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Scienza e Psicoanalisi
 OSSERVATORIO
Osservatorio di Psicoanalisi applicata
Articolo di Luigi Baldari  
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Strategie Psicoterapeutiche 1

In una conferenza tenuta al “Collegio medico viennese” nel 1904 e pubblicata col titolo Psicoterapia, Sigmund Freud espone i caratteri che differenziano la tecnica psicoanalitica dalle altre tecniche psicoterapeutiche, ed in ispecie da quelle suggestive.
Per prima cosa Freud ricorda ai Colleghi che “la psicoterapia non è un metodo di cura moderno. Al contrario, è la più antica terapia di cui la medicina si sia servita.”
In secondo luogo Egli richiama l’attenzione sul fatto che i medici non possono rinunciare alla psicoterapia per la semplice ragione che l’altra parte coinvolta nel processo di guarigione – e cioè il malato – non ha l’intenzione di rinunciarvi.
Vi sono molti tipi e mezzi di psicoterapia. Per Freud, buoni sono tutti quelli che raggiungono lo scopo della guarigione.
“In realtà – continua Freud – tra la tecnica della suggestione e quella analitica esiste la più grande antitesi, quell’antitesi che il grande Leonardo da Vinci ha compendiato, per quanto riguarda le arti, nelle formule per via di porre e per via di levare. La pittura opera per via di porre: applica cioè piccole masse di colore là dove prima non c’erano, sulla tela incolore; la scultura, per contro, procede per via di levare, ossia toglie dal blocco di pietra quel tanto che copre la superficie della statua in esso contenuta. In maniera del tutto analoga la tecnica della suggestione cerca di agire per via di porre, non curandosi della provenienza, della forza e del significato dei sintomi patologici, ma sovrapponendovi qualcosa, vale a dire la suggestione, dalla quale si attende che sia abbastanza forte da impedire all’idea patogena di manifestarsi. La terapia analitica, invece, non vuole sovrapporre né introdurre alcunchè di nuovo, bensì togliere via, far venire fuori, e a tale scopo si preoccupa della genesi dei sintomi morbosi e del contesto psichico dell’idea patogena che mira a eliminare. Con questo indirizzo di ricerca essa ha fatto enormemente avanzare le nostre cognizioni.”
Credo sia utile ricordare inoltre quanto Freud affermava già nel 1892 2: “Partendo dal presupposto, per altro ricco di sviluppi, che il sistema nervoso tende, nei suoi rapporti funzionali, a mentenere costante qualcosa che potremmo chiamare somma di eccitamento e che esso realizza questa condizione della sanità psichica liquidando ogni sensibile incremento di eccitamento per via associativa o scaricandolo mediante una corrispondente azione motoria…, diventa trauma psichico ogni impressione la cui liquidazione, tramite lavoro mentale associativo o tramite reazione motoria, presenti difficoltà per il sistema nervoso.”
Dunque, analizzare, cioè fare la psicoanalisi, vuol dire scomporre lo psichismo nei suoi elementi costitutivi, fino a coglierne l’origine energetica.
Il metodo associativo, che rappresenta sicuramente la più grande scoperta di Freud e che Fanti ha notevolmente potenziato, si serve della verbalizzazione. “L’analizzato descrive un’azione invece di compierla, trova le parole che descrivono l’agire, e questo è il vero motore dell’analisi. Se fossero solo parole avulse da un contesto che va a toccare l’azione, quindi l’esaurimento della spinta energetico-pulsionale nell’azione, nella trasformazione, la parola in sé non avrebbe nessun senso. D’altronde – ricorda Nicola Peluffo 3 – il linguaggio non è altro che la traduzione in un codice espressivo verbale di azioni non compiute o in compiendo, come direbbero i latini.”
È durante lo stadio iniziatico (stadio di sviluppo fetale) che certe tracce motorie cellulari di movimenti distensivi fissate in una protomemoria cellulare si organizzerebbero; si strutturerebbero in schemi sensorio-motori traducibili, probabilmente dopo la nascita, in espressioni figurali e linguistiche. 4
Le rappresentazioni e gli affetti sono quindi gli elementi costitutivi dello psichismo umano, sia normale che patologico. Essi si organizzano in catene formative-difensive che contrastano in maniera più o meno efficace la tendenza alla destrutturazione. Mentre nel normale vi è un equilibrio relativo tra questi due momenti, nel nevrotico tale equilibrio è conflittuale e viene raggiunto con un compromesso che pesa maggiormente su l’una o l’altra componente. L’isterico subisce il fascino della disorganizzazione psichica, contrastato dall’irrigidimento dell’insieme di rappresentazioni ed affetti che comunque conserva una certa plasticità. L’ossessivo si difende dal terrore di tale disorganizzazione con un irrigidimento estremo degli schermi iconici che perdono la loro plasticità.
Lo psicotico infine si identifica con una fortissima affinità per la destrutturazione che talvolta riesce ad evitare al prezzo di una rigidità limite. È un’affinità super-acuta per il vuoto, la cui comprensione è più semplice se lo si intende come espressione dell’indifferenziato.
