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Il pianto
10 febbraio 2002
Il pianto è la prima
modalità espressiva delluomo neonato. Alla nascita
la prima immissione di aria porterà allespansione
degli alveoli polmonari e lemissione di suoni, il vagito,
è considerato segnale di vitalità. Tutto ciò
è omologato al pianto.
In effetti di lì e per diverse settimane il piccolo utilizzerà
quella sequela di inspirazioni ripetute-espirazioni prolungate,
accompagnate a suoni acuti ed iperlacrimazione, quale elettiva
espressione dei suoi bisogni e, di lì a poco, anche dei
suoi desideri.
Quando il linguaggio verbale sarà ampiamente acquisito,
anche in età avanzata e fino alla fine dei suoi giorni,
luomo avrà sempre a portata di mano quella prima
espressione non verbale, già forma abbozzata di pacchetti
di emozioni non facilmente traducibili in parole. Luomo
ripeterà, cioè, nel corso della vita, la sequela
di atti che avevano contrassegnato il momento della sua nascita.
Il cosiddetto pianto di gioia, eventualità tutto sommato
rara, è, a ben vedere, accompagnato da sentimenti di sofferta
ambivalenza.
Il pianto può essere anche uno strumento manipolativo discretamente
efficace, in quanto modalità espressiva regressiva.
In
clinica si è spesso testimoni di pianti copiosi o, peggio,
di assenza di pianto a fronte di vissuti di terrificante dolore.
Si può dire che lassenza di pianto in situazioni
esistenziali o patologiche importanti è di giudizio prognostico
severo. Valga per tante la considerazione della depressione endogena
grave, dolore senza lacrima, pensiero senza affetto, che può
cominciare a volgersi alla risoluzione con la comparsa del pianto.
Durante il pianto la secrezione delle ghiandole lacrimali aumenta.
Queste, in condizioni di quiete, producono modeste quantità
di liquido con la funzione di mantenere il trofismo della congiuntiva
e della cornea, di allontanare corpi estranei, polveri e insulti
tossici (batteri, virus, liquidi irritanti ecc.).
Dunque le lacrime provvedono al lavaggio dellocchio.
Ma piangendo la lacrimazione diventa copiosa e la funzione diventa
paradossale: dopo un pianto prolungato locchio è
arrossato, le palpebre gonfie; il lavaggio è andato oltre
le intenzioni. Potremmo dire che la funzione fisiologica del pianto
assume un incarico psichico rivolto alla eliminazione di una tensione
preesistente, causata da motivi palesi, oppure ignorati anche
da chi piange.
Diciamo che il pianto cerca di pulire lanima
eliminando psicobiologicamente un eccesso di tensione.
In questo senso esso ha una funzione limite tra il soma e la psiche:
è una difesa somatica che viene utilizzata anche dalla
psiche.
In sintesi si potrebbero configurare tre situazioni.
A) Della polvere cade realmente nellocchio e bisogna pulirlo:
la lacrimazione è unazione specifica.
B) Un incontro casuale ricorda per via associativa qualcuno amato
e perduto dal soggetto: irrompe il pianto. Ovvero il soggetto
usa una difesa somatica per abbassare la tensione determinata
dal ricordo della perdita, per allontanare una polvere psichica
conscia.
C) Lo stesso soggetto si rende conto di avere momenti di pianto
senza poter riconoscere delle motivazioni specifiche, ovvero la
necessità di distensione attraverso il pianto deriva da
ragioni preconsce o inconsce; di questa terza situazione si possono
descrivere due variabili:
1) il pianto si verifica in situazioni giudicate irrilevanti dal
punto di vista razionale;
2) il pianto avviene in qualsiasi momento della giornata senza
stimolazioni specifiche, indipendente e inarrestabile. Ovvero
proviene direttamente dallinconscio ed emerge come un pensiero
ossessivo che oltrepassa le barriere del secondario e irrompe
con tutta la forza del processo primario, inarrestabile. Per restare
nei termini usati, vuol dire che la polvere psichica è
rimossa e lunico segnale della sua presenza è proprio
il pianto: quel rimosso sarà estremamente spiacevole, carico
di tensione e sofferenza: dunque un rimosso traumatico.
Alcuni esempi di pianto tratti dall'esperienza
clinica
Pianto di resistenza
E quello che impedisce
laccesso alle associazioni libere, occupa gran parte della
seduta e strozza letteralmente la voce. Porterò ad esempio
una giovane verosimilmente sottoposta ad agiti incestuosi fino
alla fine dellinfanzia, tanto che già nei primi incontri
aveva potuto far riferimento indiretto a tale materiale.
In
questo caso di grave inibizione e tendenza alla difesa ossessiva,
con disturbo dellidentità psicosessuale, mantenere
il controllo è sintoma , ma anche difesa estrema da un
impulsività sentita come incontenibile e pericolosa;
il pianto è una vergogna, di fatto lunica espressione
del comportamento che sfugga al controllo della ragazza. Quando
meno lo vorrebbe, quando il desiderio di aggredire la soverchia,
scoppia a piangere e, pur riconoscendo che i motivi sono insufficienti
per giustificare una reazione tanto vistosa, non riesce a controllare
la copiosa fuoriuscita di lacrime. Durante le prime sedute controlla
i singulti con grande sforzo muscolare e inspirazioni forzate,
ma le lacrime non possono essere trattenute e sgorgano in silenzio
dagli occhi, inondando il cuscino. Un pianto coartato, di svasamento
della tensione .
