La ricerca etimologica
16 dicembre 2000
La ricerca etimologica,
un tempo dominio esclusivo della filologia, è entrata
da anni a far parte di un vasto campo di studi storici, psicologici,
psicoanalitici. Le critiche dei puristi ad un uso
sovente disinvolto delle suggestioni etimologiche, sono numerose.
La più radicale nega che il significato originario di
un termine, ammesso che lo si possa rintracciare, dica qualcosa
rispetto al significato che il termine ha assunto in seguito.
Non è questa la sede per discutere i giusti argomenti
che gli studiosi di lingua portano contro labuso etimologico;
restano tuttavia le suggestioni di alcune etimologie che sembrano
illuminare certe zone opache di parole sempre usate e mai ascoltate.
Valga come esempio per tutte la parola desiderio
che pare derivare da un termine latino indicante con il de privativo
la mancanza di sidus, ovvero la mancanza di stelle, quasi a
indicare lo sguardo dei marinai che cercano nel cielo il loro
orizzonte. Essere senza stelle può diventare una bellissima
immagine di desiderio, nella quale viene rappresentato ciò
che non cè e che si vorrebbe.
Come si vede, chi scrive fa un uso psicologico delletimologia,
ben lontano dal rigore auspicato dai dotti. Proseguendo per
questa via, sarebbe possibile proporre un uso, per così
dire, associativo delle etimologie: rintracciare serie di radici
che possano funzionare da induttori associativi, o meglio, che
possano funzionare in modo analogo alle serie associative dei
pensieri.
Queste ultime, si sa, sono ciò che cerca la psicoanalisi
nel lavoro di seduta: tramite le cosiddette libere associazioni
ci si avvicina infatti alla frontiera tra preconscio e inconscio
e da lì si può cominciare a conoscere il proprio
mondo interno. La micropsicoanalisi spinge ancora più
in là questa tecnica allungando la durata della seduta,
dai classici 40- 60 minuti alle due, tre e anche quattro ore.
Questa dilatazione temporale permette alle libere associazioni
di prendere un andamento più lento e di avvicinarsi con
meno difese ai nuclei associativi che generano tensioni e conflitti.
Dunque, sulla scia di queste diverse modalità per andare
oltre alla coscienza, propongo di costruire serie etimologiche
capaci di andare oltre alla parola da cui si parte, in modo
da capire qualcosa di più della parole stessa.
Porterò un esempio di questo procedimento usando il Dizionario
Etimologico di G. Devoto 1:
letimologia della parola: solitudine. Essa è un
astratto di solo, parola derivante da una latina: solus che
a sua volta è un ampliamento di un tema sé, il
quale da origine a una particella che indica separazione e genera
molti termini. Separazione, a sua volta, è composta dalla
particella se e da parare, che significa preparare. Questa parola
viene da parare che vuol dire varie cose, tra cui: apparecchiare,
procurare; parare deriva e da una radice per, la quale da origine
anche a un gruppo di parole come: partorire, parto, parente.
Per riassumere: Solitudine, solo, separato, preparato, partorito.
La sequenza sembra suggerire che solo è colui che è
stato partorito, separato dalla madre. E in effetti, come insegna
la pratica di seduta, lemozione della solitudine fa parte
di quei vissuti di separazione che si attivano quando la situazione
rimanda associativamente a immagini di perdita. Le emozioni
connesse alla perdita a alla separazione, storicamente si situano
nella vita del bambino piccolo quando la relazione simbiotica
che egli ha con la madre, poco a poco, lascia spazio per una
dimensione di individuazione. La micropsicoanalisi fa risalire
i vissuti di perdita e separazione alle esperienze intrauterine.
Per potersi sentire soli è necessario riconoscersi come
separati a un oggetto al quale in precedenza ci si sentiva uniti.
Si costruisce una sequenza associativa di perdite che contiene
certamente la nascita, il taglio del cordone ombelicale, lo
svezzamento, la progressiva separazione dalla madre, fino alle
perdite dei legami amorosi sperimentate in età adulta.
Queste ultime possono essere vissute con la stessa devastante
impressione di morte imminente che abbiamo provato nella nostra
infanzia, ad esempio quando il flusso di sangue trasportato
dal cordone ombelicale, per qualsiasi motivo, cambiava intensità,
facendo giungere meno ossigeno al nostro corpo.
Solitudine, separazione, essere partoriti.
© Manuela Tartari
NOTE:
1
- Ed. Le Monnier, Firenze, 1968. back