatti concentrandoci sul loro “non essere umani” stiamo solamente cercando di differenziarci il più possibile da loro per reprimere quei sentimenti di cui ci hanno parlato Freud e Reik. È necessario quindi ritrovare dentro di noi la forza di abbandonare questo stereotipo, poiché solo in questo modo saremmo in grado di comprendere la loro psiche all’interno della quale è sempre presente una “parte umana”, quella cioè che potremmo chiamare la loro parte buona. La conoscenza di queste aspetti “buoni” della loro personalità è fondamentale, perchè spesso l’energia che serve per compiere delitti così efferati può nascere proprio da lì, e da quel punto di partenza può manifestarsi poi in qualcosa di completamente diverso, lasciando tracce importanti sulla creazione e sull’attuazione del crimine. Non dobbiamo così meravigliarci davanti ai disegni che seguono, fatti da cinque spietati serial killer; infatti gli aspetti della personalità infantile ed adolescenziale, molto presenti in questi disegni, non possono mai essere rimossi completamente, ed il fatto che siano proprio questi i periodi che maggiormente influenzano lo sviluppo psichico futuro ci dice come in un momento così regressivo quale è l’omicidio, questi aspetti seppure modificati possano riemergere con grande forza e veemenza.
Gli esempi di come la forza che origina dalla loro parte sana possa poi spingerli ad uccidere sono numerosi, ne vedremmo alcuni. Ad esempio la follia omicida di Ted Kaczynski, meglio conosciuto come Una bomber, nasce da una idea complessa, radicale e condivisa da alcune persone del mondo moderno, i cui principi possono essere riconducibili alla seguente frase: “La rivoluzione industriale e le sue conseguenze sono state un disastro per la razza umana, esse hanno incrementato a dismisura l’aspettativa di vita di coloro che vivono in paesi sviluppati, ma hanno destabilizzato la società” 8, questa destabilizzazione si manifesta poi, tramite l’alienazione dell’uomo nei paesi industrializzati e tramite una inadeguatezza dei mezzi di sussidio primari nei paesi non industrializzati. Nonostante le mille sfumature di significato questo concetto cardine fu molto caro anche a Fromm in tutta la sua opera psico-filosofica, ma le diversità di queste sfumature non riescono a spiegare la diversità di come questa premessa ideologica si sia poi manifestata, prendendo da una parte la via della comunicazione, e dall’altra la via dell’intolleranza concretizzata attraverso attentati i cui obbiettivi erano persone e/o luoghi che Ted Kaczynski riteneva responsabili di questa destabilizzazione. La parte sana che in questo caso è rappresentata dai presupposti ideologici, interagendo con la persona e con il suo ambiente, si è potuta così trasformare in follia omicida. I suoi presupposti ideologici possono essere quindi anche comprensibili, tuttavia se andassimo a leggere i verbali delle sue scene del crimine, quegli stessi presupposti non sarebbero più neanche comprensibili da chi prima li riteneva condivisibili, poiché la nostra razionalità sarebbe completamente soffocata dal dolore provato dal sangue versato. Saremmo quindi portati a stereotipizzare come malato ed efferato qualsiasi contenuto nasca dalla sua mente. Ed in questo caso ci allontaneremmo da lui ed allontanarsi da lui vuole dire anche allontanarsi dalla sua cattura. Quello che è importante ribadire quindi, è che possiamo certamente categorizzare queste persone come sadici, come uomini dai sentimenti gelati, come spietati carnefici di anime indifese, se li consideriamo al tempo stesso carnefici del proprio destino, vittime del proprio Io, ma sopratutto se ammettiamo che stereotipizzarli come mostri non vuole dire che siano mostri al 100%, poiché in loro vi rimarrà sempre un piccolo barlume di umanità. Se riconosciamo in loro questa parte di umanità, potremmo allora, forse, anche riconoscere in noi quella piccola parte di malvagità relegata nel nostro inconscio, e questo ci aiuterà a vedere con i loro occhi. Ora possiamo quindi capire che affermando e negando che nei serial killer ci sia una parte umana, stavamo cercando di soffocare dentro di noi quel sentimento che ci dice che l’omicidio è comunque una possibile soluzione a qualcosa, stavamo nascondendo quel sentimento che ci dice che uccidere qualcuno è un atto che ci da forza e vigore (e che se siamo allontanati dalla società può darci anche un forte aumento di autostima), e che ci fa assomigliare a Dio (ma attenzione il senso di potenza percepito dai serial killer non è un senso di potenza creativa, quanto un senso di potenza distruttiva).