Se riuscisse a mollare la morsa del controllo ne sarebbe sollevata
e, infatti, quellunico cedimento è già un
balsamo.
Pianto di fine analisi o di perdita
del sintoma
Alle ultime sedute della
sua analisi personale una giovane constata che passa le giornate
a piangere. Lacrime copiose sgorgano anche senza singhiozzi: non
si sente triste, ha davanti diverse prospettive che la interessano,
è adeguatamente appagata da una relazione sentimentale
e la monotonia del lavoro non le è più pesante,
anzi riesce a trovare adattamenti gradevoli. Però pensa
a sua sorella, che è maggiore, sta bene, ha raggiunto un
discreto adattamento sociale e piange: pensa che il rapporto simbiotico
che intratteneva prima è definitivamente sciolto; ripercorre
e riconosce la coazione a scelte di sacrificio e di iperresponsabilizzazione
che tale legame le imponeva inconsciamente; è consapevole
delle condotte mortifere alle quali era ricorsa come unica via
duscita dal giogo...ma piange!! Lemancipazione da
una relazione che, seppure nevrotica, lha accompagnata per
tutta la vita, la lascia in uno stato di smarrimento angoscioso
e userà le ultime sedute per elaborare questa perdita.
Ricordando un incubo in infantile riportato allinizio del
lavoro, Atlante che lasciava cadere la terra, commenta: Ho
buttato via il pianeta e ora che faccio?
Il pianto alla fine dellanalisi addolcisce il confronto
con la solitudine certa e irreversibile determinata dalla perdita
del pacchetto sintomatico che, pur avendoci fatto soffrire per
tutto quel pezzo di vita precedente, ci ha anche permesso di sopravvivere...
averlo smantellato e perduto è anche un dolore, da metabolizzare.
Angoscia senza pianto
Un analizzato che aveva
attraversato diverse fasi autodistruttive fra le quali lanoressia
e la tossicodipendenza da eroina, si era trovato a misurarsi con
unaltra polarità mortifera: il fantasma del gemello
psichico. Lelaborazione di questo punto dellanalisi
che era, in termini di sovradeterminazioni, il più recente
attualizzarsi della fissazione fusionale, era accompagnata da
intensa angoscia e si esprimeva nel transfert con la produzione
di materiale onirico a contenuto omosessuale quale espressione
del desiderio di ricostruzione dellunità simbiotica.
Langoscia era intensa e caratterizzava il quadro clinico
riconducibile, in quel momento del lavoro, a una forma depressiva
nella quale i pensieri di catastrofe erano espressi attraverso
immagini cruente, di ferite aperte sanguinanti, o di timore di
un agito violento autolesionistico. Il distacco dalla fissazione
è doloroso: la fissazione è una difesa, abbandonarla
fa sanguinare. La fissazione fusionale non conosce il pianto,
attività che comporta la presenza di aria (quindi del post-natale),
conosce però il sanguinamento che accompagna il travaglio
di parto, il lento distaccarsi dei villi coriali e, probabilmente,
anche i momenti finali della gravidanza durante i quali la placenta
va involvendosi e coopera con questo fenomeno allinduzione
del travaglio stesso. Involversi vuol dire che non è irrorata
bene, e che si formano lacune emorragiche che andranno, poi, in
necrosi.
Il rivissuto sullanalista permise infine laccesso
al pianto che emerse copioso, svincolato da contenuti specifici:
potremmo dire un pianto endogeno che portò con sé
labbassamento dellangoscia, lidentificazione
a immagini più salubri e in definitiva un discreto benessere.
Pianto endemico
Ancora oggi nelle culture
che discendono dai Greci (Italia meridionale, penisola Balcanica
meridionale e isole del Mediterraneo sud-orientale), il rituale
funerario è accompagnato dalle Piangenti, coro
di donne che si riunisce spontaneamente al triste evento e piange
dufficio, ripetendo frasi di compianto che non mancano di
ricordare la persona del defunto. Il cosiddetto pianto greco
è la traccia di numerose sovradeterminazioni: del coro
della tragedia greca classica, che aveva la funzione di esprimere
i sentimenti suscitati dalle vicende del dramma; del coro, più
antico, che accompagnava i riti funebri di personaggi eroici,
cantandone le gesta; infine, del coro dei riti dionisiaci che
le Menadi intonavano durante il baccanale culminante nel sacrificio
del capro (animale totemico rappresentante Dioniso stesso).
Il pianto greco ha istituito da millenni una specie
di regolamentazione delle espressioni di dolore come sostiene
Ismail Kadarè 1
, teso a formulare in maniera ordinata il dolore scomposto e spontaneo
dei congiunti e proteggere il rito funebre. A tal proposito, per
fare un esempio, si vedano in India i suicidi delle vedove sulle
pire del compagno.
In altri termini il pianto greco rinforzerebbe il Super-Io a scopi
catartico-salvifici nel fronteggiare tensioni potenzialmente distruttive.
Queste considerazioni sulla funzione normalizzatrice del pianto
attraverso linserimento nei riti catartici delle cerimonie
funebri ci riporta alla sua funzione, precedentemente definita,
tendente alleliminazione delleccesso di tensione e
delle sensazioni di dispiacere: dunque, il pianto come regolamentatore
del dolore, nel lutto come in ogni altra variazione omeostatica.
© Gioia Marzi
Note:
1
Eschyle ou le grand perdant (Fayard ed. 1995, pag.
28 -31)
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