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Scienza e Psicoanalisi
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Osservatorio di Psicoanalisi applicata
Articolo di Anna Peirone   
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adolescenza e crisi dell’adolescenza

5 febbraio 2005

La psicoanalisi si occupa dell’adolescenza in modo particolare, come tempo dell’assunzione della responsabilità sociale e sessuale. Oggi, venendo a mancare i riti di iniziazione che davano elementi di identificazione e marcavano i mutamenti, sino ai cambiamenti del corpo, il tempo dell’assunzione della responsabilità sociale e sessuale si è enormemente dilatato.
Tutti i mutamenti, tutti gli accadimenti tutte le devianze che gravitano intorno al termine “crisi adolescenziale” vanno visti come l’emergere della ri-posizione di un soggetto uscito dall’età infantile. Gli elementi di crisi che configurano ciascun soggetto adolescente mettono in evidenza, attraverso le sue particolari manifestazioni, la struttura del soggetto al di là della cultura e delle epoche che necessariamente cambiano. Oggi riti molto meno pregnanti e di poco valore simbolico (vedi il diritto di voto e l’acquisizione della patente di guida) segnerebbero il passaggio a un’altra fase della vita.
Tuttavia, quasi sempre, questi cambiamenti non vanno di pari passo con l’emergenza pulsionale, una trasformazione che con l’evidenza dei mutamenti del corpo sessuato non è più ignorabile. In tutte le società il passaggio dalla famiglia al mondo esterno, dalla caduta dell’onnipotenza e della dipendenza infantile all’assunzione di una responsabilità intesa come capacità di una iniziativa sempre più vasta, è considerata una fase molto complessa. Una fase più o meno lunga di solitudine in cui affrontare le vicende della propria vita e della propria pulsionalità in relazione al sociale sino all’assunzione di un ruolo adulto. La separazione dalla madre, dal nucleo familiare, è infatti sentito come un lutto e come pericolo di morte. L’abbandono dell’onnipotenza infantile è sentito come mancanza di appigli e come necessità di trovarne di nuovi in maniera autonoma e particolare. Una chiamata ineludibile, a cui non è possibile non rispondere, anche se con tremore e timore di non esserne all’altezza.
Così i comportamenti devianti evidenziano punti conflittuali rimossi e celano ciò che il Soggetto ricerca per affermare la suaindividualità nel sociale e nel pulsionale.
Oggi il momento di conclusione dell’adolescenza si è spostato sempre più in là in una sospensione temporale indefinita. Lo si può vedere per esempio attraverso il privilegiare il gruppo che in quanto tale tale dà sicurezza, anziché la scelta di un partner o una rappresentazione di sé attraverso il corpo androgino, anche in una età ormai adulta.
Un’adolescenza interminabile, dunque, che chiama in causa il ruolo degli adulti della famiglia e il sociale, incapaci di dare dei riferimenti di una certa stabilità, e di porre dei limiti e d’altro canto di lasciare ai giovani, a tempo debito, la scelta di una via possibile.
L’epoca della scienza con il suo mito dell’eterna giovinezza blocca gli adulti in una perenne fuga dallo scorrere della vita e quindi dalla responsabilità di accettare la maturità, la vecchiaia, infine la caducità della vita umana, come già Freud ci aveva indicato.
In un’epoca di giovinezza generalizzata e di vecchiaia mascherata, sembra non esserci più un’età adulta che come processo di identificazione indichi all’adolescente una ricerca per la sua particolare via nel sociale.
La mancanza di ruoli definiti, le implicazioni della così detta famiglia allargata, dove il rito simbolico della Legge è difficilmente reperibile, tutto ciò fa emergere le devianze che vanno da una smodata aggressività, ai comportamenti asociali, alle tossicodipendenze, che sorprendono i famigliari ancora legati a un’immagine infantile del figlio.
Di qui l’importanza e la responsabilità delle istituzioni sociali pubbliche o private, che in una situazione di maggiore distacco e di maggiore presenza rispetto alla debolezza della famiglia, che non ha più i ruoli tradizionali, possono provare ad offrire nuove sicurezze nei gruppi esterni alla famiglia stessa e quindi porsi in posizione di aiuto.
Purtroppo ai fenomeni sociali si risponde spesso con provvedimenti indifferenziati che non tengono conto della storia e del contesto in cui la devianza è emersa. Questo impedisce di porre la dovuta attenzione alla crisi particolare di ciascuno, dandogli la possibilità di provare a prendere parola.
Una parola che sappia conciliare la ricerca di un possibile percorso di vita, con la spinta pulsionale nella relazione con gli altri, nella consapevolezza che la pulsione non potrà mai essere completamente soddisfatta.
Vorrei inoltre mettere in rilievo l’ importanza di avere sempre presente i corretti riferimenti di diagnostica psicopatologica, dalle semplici problematiche, sino alle vere e proprie devianze nell’adolescenza..
Nello stesso tempo vorrei dare valore al ruolo dell’analista che deve attenersi alla “dotta” ignoranza, nel senso di un sapere che si realizza attraverso la parola, che è spesso una domanda sul senso da dare a quanto di sconosciuto invade il corpo dell’adolescente, domanda che stravolge l’equilibrio strutturatosi nell’infanzia e alla quale l’antico attaccamento parentale non può più essere di aiuto.
Un ascolto dunque della parola dell’altro adolescente, nella sua singolarità, perché possa fare della propria solitudine, della propria diversità, uno strumento attivo di comunicazione con gli altri sulla via del sociale.

© Anna Peirone

     
 

 
 
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