Un altro esempio molto noto di come questa parte “buona” sia in grado di influenzare la psicodinamica del delitto trova risposta in Donato Bilancia, il quale, dopo tredici omicidi ed un tentato omicidio, il 3 aprile del 1998 a Sanremo, dopo avere raccolto un’inserzione da un giornale, si recò in casa di Luisa Ciminiello con l’intenzione di ucciderla. Come ci spiega lo stesso Bilancia: “Questa qui ha avuto la fortuna di potermi parlare un secondo, si è messa a piangere, mi ha detto: - Ma no, che cosa vuoi fare? Ho un bambino piccolo - e lì mi ha ucciso, ha ucciso lei me... Non ce l’ho fatta e me ne sono andato. Ha solo avuto un minuto per potermi parlare e per farmi presente una storia che mi ha fatto smontare, mi ha fatto rientrare nella realtà. Di solito se io parto per fare una cosa la faccio, non mi può fermare niente. Invece con quella storia, quella donna mi ha fulminato e sono rimasto lì come un deficiente” 9. Inquadrare una personalità così complessa come quella di Donato Bilancia non è cosa facile tuttavia vi sono alcuni elementi senza i quali risulta difficile capire questa situazione. Bilancia nei suoi crimini, in particolare modo nei furti che faceva prima di iniziare ad uccidere era caratterizzato da tratti paranoici, ed anche per questo i suoi “colpi” erano così efficaci. Egli infatti se doveva usare qualche utensile rumoroso, ad esempio per fare un foro in una cassaforte, registrava il rumore del trapano, poi alcuni giorni prima di effettuare il colpo, si recava sul luogo del crimine con uno stereo portatile nel quale vi era la cassetta con inciso il rumore dell’utensile di turno, lo accendeva e poi si appartava in un luogo nascosto; se nessuno dei condomini o dei vicini nonostante la presenza di quel rumore sospetto chiamava la polizia, il furto per lui risultava essere sicuro ed era quindi possibile renderlo operativo. Donato Bilancia è quindi un criminale che valuta attentamente tutte le possibilità prima di operazionalizzare un colpo, è qualcuno che nonostante le sue emozioni deviate è in grado di capire e manipolare la realtà. Ma allora perchè si fermò davanti a quella donna? Vittorio Andreoli risponde affermando che, Donato Bilancia mostra: “Una grande sensibilità nei confronti dei bambini, di fronte ai quali subisce una metamorfosi: se è in procinto di compiere gesti violenti si interrompe come d’incanto” 10.Bilancia stesso conferma questa frase di Andreoli: “Però in quel momento lì [Con il termine “momento” Bilancia intende descrivere ill periodo di 6 mesi e 6 giorni all’interno del quale ha compiuto i suoi omicidi N.d.A] eccezion fatta che per i bambini, io avrei potuto fare qualsiasi cosa” 11. Ma da dove proviene questa sua sensibilità verso i bambini? Prima di cercare di rispondere è importante ribadire che la nostra personalità, i nostri agiti, i nostri atteggiamenti non sono mai riconducibili ad una sola causa, ma sono determinati da concause all’interno delle quali è però sempre possibile ritrovare una causa sovraordinata in grado di influenzare e di ordinare tutte le altre cause. In questo caso a mio parere la causa sovraordinata si manifesta nell’importanza che ha l’opinione altrui, per l’agglomerato psichico di Donato Bilancia; importanza scaturita da due episodi che vedono protagonista un Bilancia bambino: “Soffrivo di enuresi, e i miei non lo interpretavano come un disturbo, ma addirittura credevano che lo facessi apposta. Come se non bastasse, la mia mamma soleva mettere il materasso bagnato in esposizione sul poggiolo così tutti i dirimpettai potevano vederlo e quindi deridermi. [...] Ogni anno d’estate si partiva da Genova in treno o, più avanti, con una Fiat 600, per trasportarci in quel di Potenza, dove redevamo visita ai parenti. Naturalmente si alloggiava in casa di una sorella di mio padre, che aveva tre figlie una più brutta dell’altra. Mio padre quando arrivava il momento di andare a letto, con il pretesto di aiutarmi a togliermi i vestiti si abbandonava ad un rituale che ancora oggi ricordo con grande imbarazzo e vergogna. Mi metteva in piedi sul letto e alla presenza di quelle tre mummie mi tirava giù le mutandine. In quel momento io mi attorcigliavo su me stesso cadendo in ginocchio sul letto, morto di vergogna.”. Questi due episodi segnarono a tal punto il Bilancia bambino che il solo ricordo ancora oggi lo sconvolge. Questa sensibilità di cui ci parla Andreoli può essere quindi fatta risalire ad una identificazione proiettiva verso i bambini, in questo caso verso quel bambino, mai cessata nella sua psiche, una identificazione che lo portava a vedere l’uccisione di quella donna, come un evento traumatico per il suo figlio. Questa traumaticità però, non scaturiva da una empatia nei confronti del bambino, quanto dal percepire l’uccisione di quella donna come un evento che lo avrebbe esposto agli occhi di tutti, esattamente come fece sua madre con il materasso e suo padre con il suo pene. In questo caso il carnefice, causa il suo vivo ricordo e la sua bassa autostima è stato in grado di fermare la sua azione criminosa in visione di un ricordo doloroso mai scomparso e grazie al suo senso di realtà mai perduto completamente. Vedremo brevemente un’altro esempio di come la parte sana dei serial killer sia in grado di influenzare i delitti e sia talvolta all’origine dei loro atroci crimini. Gerald Stano, uccise 41 persone, ma tra i corpi ritrovati quelli identificati furono solamente 22, egli era un uomo basso, paffuto e spesso riferendosi a sé stesso si definiva l’opposto di un “Real Itallion stallion” 12. La centralità di questa percezione di sé come di un individuo incapace di attrarre il sesso femminile, non mostra solo una sua carenza fisica, ma anche l’ossessiva importanza del sesso nella sua struttura psichica. Dietro questa sua carenza, possiamo però rintracciare una voglia di piacere e di attrarre il sesso opposto, una voglia che in qualche modo cerchi di colmare le sue deficienze fisiche. C’è quindi la volontà di offrire al sesso opposto un qualcosa molto ben rappresentato dal fiore che l’orsetto nasconde dietro il suo goffo corpo (Cfr. Fig.2). Ma Stano era troppo impacciato per potere piacere, e troppo ossessionato per accontentarsi di non avere; qui nasce la sua follia omicida, con sfondo sessuale che lo portò ad uccidere, 41 donne la maggiore parte delle quali giovani e di bell’aspetto; l’età media delle sue vittime è infatti di ventidue anni in un range che va dai dodici ai trentotto anni [Il calcolo dell’età media è stato effettuato solamente sui corpi identificati, N.d.A.]. Terry Ecker, nel suo libro “Murder One”, descrive Stano come una persona emozionalmente distante, ed in effetti i suoi delitti sono freddi ed il suo agire è logico quanto tragico, tuttavia quella distanza emotiva può essere spiegata partendo dalla grande necessità e voglia di una vicinanza emotiva, che non potendosi concretizzare si è trasformata nel suo opposto: un rigido e patologico allontanamento dalle emozioni. In questa ottica le forme tonde ed i colori brillanti presenti in alcuni suoi disegni (Cfr. Fig.2;3) rappresentano proprio questa sua necessità, ma dietro queste forme si cela la rivelazione di un dono inaspettato (i fiori) e non consegnato perchè un eventuale rifiuto sarebbe stato troppo destabilizzante e doloroso. Questo disegno di Stano è quindi dedicato a sé stesso, l’unica persona che non potrà mai tradirlo. Ora possiamo capire che quel mazzo di fiori giallo è un dono rivolto a sé, un dono che sia in grado di espiare la sua solitudine e che si concretizza negli omicidi. “Such isolation is considered the single most important aspect of their psychological makeup” 13, ma la solitudine è il risultato di altri fattori, che sono interni al suo malessere e non ne è certamente la causa; è come se considerassimo la tosse la causa della nostra bronchite, la tosse infatti è solo un mezzo, una soluzione che il corpo adotta per cercare di guarire. In questi ed in altri delitti questa parte sana accostandosi a vissuti traumatici ed inserita in ambienti sfavorevoli può poi trasformarsi in follia omicida. Ma che cosa intendiamo quando parliamo di ambienti sfavorevoli e quali sono questi vissuti e queste esperienze in grado di dare vita ad una patologia così rilevante? A mio parere vi sono tre grandi fattori che descrivono la psiche e la vita dei Serial Killer, dei quali tutti e nessuno risulta fondamentale per la messa in atto del crimine. Tra questi tre fattori però, vi è un elemento che non può essere accantonato in visione di una categorizzazione, e questo elemento è rappresentato dalla persona, va quindi detto che sebbene possiamo rintracciare questi tre fattori nella mente e nella vita di molti serial killer, questi non rappresentano una via sicura per poterli identificare, ma rappresentano solamente degli indicatori di rischio. Questi fattori sono:
1) La presenza di un apprendimento secondo il quale la violenza è una risposta efficace e veloce ad un eventuale problema.
