Va ad Home
Direttore scientifico: Prof. Nicola Peluffo | Direttore editoriale: Dott. Quirino Zangrilli 
Scienza e Psicoanalisi
 OSSERVATORIO
Osservatorio di Psicoanalisi applicata
Articolo di Bruna Marzi   
 Home > Indice Osservatorio >  Questo articolo < indietro
 

Fobie alimentari e condotte d'abuso di sostanze *

3 aprile 2005

Nei trattati di psichiatria (DSM IV, Trattato di psichiatria del bambino di Ajuriaguerra, Trattato di psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza di Diatkine, Lebovici e Soulé) le fobie alimentari non sono classificate tra i disturbi dell’alimentazione, né tantomeno lo sono le dipendenze da sostanze psicotrope.
Ciò nonostante, gli autori d’indirizzo psicoanalitico citati nei suddetti manuali, sono pressoché tutti concordi nel rilevare, sia nelle diverse forme di disturbi alimentari, sia nelle tossicomanie, alcuni tratti distintivi comuni, riconducibili a fissazioni a fasi precoci dello sviluppo e, più precisamente, alla fase sadico-orale.
Nel presente lavoro, supportato dall’esperienza clinica, desidero illustrare che le fobie alimentari, presenti fin dall’infanzia, possono essere considerate, alla stregua di altri disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, come precursori di manifestazioni psicopatologiche successive, tra cui, oltre all’anoressia e alla bulimia e all’anoressia, le tossicodipendenze.