Ora, lo psicoterapeuta (non dimentichiamo che è anche lui un essere umano), che non abbia fatto un training analitico approfondito allo scopo di disattivare i suoi conflitti inconsci e renderne disponibile l’energia, e non abbia acquisito nell’ultima fase della sua ricerca, insieme con l’apprendimento dello stadio iniziatico, la comprensione endopsichica del vuoto, ha il problema di padroneggiare la paura (più o meno conscia) di una esposizione troppo prolungata all’incontro col paziente: il motivo mi sembra evidente.
Nella pratica micropsicoanalitica il lavoro in profondità si ottiene con la tecnica delle sedute lunghe giornaliere e con i seguenti supporti tecnici: studio delle fotografie personali e familiari, della corrispondenza personale e familiare, delle piantine dei luoghi e delle case in cui l’analizzato è vissuto, dell’albero genealogico; ascolto delle registrazioni di alcune sedute.
È uno studio dell’uomo in rapporto non solo alla sua infanzia, ma a tutta la sua ontogenesi e la sua filogenesi.
Ovviamente in ambito istituzionale una micropsicoanalisi completa è pressoché impossibile da realizzare, mentre una psicoterapia micropsicoanalitica, che utilizzi uno o più sussidi tecnici, presenta ampi margini di praticabilità.
Mi soffermerò solamente, per ragioni di tempo, sull’utilizzazione psicoterapica delle fotografie in psichiatria.
Come aveva sperimentato negli anni ‘70 Mireille Courtit, presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Besancon, 5 lo studio delle fotografie anche in psicoterapia “è un’arma estremamente potente, che suscita molteplici soprassalti dell’inconscio e, in conseguenza di questo, scioglie il rimosso ed attacca le resistenze fino a farle scoppiare. Le fotografie (in particolare le proprie fotografie e quelle della propria famiglia) sono dei terribili totem che minacciano dei tabù tanto più resistenti quanto più risalgono all’origine dell’uomo”.
Anche la mia esperienza e quella di Gioia Marzi (responsabile SPDC Frosinone), confrontate e presentate al penultimo congresso nazionale della Società Italiana di Psicoterapia Medica, 6 dimostrano che il lavoro con le fotografie può essere utilizzato anche al di fuori del setting micropsicoanalitico, in occasione di psicoterapie individuali in ambito istituzionale laddove sia garantita una continuità degli incontri (1-2 la settimana). Specie quando il materiale evocativo è scarso, la prepotenza dell’immagine può rappresentare un aggancio percettivo al dato di realtà od una sorta di shock.
La somministrazione delle foto deve essere quindi proposta dopo un periodo sufficientemente lungo, tale da consentire una buona familiarizzazione tra il terapeuta ed il paziente. Anche la scelta del paziente deve essere orientata verso coloro che nel corso dei colloqui fanno riferimento a materiale fotografico, indipendentemente dalla patologia presentata.
“Le fotografie – sostiene Nicola Peluffo 7 - non sono solo un documento da analizzare, una miniera di ricordi, ma anche uno specchio in cui il soggetto trova l’immagine del suo rapporto con l’altro.” Può succedere quindi che, anche in psicoterapia come in analisi, pur rimanendo il comportamento manifesto del paziente collaborante, lo studio delle fotografie divenga superficiale. Peluffo indica alcune soluzioni da tentare ed usa la terminologia utilizzata da Musatti nell’analisi di Zabriskie Point, 8 quando si sofferma sulle tecniche per alterare, durante l’opera filmica, il corso del tempo. Egli descrive la tecnica dell’indugio, del rallentatore, del teleobiettivo e dell’iterazione. 9
Pierre Codoni 10 suggerisce che sia il micropsicoanalista a descrivere la fotografia presa in esame, fino a che l’analizzato non sia in grado di fare altrettanto. Noi troviamo molto utile questa tecnica durante le psicoterapie di psicotici; altrettanto utile è lasciare che il paziente osservi per tutto il tempo che desidera la fotografia e poi gli chiediamo di descriverla senza guardarla.
Concludo ricordando con Domenico Devoti 11 che “gli interventi di uno psicoterapeuta ad orientamento micropsicoanalitico sono estremamente limitati e in fondo sono in linea con quelli del micropsicoanalista; con la differenza che, pur mantenendo un atteggiamento di fondamentale passività e neutralità, attento a cogliere ogni dettaglio del materiale esternato dal paziente, il primo è più corposamente ‘presente’, vuoi in un bla-bla di sostegno e talora in interventi di maternage e di counseling ma ad un livello molto superficiale e che investe derivati molto lontani dei conflitti inconsci, vuoi in interventi di confrontazione con i quali è richiamata l’attenzione del paziente su comportamenti, pensieri evidenti, o fenomeni e figure-sosia, 12 di connessione di elementi di catene associative e di somministrazione dei ‘sussidi tecnici’, vuoi infine nell’attenzione, questa tutta interna allo psicoterapeuta, alle manifestazioni di transfert come indice dell’evoluzione della psicoterapia e come materiale di eventuale confrontazione nel caso di forte irrigidimento delle resistenze, se non addirittura di tempestiva interpretazione ove si presentino significativi e spontanei insights da parte del paziente, acting out o messe in atto.”