2) La presenza di un rifiuto genitoriale, che non si manifesta solamente tramite l’abbandono, ma anche attraverso la mancanza di cure fisico-emotive adeguate al bambino ed al suo sviluppo.
3) La presenza di una sessualità disturbata che si manifesta o tramite le parafilie o tramite la presenza di desideri omosessuali, che non riuscendosi ad integrare né con il senso di sé né con l’Identità di Genere sono causa di un forte squilibrio intrapsichico. Questo squilibrio e questa incertezza sessuale può poi portare alla disforia di genere che denota “Intensi e persistenti sentimenti di disagio per il proprio sesso, il desiderio di possedere il corpo dell’altro sesso ed il desiderio di essere considerato dagli altri come un membro dell’altro sesso” 14.
Cercherò di discutere singolarmente ognuno di questi tre punti, tuttavia causa la loro interazione, spesso il loro confine sarà sfumato ed impreciso. Il primo punto riguarda, come ho già detto , la cultura della violenza. La violenza attrae, seduce e conquista chiunque; prova ne sono i numerosi film di avventura in cui il conto delle uccisioni e dei feriti risulta estremamente lungo. La violenza infatti, fornisce all’individuo una risposta efficace e risolutiva, permettendogli così di esprimere la propria rabbia e riducendo il rischio di possibili frustrazioni. È un tipo di cultura, quello della violenza, che inizia fin da piccoli, quando ad esempio siamo vittime o assistiamo a quello che molti genitori chiamano “Uno schiaffo per il suo bene”, ma per essere e divenire cultura propria dell’individuo, la risposta violenta deve perpetuarsi e coinvolgere più situazioni, che riguardano il sociale il familiare ed il personale dell’individuo. Tuttavia questo tipo di cultura non si apprende se il contesto violento vede come unica vittima il soggetto. Infatti per mostrare all’individuo che la violenza reca con sé una soluzione, anche se molte volte tragica, è necessario che il soggetto sperimenti questa soluzione del problema anche tramite le azioni di un altro individuo su qualcun altro, altrimenti tenderà a colpevolizzarsi. “La violenza paralizza chi ne assiste o ne viene a conoscenza perchè l’evento violento contiene anch’esso un doppio messaggio antitetico e paralizzante. Per esempio una doppia incompatibile identificazione con la vittima e il colpevole” 15. Se all’individuo viene mostrata questo tipo di cultura e se nella sua psiche non vi sono forze più grandi che gli permettano di trovare una soluzione alternativa, ecco allora che la cultura della violenza diventa anche perpetrazione della violenza stessa. Infatti se la risposta violenta non viene intellettualizzata, se non si capisce che nonostante sia una soluzione rapida ed efficace, non rispetta i canoni del comune stare insieme e perciò in futuro potrebbe non rispettare noi stessi, ecco che diventa la risposta dominante. Molti serial killer e molti assassini sono stati adeguatamente istruiti a questo tipo di cultura, gli esempi sono numerosi. Donato Bilancia ci dice che: “In casa incominciarono ad esserci tensioni sempre più alte tra mio padre e mia madre. A noi veniva riservato il semplice trattamento delle percosse in caso facessimo qualcosa che contravveniva alle regole che vigevano in casa e che erano dettate dal capobranco” 16; possiamo quindi capire, dalle parole di Donato Bilancia che le percosse non erano affatto occasionali ma erano una sorta di “trattamento”, e nel termine trattamento è implicita una somministrazione all’interno di un arco di tempo prolungato. Jeffrey Lionel Dhamer, meglio conosciuto come il mostro di Milwakee fu violentato ad otto anni da un vicino di casa; Charles Manson dopo che la madre Katleen fu incarcerata, fu affidato ad una sua zia che abitava con il marito nel West Virginia e proprio qui subì numerose percosse; Jhon Wayne Gacy, uccise trentadue persone, ma nessuno sospettò di lui grazie alla sua rispettabilità sociale, egli era infatti un uomo d’affari che nel tempo libero si travestiva da clown ed intratteneva i bambini negli ospedali, Gacy aveva un padre alcolista che “Lo frustava con una cintura che teneva appositamente per questo scopo e lo bersagliava senza pietà dal punto di vista emotivo” 17; Ted Bundy, un uomo impegnato in politica, che svolgeva volontariato e che ricevette gli elogi dalla polizia per avere salvato un bambino di tre anni che stava affogando in un lago confessò di avere ucciso 28 persone, egli era figlio illegittimo e perciò viveva con il nonno e con la nonna all’interno di una struttura familiare in cui il nonno molestava tramite percosse sia la moglie che il nipote che gli animali presenti nella casa. Albert De Salvo,un serial killer che afflisse gli Stati Uniti intorno agli anni 60, vide: “Il padre, [che] spesso tornava a casa portandosi dietro delle prostitute, poi cominciava a picchiare la moglie di fronte a loro e ai figli. Il ricordo più scioccante di Albert risale a quando aveva sette anni: un giorno vide il padre rompere i denti alla madre e poi spezzarle le dita delle mani una per volta” 18. Tuttavia la cultura della violenza può essere appresa anche senza che si manifesti una violenza fisica agita dai genitori nei confronti del figlio; è questo il caso di Andrei Chikatilo, per il quale non sono riuscito a trovare tracce letterarie di percosse nei suoi confronti da parte dei genitori (tuttavia Chikatilo a causa sia del suo fisico rachitico che dei suoi spessi occhiali, veniva preso in giro e malmenato dai suoi compagni di classe). La sua adolescenza risulta segnata fondamentalmente da due aspetti; il primo riguarda la sua convinzione di essere stato accecato e reso impotente sin dalla nascita, il secondo lo vede triste destinatario di un drammatico racconto che vede protagonista il suo fratello più grande, il quale secondo i genitori fu sequestrato ed in seguito mangiato durante la grande fame dell’Ucraina del 1930. E’ importante notare come in questo caso il primo ed il secondo punto interagiscano. Infatti la sua convinzione di essere stato accecato, e reso impotente sin dalla nascita lo portò ad una