Nel Trattato di Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza di R. Diatkine e E. Valentin. le fobie alimentari vengono descritte come una forma, molto frequente, di organizzazione dell’angoscia infantile.
“…Si tratta di un’inibizione immediata dell’appetito, con disgusto a volte molto violento, davanti a cibi precisi. Dato il carattere molto elettivo di tale reazione, il bambino ritrova l’appetito appena non è più in presenza del cibo fobogeno. La scelta dell’oggetto fobogeno è molto variabile. Si può trattare di una categoria di alimenti: carni, pesci, legumi, latte o prodotti caseari – o di un aspetto fisico di essi: solidi (alcuni bambini mangiano per anni soltanto alimenti liquidi o finemente tritati), grassi ecc.” 1
L’inibizione, come spiega S. Freud, è una limitazione dell’Io causata da un’eccessiva erotizzazione degli organi implicati in una funzione, nel caso delle fobie alimentari, la bocca.
L’inibizione acquista carattere sintomatico nel momento in cui la funzione e l’oggetto fobogeno rappresentano i sostituti di un moto pulsionale soggetto a rimozione.
E’ noto a tutti il caso di Hans affetto dalla fobia dei cavalli.
Freud spiega come il bambino, avesse sviluppato tale sintomo per rimozione di un impulso amoroso nei confronti della madre e ostile nei confronti del padre che rappresentava il suo rivale edipico. La paura dei cavalli era il sintomo e la difficoltà ad uscire in strada costituiva l’inibizione della funzione. La “scelta”del cavallo come oggetto fobico esterno, sostituto paterno, consentiva al bambino di risolvere il conflitto di ambivalenza verso il padre e lo metteva al riparo dallo sviluppo dell’angoscia conseguente alla paura di essere evirato. Il sintomo (in questo caso la paura dei cavalli) acquista il carattere di una proiezione dal momento che sposta verso l’esterno un pericolo pulsionale interno. Il pericolo esterno viene percepito, sul piano della coscienza, come minaccia di essere morsicato o divorato.
Tornando alle fobie alimentari, oggetto della mia esposizione, come già detto, esse si presentano abitualmente come un’avversione verso un particolare cibo.
La paura, spesso conscia, è di morire per soffocamento o avvelenamento. Si rende necessario escogitare un meccanismo di evitamento dell’oggetto a scopo difensivo, per cui la persona, o si rifiuta di mangiare, oppure, se costretta all’assunzione del cibo, lo masticherà a lungo cercando invano di deglutirlo o di sputarlo.
La fobia di cui mi sono occupata nello specifico di un caso seguito in micropsicoanalisi, riguarda la carne.
La persona esprimeva disgusto nei confronti della carne cruda, “quella con il sangue” e per estensione, nei confronti del latte. Tale sintomo si era presentato per la prima volta nella seconda infanzia, con una breve interruzione nel periodo di latenza, per riattivarsi massicciamente durante la gravidanza.
L’associazione sangue/latte non è casuale se si tiene conto che il secondo non è altro che una trasformazione del primo. Il processo è detto lattogenesi: nell’essere umano, come negli animali a bassa produzione di latte, è necessario il passaggio di 1000 litri di sangue attraverso la ghiandola mammaria per formare un litro di latte.
La giovane donna presentava, inoltre, i tratti distintivi delle personalità dipendenti: intolleranza alle frustrazioni, bisogno di soddisfazione immediata del desiderio, irritabilità, angoscia di separazione.
L’abbassamento della tensione ed il contenimento dell’angoscia venivano ricercati per proiezione sull’oggetto fobogeno (la carne cruda che riusciva, non sempre, ad evitare), attraverso rapporti sessuali promiscui e condotte d’abuso di sostanze psicotrope (alcol, cannabinoidi, cocaina e derivati sintetici delle anfetamine).
Nei periodi, seppur sporadici, in cui riusciva ad astenersi dai suddetti comportamenti si presentavano reazioni depressive accompagnate da sentimenti di inutilità, fallimento e senso di colpa.
Le verbalizzazioni sul cibo fobogeno erano associate alla relazione con la madre caratterizzata da forte ambivalenza e descritta come persona assente e distaccata:
“la carne la masticavo a lungo e poi, se riuscivo, la sputavo…quel sangue, la sensazione di una cosa morta in bocca…che schifo la pelle flaccida dei morti…l’odore, la consistenza, è molto simile alla nostra carne, che schifo…non bevo dal bicchiere di mia madre, perché devo averne schifo?…ogni tanto sento il bisogno di mangiar carne, poi mi fa schifo…mi sento in colpa…mia madre soffredi cuore, sono i dispiaceri che le do…non mi sono mai sentita in simbiosi con lei…durante il parto mio figlio non riusciva ad uscire, così io, ho l’impressione che ci sia una membrana che mi impedisce di uscire…mi sento come quel canguro del documentario televisivo che esce dalla pancia della mamma e fa fatica a raggiungere il capezzolo…lui sa dove andare, io no…mia madre è sempre stata distaccata, chiusa nel suo mondo”.
Come il piccolo Hans l’analizzata si trovava a dover risolvere un conflitto di ambivalenza, con l’aggravante che rendeva la sua situazione psichica più instabile, data dalla fissazione a nuclei traumatici di origine iniziatico-orale.
In micropsicoanalisi con questo termine s’intende quel periodo che va dalla vita intrauterina ai primi 6/8 mesi di vita, durante il quale il feto/bambino dipende biologicamente e psichicamente dalla madre. Durante la gestazione viene servito da un servo meccanismo (materno) che gli assicura la sopravvivenza garantendogli nutrizione e respirazione. Dopo la nascita e fin tanto che non è in grado di manifestarsi, almeno come segnale di richiesta attiva (si esprime cioè solo con il pianto e le urla), continua a dipendere dall’adulto che provvede all’alimentazione e all’accudimento.
Da un punto di vista psichico vive una situazione fusionale, caratterizzata da onnipotenza e narcisismo, in cui non riconosce la differenza tra se e l’altro che egli percepisce come un prolungamento di se stesso.
Del resto le caratteristiche della relazione sopra descritta sono state ampiamente studiate da molti ricercatori anche grazie allo sviluppo delle moderne tecnologie di osservazione della vita fetale tramite ultrasuoni.
In campo micropsicoanalitico faccio riferimento agli studi pionieristici di N. Peluffo che circa 30 anni fa descrisse le dinamiche della relazione somatopsichica feto/materna in un libro intitolato “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione.”
Nelle persone portatrici di fissazioni iniziatico-orali, si possono verificare, nelle relazioni esistenziali, delle situazioni che, riattivando la sofferenza relativa agli eventi traumatici, richiamano modalità arcaiche di risoluzione del conflitto.
Intendo con ciò dire che qualsiasi alterazione omeostatica conseguente al mancato soddisfacimento di un bisogno/desiderio (fisico o psichico) verrà esperita come frustrazione autoinflitta ingenerando un cortocircuito di tensione, percepita come dispiacere.
Ad esempio, il desiderio di avere una relazione d’amore connotata da esclusività e possesso assoluto dell’oggetto, sarà fonte di sofferenza intollerabile in occasione di ogni separazione, seppur transitoria. In questi casi, solo l’erotizzazione della situazione con il conseguente spostamento su un oggetto esterno vissuto come persecutorio (l’identificazione di un rivale), mette al riparo il soggetto da difese connotate in senso più masochistico.
In questi casi, il tentativo di abbassamento della tensione avviene per spostamento su un oggetto con caratteristiche che richiamano associativamente la situazione primaria e che diventa, in tal modo, il depositario delle spinte sessuo-aggressive.
Lo stesso meccanismo possiamo applicarlo alle fobie alimentari e agli altri disturbi di nutrizione dell’infanzia: la difesa insorge per arginare un’angoscia suscitata da eventi perturbanti che hanno messo a repentaglio l’incolumità dell’individuo, durante la vita intrauterina e/o l’allattamento (minacce d’aborto, traumi esogeni o endogeni della madre, allontanamenti fisici o psichici di questa per investimento su altro oggetto o situazione). L’evento o serie di eventi, quando lo sviluppo renderà possibili le trasformazioni mentali di essi, si costituirà in nuclei inconsci di rappresentazioni ed affetti che si manifesteranno come immagini di deprivazione/perdita, annientamento/espulsione.
Per coazione a ripetere, nelle relazioni con il cibo, i partners o le sostanze, si replica una dinamica circolare orientata nel senso del controllo attivo dell’oggetto che, sul piano fantasmatico, viene alternativamente trattenuto ed espulso, distrutto o ricostruito.
Quindi, ogni volta che, nelle dinamiche esistenziali si riattiveranno associativamente le situazioni traumatiche originarie, verrà mobilitata la risposta fobica di evitamento dell’oggetto, per allontanare l’angoscia conseguente alla paura di essere soffocati, mentre l’uso delle sostanze costituisce la difesa controfobica che annulla magicamente la separazione/espulsione, concedendo al soggetto l’illusione di ricongiungersi nella relazione fusionale.
Ne sono una dimostrazione i rituali di passaggio dello spinello, della pastiglia divisa in due o della cartina con la polvere bianca (il passaggio della siringa è un po’ scaduto per ovvi motivi di diffusione dell’HIV), o del bicchiere/bottiglia, quando si tratta di alcolici.
Nelle relazioni tra tossicodipendenti, il più delle volte, la sessualità viene sublimata attraverso l’uso della sostanza che fa da tramite, oppure agita con modalità promiscue e perverse di tipo narcisistico, a dimostrazione che in questi peseudo-rapporti si reitera la dinamica fobica e controfobica: allontanamento dall’oggetto sessuale, compensato da quell’illusorio ricongiungimento fornito dagli effetti della sostanza.
Talvolta, quando la coazione a ripetere fallisce, tale “magico rincongiungimento” si rende effettivamente possibile, con le conseguenze nefaste che tutti conosciamo.