© Luigi Baldari

Note:

1 Estratto dalla relazione presentata al Convegno SALUTE MENTALE NEL MONDO CHE CAMBIA (OMS – Giornata mondiale della Salute mentale), Reggio Calabria, 7 aprile 2001. back
2 S. Freud (1892), Abbozzi per la Comunicazione preliminare, in Opere, vol.I, Boringhieri, Torino, 1982. back
3 N. Peluffo, Discussione, Convegno interdisciplinare SOGNO & PSICOPATOLOGIA, Capo d’Orlando, 17-18 novembre 2000. back
4 L’impostazione di Peluffo è prima di tutto freudiana e, in secondo luogo, molto vicina alle idee dell’epistemologia genetica di Jean Piaget e alle basi elementari della teorizzazione micropsicoanalitica di Silvio Fanti. back
5 M. Courtit, P. Codoni, L’utilisation psychotherapeutique de l’étude micropsychanalitique des photografhies en psychiatrie, 3° Congres Fédération Intérnationale d’Epidémiologie Psychiatrique, 1985. back
6 L. Baldari, G. Marzi, Applicazioni della micropsicoanalisi in ambito istituzionale, Atti del XXXIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicoterapia Medica, Bressanone, 25-26-27 giugno 1999. back
7 N. Peluffo, Immagine e fotografia. Borla, Roma, 1984. back
8 C. Musatti, Libertà e servitù dello spirito, Boringhieri, Torino, 1971. back
9 La tecnica dell’indugio è realizzata, in micropsicoanalisi, attraverso il tentativo di fare mantenere l’attenzione su ogni singola fotografia, per un numero maggiore di minuti rispetto a quelli che l’analizzato tenderebbe ad utilizzare spontaneamente. La tecnica del rallentatore è messa in opera chiedendo all’analizzato di rallentare la velocità delle sue associazioni. La tecnica del teleobbiettivo è concretizzata con l’uso dell’ingrandimento fotografico progressivo, ottenuto con l’impiego di lenti ad illuminazione sempre più potenti. La tecnica dell’iterazione si ottiene riproponendo più volte la stessa fotografia durante lo studio di una serie di fotografie diverse. back
10 N. Peluffo, Immagine e fotografia. Borla, Roma, 1984. back
11 D. Devoti, A. Ramello, E’ praticabile una psicoterapia micropsicoanalitica?, in D. Vigna, A. V. Caillat, Dalla psicoanalisi alla micropsicoanalisi, Borla, Roma, 1990. back
12 S. Fanti, Introduzione a N. Peluffo, Immagine e fotografia. Borla, Roma, 1984. “L’analizzato scopre che alcune tra le persone con le quali è in relazione amorosa, di amicizia o professionale, hanno una somiglianza, parziale o quasi totale con qualcuno dei suoi parenti.” back

     
 

 
 
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