forte rimozione circa le sue capacità e quando la rimozione si scontrava con dati di fatto fin troppo evidenti, la risoluzione del conflitto scelta da Andrei Chikatilo era l’omicidio brutalizzato dal cannibalismo, dallo stupro, dalla mutilazione e dalla necrofilia. Così quando adescò Larisa Tkachenko, una diciassettenne nota nel luogo per i suoi facili costumi, la portò nel bosco e provò a fare del sesso con lei, ma quando lei rise della sua impotenza il contenuto della sua rimozione riemerse brutalmente, la strangolò e dopo la sua morte le morse le braccia la gola ed ingoiò un suo capezzolo, dopodichè le spinse un bastone di legno nella vagina. Il simbolismo acquista una forza ed una importanza maggiore per il soggetto, se i significati che veicola fanno riferimento a contenuti che devono essere o che sono stati rimossi. Non è infatti un caso che i suoi luoghi preferiti di adescamento fossero stazioni ferroviarie e fermate dell’autobus poichè infatti questi due mezzi di locomozione sono due imponenti simboli fallici, in grado di lenire una parte del suo dolore derivato dal senso di impotenza. All’interno del danno fisico possiamo quindi ritrovare un vissuto di quello stesso danno fisico, maggiormente in grado di spiegare l’etiogenesi della patologia di Andrei Chikatilo. Ma questo vissuto non può essere capito se viene distaccato dal suo non sentirsi accettato sia dai genitori che dai compagni che spesso lo chiamavano “femminuccia”. Questo infatti lo portò a sentirsi in colpa ed a rivolgere il suo odio verso sé stesso. È necessario sottolineare che l’apprendimento della cultura della violenza, non sempre vuole dire perpetrazione della violenza, infatti questo tipo di cultura può rimanere interiorizzata e non manifesta per un periodo di latenza più o meno lungo. Siamo così arrivati al secondo punto che sottolinea come nell’infanzia e nell’adolescenza di molti serial killer sia possibile riscontrare la presenza o l’assenza di un rapporto tra care-giver e bambino non in grado di rispondere alle esigenze del piccolo. Questo rifiuto non si manifesta però solamente tramite l’abbandono, l’affidamento o attraverso i maltrattamenti, ma anche tramite la mancanza o l’inadeguatezza di cure fisico-psichiche. In psicologia per quello che riguarda l’inadeguatezza delle cure sono presenti tre sottocategorie che vedremo molto brevemente, queste tre categorie sono l’incuria, la discuria e l’iper-cura. Possiamo parlare di incuria quando le cure fornite sono insufficienti; l’incuria si manifesta spesso per quanto riguarda l’alimentazione, l’igiene personale e l’abbigliamento. La discuria invece non implica una mancanza di cure quanto una inadeguatezza delle cure stesse rispetto ai bisogni ed allo sviluppo del bambino, (possiamo considerare discuria anche quando il padre di Bilancia gli abbassa le mutandine davanti alle tre bambine). Infine abbiamo l’ipercura, che si manifesta tramite la “Sindrome di Munchausen per procura”, tramite il “Medical shopping” e tramite lo “Chemical abuse”. Nello Chemical abuse, la madre somministra al figlio farmaci di cui non ha bisogno inducendolo così a forti stati di intossicazione. Nella “Sindrome di Munchausen per procura”, il genitore quasi sempre la madre è convinta di una presunta patologia del figlio senza che il figlio abbia dei sintomi e lo sottopone così a numerosi esami clinici; in questo caso la madre è caratterizzata da tratti psicotici, sia per la sua convinzione inerente la patologia del figlio non giustificata da nessun sintomo reale, che per la comunicazione al medico di dati anamnestici completamente irreali. Il medical shopping, pur essendo molto vicino alla sindrome di Munchausen per procura, se ne differenzia per una minore rilevanza clinica, dovuta alla minore importanza della patologia delle madri che in questo caso presentano tratti nevrotici. Infatti il sottoporre il figlio ad un grande numero di esami clinici, non scaturisce dalla convinzione delirante che il bambino sia vittima di una qualche patologia, ma dalla paura che il figlio possa ammalarsi. Sia il medical shopping che la sindrome di Munchausen per procura sono patologie poco frequenti anche a causa dell’evidente difficoltà che la loro diagnosi comporta. Berverley Allitt, l’infermiera che lavorava nel reparto neonatale che agli inizi degli anni 90 sconvolse l’Inghilterra, soffriva proprio della Sindrome di Munchausen, a causa della quale uccise quattro bambini e cercò di portarne alla morte altri 9. La Allit somministrava infatti ai suoi pazienti sia l’insulina che la lidocaina, quest’ultimo farmaco, rende il sangue più fluido ed è perciò usato sia come cura profilattica nei post-infartuati che come terapia d’urgenza per gli arresti cardiaci. E’ tuttavia un farmaco che non viene usato sui bambini poiché su questa tipologia di pazienti sono frequenti effetti collaterali gravi. Questi farmaci portarono 13 bambini ad arresto cardiaco, e quando non era possibile rianimarli tramite il defibrillatore, i medici erano costretti ad intervenire con la chirurgia, ma in questo caso la situazione tendeva ulteriormente a complicarsi a causa della mancata coagulazione sanguigna. Quando la Allit fu scoperta venne interrogata e si mostrò calma e distante affermando che non aveva fatto niente altro che curarli. Da un punto di vista intrapsichico possiamo in questo caso credere a ciò che disse la Allit, infatti la sua patologia non è di tipo menzognero o meglio la menzogna non è dettata da una atto di volontà. La Allit, vedeva infatti i suoi pazienti come veramente malati e per questo gli somministrava farmaci di cui il loro organismo non aveva bisogno. La sindrome di Munchausen, viene spesso ritrovata in adulti che hanno subito la sindrome di Munchausen per procura, così probabilmente è stato per la Allit. Tuttavia a causa della scarsa presenza di questa patologia nella popolazione, difficilmente può avere un ruolo di rilievo nella storia personale di un serial killer. Più influenzanti e presenti, risultano infatti essere in questi casi l’ipercura e la discuria. Tuttavia quella che sembra