Per un ulteriore chiarimento delle formulazioni teoriche, desidero riprendere il materiale del caso.
La persona, in occasione della gravidanza aveva presumibilmente avuto una potente riattivazione dei traumi psichici di origine utero-infantile, tanto da provocarle l’immediata mobilitazione della difesa fobica di fronte al cibo odiato: la carne cruda/latte, accompagnata da fantasie angoscianti in cui vedeva il bambino in una pozza di sangue morire a seguito di un incidente.
E’ possibile interpretare questa serie associativa, ideativa e comportamentale, come reazione difensiva ad un potente desiderio di distruzione della madre/se stessa, spostato sul seno/oggetto parziale-parte per il tutto e successivamente proiettato sulla carne/latte in quanto sostituto e rappresentate dell’oggetto fusionale.
La difesa fobica consentì di salvare l’oggetto, in questo caso il figlio, dalle spinte aggressive e tacitare i sensi di colpa, almeno fino a quando il bambino non cominciò ad acquisire quel grado di autonomia che gli concesse di rivolgere il proprio interesse nei confronti del mondo esterno.
La ripetizione della separazione dall’oggetto fusionale indusse nella persona la reintroiezione dell’aggressività e la ricerca, attraverso l’assunzione delle sostanze stupefacenti, di un rapporto simile da un punto di vista rappresentazionale e affettivo, nonché connotato in senso decisamente autolesionistico.
E’ utile ricordare che la riattivazione transferale di tali nuclei traumatici, porterà la persona in analisi a ripetere nella relazione con l’analista la dinamica trattenere/espellere, farsi trattenere/farsi espellere. L’analista dovrà, pertanto fare molta attenzione per evitare che il lavoro fallisca oppure diventi interminabile.