avere effetti più importanti sulla psiche del figlio è la discuria. Infatti, sebbene l’ipercura non renda libero il bambino di agire nei contesti in cui si verifica, gli comunica però un certo grado di interesse grazie all’inevitabile presenza di un rapporto continuo madre bambino implicito nel concetto di ipercura. Al contrario per quanto riguarda la discuria questa interazione spesso viene a mancare poiché non ha nessun tipo di mezzo con cui manifestarsi. È infatti la discuria la patologia da inadeguatezza di cure più frequente nella storia biografica dei serial killer. Prima di fare alcuni esempi è importante sottolineare come l’abbandono di un figlio porti ad aumentare drasticamente il rischio in un bambino di essere vittima della discuria, a causa dell’affidamento provvisorio a qualche istituto. Ma un figlio può essere abbandonato anche vivendo nelle mura domestiche. Jhon Norman Collins, un serial killer sessuale implicato in quindici omicidi che uccideva e violentava le sue vittime e ne lasciava i corpi in maniera tale da essere sicuro che venissero scoperti, dopo essere stato abbandonato dal padre sin dalla nascita visse con il terzo marito della madre, un uomo rigido ed alcolizzato che lo malmenava; anche la madre di Mike DeBardeleben, un serial killer che uccideva per un suo piacere sadico-sessuale, era una alcolizzata che usava punizioni fisiche per punire la testardaggine del figlio. Charles Manson, era figlio illegittimo di una madre alcolizzata, che si prostituiva, questo molto probabilmente contribuì ad infondere in lui la sicurezza che il suo concepimento non era stato voluto. Ma sentiamo dalle sue parole come poteva esprimersi e perpetuarsi questo rifiuto nella vita di tutti i giorni: “Mom was in a café one afternoon with me on her lap. The waitress, a would-be mother without a child of her own, jokingly told my Mom she’d buy me from her. Mom replied, ‘A pitcher of beer and he’s yours.’ The waitress set up the beer, Mom stuck around long enough to finish it off and left the place without me. Several days later my uncle had to search the town for the waitress and take me home” 19. La convinzione di non essere stati voluti da vita all’odio verso sé stessi e verso il mondo. L’FBI afferma che il 16% dei serial killer sono stati adottati, alcuni autori quali Lori Carangeloe, Anna Flowers ed altri ancora, hanno sottolineato l’importanza dell’adozione come un forte contributo alla nascita della loro follia omicida. Tuttavia genitori che abbandonano un figlio, genitori che si prostituiscono, genitori che si drogano o che bevono hanno tutti un punto in comune, trasmettono al figlio un senso di rifiuto e di abbandono. Ma questa affermazione non deve essere vissuta come una accusa, quanto come una costatazione: questo tipo di persone infatti sono spesso troppo impegnate in sé stessi per potersi occupare di qualcun altro. Anche Gerald Stano subì un forte vissuto di abbandono e di rifiuto. La sua madre biologica concepì quattro figli prima di lui che diede tutti in adozione tranne uno che era nato con danni cerebrali. Anche Gerald Stano venne abbandonato e fu poi affidato alla famiglia adottiva da cui prese il nome. La famiglia Stano, quando fece visita all’orfanotrofio in cerca di un figlio, nel vedere Gerald malnutrito ed incapace di esprimere le proprie emozioni, si intenerì e decise di adottarlo [La presenza di un fisico malnutrito e l’incapacità di esprimere le proprie emozioni sono due indicatori di rischio della discuria, N.d.A.]. L’inadeguatezza delle cure contribuisce in maniera determinante alla costruzione nel bambino di un senso di rifiuto genitoriale. Molti serial killer, sperimentano questo senso di rifiuto, ma il non sentirsi voluti provoca di riflesso nel bambino un sentimento di colpa che sperimenta su sé stesso, lo stesso sentimento che convinse Andrei Chikatilo di essere stato accecato e reso impotente sin dalla nascita. In questi casi succede spesso che il bambino tenda ad incolparsi e ad incolpare i genitori. Inoltre quando, nei casi più gravi, al senso di abbandono e di rifiuto si aggiunge l’abuso fisico, psicologico o l’abuso di natura sessuale, le basi per la nascita delle dinamiche psicotiche sono state poste. La reazione di un bambino davanti a questo tipo di situazioni, non consiste solo nell’incolparsi e nell’incolpare i genitori percependoli come persone cattive: infatti come potrebbe dipendere fisicamente e psichicamente da quei genitori che considera cattivi e non interessati a lui? Il bambino deve quindi proteggersi, e lo fa con uno dei meccanismi di difesa maggiormente caratterizzato da tratti psicotici: la scissione. In questo caso il bambino può percepire, un genitore che abusa di lui, come formato da due persone separate ed indipendenti, delle quali una è completamente buona e l’altra è completamente cattiva. Il bambino non integrando queste due figure all’interno di una sola persona può alternativamente e secondo le sue esigenze, negare i suoi sentimenti di odio per il padre cattivo per usufruire in maniera adeguata della cure parentali fornite dal padre buono. Questo permette al bambino di manifestare l’odio verso il genitore abusante senza rinunciare alle cure ed al rapporto con l’ “altro genitore”. Ciò lo porterà però ad un tragico allontanamento dalla realtà, che influenzerà in maniera negativa la sua crescita allontanandolo dai coetanei, dalla sua famiglia ed anche da sé stesso. Questo meccanismo tuttavia viene usato solo nei casi più gravi e deve essere chiaro che non è l’unico, né è una difesa che sicuramente verrà attuata in caso di abuso sessuale. Le risposte possono essere molteplici, forse infinite. Un’altra risposta molto frequente che troviamo nelle biografie dei serial killer è l’odio verso gli altri. Questo odio nasce dalla mancanza di una figura adeguata su cui rispecchiarsi, che sia in grado tramite feed-back di rimandargli una immagine di sé positiva, capace di comunicargli il suo diritto di stare al mondo. Senza questa figura il bambino tenderà ad odiarsi, ma odiare sé stesso vuole dire odiare gli altri, ecco anche perchè negli omicidi e nelle brutalità che talvolta i serial killer compiono sui corpi delle loro vittime possiamo rintracciare una voglia di ferire e di mutilare sé stessi: una voglia di uccidersi. È questa la differenza fondamentale che possiamo rintracciare tra il primo ed il secondo punto: mentre la cultura della violenza può essere considerata come una difesa di sé, l’odio che nasce dalla presenza\assenza di un rapporto inadeguato tra il care-giver ed il bambino, attacca il sé in maniera netta e profonda. In questo caso il solo difendersi non basta ed è necessario un contrattacco basato sull’odio. Ecco anche perchè l’odio risulta più distruttivo della cultura della violenza, perchè più che una difesa è una risposta basata sul contrattacco. Siamo ora giunti al terzo punto che è sicuramente quello più complesso da discutere, perchè riguarda un insieme di argomenti che hanno al loro centro il sesso e tutto ciò che gira intorno ad esso. In questa ottica dobbiamo svincolare il sesso dall’atto sessuale per fargli assumere le caratteristiche proprie della sessualità, dell’Identità di Genere e della disforia di genere. Sappiamo che l’appartenere al sesso femminile o a quello maschile ha grande rilevanza per lo sviluppo psichico futuro, rilevanza che non viene solo da un patrimonio genetico divrso, ma anche dal differenziato tipo di cultura che la società trasmette agli uomini ed alle donne. Non è quindi un caso che la maggiore parte dei serial killer siano uomini, infatti questi sia per tradizione culturale che per capacità fisiche sono maggiormente predisposti a quella che prima ho chiamato cultura della violenza. Questo non vuole dire però che le donne ne siano immuni: ne sono la prova, alcuni rari esempi di donne serial killer quali, Nanny Doss che uccideva i suoi mariti tramite una torta di mele avvelenata, e più recentemente Aileen Wuornos che venne condannata a sei ergastoli e poi giustiziata per avere ucciso brutalmente sei uomini. Questa differenza di quantità percentuale tra gli uomini e le donne serial killer è un ulteriore indizio di come i valori ed i pensieri della società sono in grado di influenzare profondamente ogni singolo individuo, tuttavia questa influenza si può poi trasformare in isolamento o in devianza se le caratteristiche proprie dell’individuo non rispecchiano i valori della società stessa. I valori sociali, quindi, se per alcune categorie di persone possono servire da protezione e da barriera per il contenimento delle proprie fantasie, per alcuni casi particolari, in cui siano presenti ad esempio sessualità disturbate, devianze criminali e più in generale situazioni atipiche, gli individui possono strutturare i loro valori sulla base di una contrapposizione con i valori della società, così come avviene per il Disturbo Antisociale di Personalità [F60.2] e nei culti satanici: “Charles Fouquè definì la Messa Nera "una messa reale, dove il Cristo entra nell’ostia che viene profanata" [...] In definitiva la Messa Nera è quindi una reale messa, officiata da un sacerdote spretato, il cui fine ultimo è quello di oltraggiare il Cristo e la sua religione” 20. Questo tipo di opposizione ai valori sociali unito alla loro patologie, spinge i serial killer sessuali verso una sessualità immatura ed incompleta, caratterizzata da aspetti quali le tendenze omosessuali non in grado di integrarsi con il sé, le parafilie e la disforia di genere. Ed è proprio la presenza di questa sessualità disturbata e non sviluppata, che spesso li porta alla volontà di acquisire la sessualità altrui. Ancora una volta, capire la psiche dei serial killer non vuole dire guardare le loro colpe quanto le loro carenze. Ed è proprio di carenze che in questo caso stiamo parlando, infatti molti serial killer quali tra i più famosi, Charles Manson Andrei Chikatilo, Kendall Francois, Jeffrey Lionel Dahmer non sembrano avere una sessualità adeguata alla loro età né una Identità di Genere dai confini precisi. Ma non avere una sessualità matura quando si è adulti spesso vuole dire una disperata ricerca di quella stessa sessualità, ricerca che può concretizzarsi tramite una appropriamento della sessualità altrui. Questa necessità di impossessarsi della sessualità altrui va inserita in un contesto in cui dominano la cultura della violenza, il senso di colpa derivante da un rifiuto genitoriale ed inscritto all’interno della persona e del suo ambiente. In questa ottica impossessarsi della sessualità altrui, vuole dire impossessarsi della persona, e non vi è possesso psicologico fino che l’altra persona non sia “consenziente”, e per renderla consenziente i serial killer adottano l’omicidio. Questo aspetto può aiutarci anche a distinguere tra serial killer sessuali e non. I Serial killer sessuali hanno tristemente meritato una categoria a parte nelle cronache nere, a causa del maggiore impatto visivo ed emotivo che un corpo senza vita porta con sé, se si pensa che quella persona prima di morire è stata stuprata, mutilata e cannibalizzata. Questo tipo di serial killer risultano infatti, tra i più macabri e crudeli, perchè appropriarsi della sessualità di una persona che non è consenziente spesso vuole dire appropriarsi del suo corpo senza vita (qui ritroviamo la grande differenza con lo stupro in cui risulta fondamentale appropriarsi del corpo più che della psiche, ecco anche perchè gli stupratori difficilmente uccidono la loro vittima) ed interiorizzarlo, mutilarlo e farlo proprio ad esempio tramite il cannibalismo che può assumere per il serial killer anche un significato simbolico, un significato che vada cioè al di là del piacere e del senso di potenza ottenuto da un gesto così estremo, e che si vada ad inserire all’interno di una oralità intesa come assimilazione nel loro corpo di un oggetto proveniente da un altro corpo esterno a sè. Parla, Joseph Vacher, un serial killer della fine dell’ottocento: “Ho morsicato molte delle mie vittime; io mi precipitavo sulla vittima, se non avessi un coltello, io le avrei uccise a morsi; mi piaceva talmente mordere che in parecchi casi ho inflitto alle