© Bruna Marzi

Note:

* Estratto dalla relazione presentata al Convegno “I disturbi dell’alimentazione” tenutosi a Capo d’Orlando” il 13/14 novembre 2004.
1 S.Lebovici, R.Diatkine , M. Soulé: “Trattato di psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza”, Borla, Roma 1990, pag. 165

Bibliografia:

S. Freud: “Analisi della fobia di un bambino di cinque anni, Opere Vol V, B. Boringhieri
S. Freud : “Le neuropsicosi da difesa”, Opere Vol. X; B. Boringhieri
N. Peluffo: “ Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione”, Book’s Store, Torino 1976
S. Fanti: “Dizionaio di psicoanalisi e micropsicoanalisi”, Borla, Roma 1984.

 


 

Riassunto:

Il vasto materiale clinico nel quale sono presenti le fobie alimentari e i disturbi correlati all’uso di sostanze psicotrope, consente all’autore di avanzare una lettura psicoanalitica e micropsicoanalitica sull’etiopatogenesi di queste forme.
Il lavoro fa riferimento a fissazioni a stadi pre-oggettuali dello sviluppo libidico con particolare attenzione alla fase sadico-orale.

Summary:

Thanks to the great clinical material in which there are cases of food phobias connected with drug’s assumption, the author gives a psychoanalitical and micropsychoanalitical interpretation of etiopathogenesis of such disorders.
Referring to pre-objectual stages of libido development and particularly to sadistic-oral phase.

Parole chiave :

1 - Disturbi dalla nutrizione e dell’alimentazione
2 - evitamento dell’oggetto
3 - proiezione
4 - deprivazione/perdita
5 - annullamento/espulsione

Key words:

1 - nurishment and feeding disordes
2 - object avoid
3 - projection
4 - deprivation/loss
5 - annulment/expulsion

 

     
 

 
 
In questa Rubrica vengono pubblicati articoli di Autori appartenenti a scuole teoriche diverse. Il Comitato scientifico di "Scienza e Psicoanalisi" si occupa unicamente di verificare l'attendibilità delle fonti.
 
 

 
     
 
   
 
 

 
     
 

  ATTENZIONE:  L'intero contenuto del sito è tutelato da copyright: ne è vietata la riproduzione sotto qualsiasi forma.

Wikipedia Wikipedia può utilizzare l'intero contenuto rispettando le specifiche dell'autorizzazione concessa.

Per eventuali autorizzazioni scrivere al Direttore Editoriale.

 
     
 

 
 
   
EDITORIALE
ATLANTE
PSICOSOMATICA
FREUD
INFANZIA
NEUROSCIENZE
OSSERVATORIO
scienza
PSICHIATRIA
Psicologia
etnopsicoanalisi
ScienzaNews
Scienze Biologiche
Newsletter
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
 
 
 
 
 
incontro