mie vittime delle morsicature, anche dopo averle uccise con un coltello. Mi stupisco che non mi si sia chiesto nulla rispetto ai morsi, visto che sicuramente ne sono stati trovati molti sulle mie vittime” 21. Questa assimilazione e questa appropriazione della sessualità altrui è molto importante perchè è una caratteristica che meglio di ogni altra può farci capire quanto la motivazione sessuale sia all’origine dell’omicidio, infatti non mi sentirei di escludere in linea generale la presenza di motivazioni sessuali anche in serial killer che non sono stati definiti serial killer sessuali. Infatti possiamo parlar di serial killer sessuali non quando la sessualità rientra nelle motivazioni dell’omicidio, ma quando la motivazione sessuale è all’origine dell’omicidio. In letteratura spesso si è parlato di serial killer sessuali, quando l’atto sessuale aveva una parte sia nella progettazione del delitto che della scena del crimine. Tuttavia dal nostro punto di vista è possibile la presenza di una forte componente sessuale anche senza che l’omicida stupri la vittima. Infatti in psicologia si parla spesso di formazione reattiva intendendo con questo termine, la necessità che l’individuo ha di affrontare “Conflitti emotivi e fonti di stress interne o esterne sostituendo i propri pensieri o sentimenti inaccettabili con comportamenti, o sentimenti diametralmente opposti” 22. Questa difesa può quindi portare l’individuo a compiere alcuni particolari tipi di azioni, proprio per cercare di mascherare. Vediamo ora come Simon, uno dei più importanti psicologi forensi americani, descrive i serial killer sessuali: “Tra i serial killer, quelli sessuali formano una sottocategoria specifica. Non tutti gli assassini in serie sono serial killer sessuali. Alcuni uccidono per ragioni diverse dal sesso: per denaro gelosia, vendetta o dominio” 23. Questo vuole dire che anche se molti serial killer, non hanno come obbiettivo ultimo del loro crimine il sesso, tuttavia possono essere spinti ad uccidere da fattori inerenti la loro sessualità. Desidero fare una piccola parentesi: risulta difficile pensare che un serial killer uccida per gelosia, o per vendetta, infatti nonostante questo tipo di omicidi siano estremamente presenti nella cronaca nera di tutti i giorni, tuttavia molto raramente questi sono i moventi in grado di dare vita alla logica follia degli omicidi seriali. Parlo di logica follia perchè sebbene la mente di questi individui sia l’incarnazione di una sindrome al cui interno possiamo ritrovare le più gravi patologie psichiatriche, tuttavia quella stessa mente spesso, ha una logica ed una intelligenza al di fuori del comune, che li aiuta nella perpetrazione del crimini. Infatti poiché lo scollamento tra la realtà intrapsichica e la realtà esterna, non è dovuto ad una mancanza di rappresentazioni riguardanti gli agiti degli altri, il serial killer è spesso in grado di capire come agisce la polizia, come gli altri lo vedono e lo giudicano, ed anche come reagirà la sua vittima. Anche se il serial killer ragionasse in termini di gelosia e di vendetta questi due moventi non sarebbero mai il motivo per uccidere, ma solamente una copertura per nascondersi da se stessi. Il motivo che spinge questi criminali ad uccidere più vittime è infatti l’omicidio stesso e le sensazioni che porta con sé. Inoltre gelosia e vendetta sono due componenti che essendo così manifeste, presenti ed anche tollerate dal sociale nella vita di tutti i giorni, non sono in grado di toccare le corde dell’animo umano quanto è in grado di fare l’idea di morte. Anche in quelli che vengono chiamati dai media “Raptus omicida” la gelosia e la vendetta sono solamente la chiave per aprire quella porta dietro la quale è nascosta l’instabilità del nostro Io. Rigirando la frase potremmo dire che visto che la gelosia con le sue componenti, è in grado di squilibrare e/o frantumare l’Io, ecco allora che scatta la follia omicida che permette all’Io di riequilibrarsi davanti ad una situazione inaspettata. Ecco anche perchè spesso la gente dice che sono solo i deboli ad uccidere; ucciderebbero quindi solamente quelle persone che non hanno la forza di riequilibrare il loro Io tramite istanze intrapsichiche e che colmano questa carenza attraverso l’omicidio. In questa ottica possiamo affermare che sebbene Donato Bilancia, non venne etichettato come un serial killer sessuale, tuttavia la sessualità aveva un ruolo di rilievo nei suoi omicidi. Infatti possiamo ritrovare quel senso di vergogna provato da bambino, e così ben espresso da un capitolo della sua autobiografia intitolato “Lo sguardo su di me”, anche nei suoi omicidi; è infatti per questo che prima di uccidere molte delle sue vittima, era solito coprirgli il capo con un asciugamano, come fece con Mema Valbona, o con una giacca, come fece con Elisabetta Zoppetti. Ma questo senso di vergogna era ed è collegato alla sessualità poiché nasce dalla convinzione di non essere sessualmente dotato. Ribadisco quindi che tra i serial killer ed i serial killer sessuali esiste una differenza fondamentale, ma che non riguarda la presenza o meno di motivazioni sessuali; infatti anche se in gradi di intensità diversi difficilmente si può dire che la sessualità sia estranea ai moventi di un omicidio. Piuttosto la differenza può essere rintracciata nella appropriazione di una sessualità agita dal killer nei confronti della sua vittima, una appropriazione che ha origine dalla loro percezione di una propria deficienza. Ma come si esprime e da dove nasce questo malessere sessuale e questa loro difficoltà nell’indirizzare la loro sessualità? L’etiogenesi del malessere sessuale è multiforme e non può mai essere riconducibile ad una sola causa; ad esempio Jeffrey Lionel Dahmer, meglio conosciuto come il mostro di Milwaukee, subì ad otto anni violenza sessuale da parte di un uomo adulto, suo vicino di casa, questo di certo non lo aiutò nello sviluppo della sua Identità di Genere, provocandogli delle forti fantasie di vendetta. E’ infatti a tutti noto come la vittima tenda spesso, sopratutto se in età preadolescienziale ad identificarsi con l’aggressore. È in questo modo che sentimenti di odio repressi potranno un giorno riaffiorare ed esprimersi non nel ruolo di chi subisce ma in quello di chi infligge la sofferenza. Una Identità di Genere non bene chiara e definita porta anche a quella che viene chiamata disforia di genere che si esprime tramite una identificazione parziale o completa con il sesso opposto; questi individui, se adulti, spesso indossano abiti dell’altro sesso, se al contrario bambini tendono a giocare con giocattoli tipici del sesso opposto e ad identificarsi, nei giochi simbolici, con la figura materna. Così ad esempio Hadden Clark, un anno dopo che fu cacciato dall’esercito americano perchè gli era stata diagnosticata una schizofrenia con tratti paranoici, venne sorpreso mentre stava rubando biancheria intima femminile all’interno di un negozio, biancheria destinata a sé stesso: “- I like my ladies clothing -, he once told his mother. - Don’t try and change me -” 24. Hadden Clark era un uomo alto e robusto, ma la sua intelligenza non rispecchiava l’importanza del suo fisico, un giorno proprio per questo venne chiamato dalla sua nipotina di sei anni “ritardato”, in seguito confessò agli investigatori il suo forte sentimento di ucciderla, ed aggiunse che non sarebbe nemmeno stata la sua prima vittima causata da un insulto rivolto alla sua persona. Questa sua carenza intellettiva combinata alla sua sessualità non ancora sviluppata è bene espressa dal disegno di Fig.5, in cui la sessualità è chiaramente rappresentata dal rosso dello smalto presente sulle unghie delle mani; inoltre il significati di quel “learn” sembra ben coprire il suo ritardo intellettuale tramite un imperativo categorico. Molti altri serial killer, sembrano invece presentare una sessualità non bene indirizzata né verso il sesso maschile né verso quello femminile o tendente all’omosessualità. Questo può rappresentare un problema nella percezione di sé, problema che non è dovuto all’orientamento sessuale, quanto a come quell’orientamento vada poi ad incastonarsi con l’idea di sé. Infatti la spinta libidica provata da alcuni serial killer verso gli uomini, può diventare un grande problema se inserita all’interno di un contesto dominato dal sadismo, dalla cultura della violenza e dagli abusi sessuali subiti in età preadolescenziale. In altri casi la spinta libidica verso il proprio sesso può essere mascherata da una eterosessualità, come fu per Joseph Vacher, il quale nonostante mostrasse una forte attrazione fisica per il sesso femminile, non stuprò alcuna sua vittima donna, affermando in un caso specifico: “Non ho violentato la mia vittima, però è un peccato perchè era una ragazza molto graziosa” 25. Tratti di spinte omosessuali riemergeranno in seguito inscritti all’interno di una oralità non interiorizzata e non assimilata: “Dopo averlo ucciso non lo ho violato, ma lo ho morsicato ai testicoli” 26. Concludendo dobbiamo renderci conto che sebbene i tre punti si ancorino alla vita passata di questi criminali, trovano poi riscontro solamente nel qui ed ora, e pertanto ogni schema classificatorio, ogni definizione di movente, risulta spesso sfuggente ed inadeguata ad una loro possibile definizione, quanto adeguata ad una nostra sicurezza. Per questo nonostante la rilevanza e la frequenza di questi tre grandi aspetti nelle dinamiche psichiche dei serial killer, la loro importanza non può prescindere da una epistemologia sistemica secondo la quale è il generale a spiegare il particolare e non viceversa.
© Daniele Malizia
Note:
1 Simon, R.I. (1996) Bad Men Do What Goof Men Dream, Trad. it. I buoni lo sognano i cattivi lo fanno, Milano Raffaello Cortina Editore, 1997, p.339.
2 Freud, S. (1915) Zeitgemässes über Krieg und Tod, trad. It. Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, Torino Bollati Boringhieri, 1995, p.59.
3 Freud, S. (1915) Zeitgemässes über Krieg und Tod, trad. It. Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, Torino Bollati Boringhieri, 1995, p.51.
4 Per una trattazione completa dei vari tipi di omicidi seriali consulta Anatomia del serial killer di Ruben De Luca Giuffrè editore, 2001.
5 Lichtenberg, J. D. (1898) Psychoanalysis and Motivation, trad. It. Psicoanalisi e sistemi motivazionali, Raffaello Cortina Editore Milano, 1995.
6 De Luca, R. (2000) Anatomia del serial killer, Giuffrè Milano, 2001, p.680.
7 Ibidem.
8 Theodor John Kaczynski (1995), pubblicato su http://www.serial killer.it/straniere/unabomber/index.htm.
9 Andreoli, V. (2002) Il lato oscuro, Rizzoli, Milano, p.55-56.
10 Ibidem, p.131.
11 Paolo Bonolis intervista Donato Bilancia del 25-04-2004, trascrizione su http://www.lamescolanza.com/INTERVISTE/intervista_a_donato_bilancia.htm, 02-05-2004.
12 Pubblicato su http://www.skcentral.com/stano.html, 3-3-2004.
13 Pubblicato su http://www.crimelibrary.com/serial_killers/predators/gerald_stano/3.html?sect=2, 31-2-2004.
14 DSM-IV-TR (2000), Masson, Milano, 2002, p.573.
15 Ferrarotti, F. (1980) L’ipnosi della violenza, Rizzoli Milano, 1980.
16 Andreoli, V. (2002) Il lato oscuro, Rizzoli, Milano, p. 59-60.
17 Simon, R.I. (1996) Bad Men Do What Goof Men Dream, Trad. it. I buoni lo sognano i cattivi lo fanno, Milano Raffaello Cortina Editore, 1997, p.357.
18 De Luca, R. (2000) Anatomia del serial killer, il corsivo è mio, Giuffrè Milano, 2001, il corsivo è mio, p.228.
19 Pubblicato su http://www.crimelibrary.com/serial_killers/notorious/manson/charlie_5.html, 2-3-2004.
20 Barresi, F. (2000) Sette religiose criminali, EdUP Roma, 2000, p.175.
21 De Luca, R. (2000) Anatomia del serial killer, Giuffrè Milano, 2001, p.688.
22 Lingiardi V., Madeddu, F. (2002) I meccanismi di difesa, Raffaello Cortina Editore Milano, 2002, p.430.
23 Simon, R.I. (1996) Bad Men Do What Goof Men Dream, Trad. it. I buoni lo sognano i cattivi lo fanno, Milano Raffaello Cortina Editore, 1997, p.344.
24 Pubblicato su http://www.crimelibrary.com/serial_killers/weird/clark/index_1.html, 3-3-2004.
25 De Luca, R. (2000) Anatomia del serial killer, Giuffrè Milano, 2001, p.688.
26 Ibidem, p.688.