La relazione madre - lattante: tra dubbi, paure e sensi di colpa
24 febbraio 2006
I vissuti della donna rispetto alla gravidanza e alla maternità, differiscono a seconda delle fasi e ad esse sono associati pensieri, paure e dubbi di diversa natura. Già nel 1961 la Bibring parlava dell’adattamento della donna a due stadi della gravidanza: un primo di accettazione dell’embrione-feto come parte di sé ed un secondo, a partire dalla percezione dei movimenti fetali, di riconoscimento dell’esistenza di un bambino dentro di sé che diventerà un essere autonomo.
Più recentemente, nel 1990, M. Ammaniti ed i suoi collaboratori hanno elaborato l’IRMAG: un questionario che consente di studiare le rappresentazioni materne nel periodo gestazionale.
Le preoccupazioni della donna prima del concepimento spesso riguardano la capacità di rimanere incinta, la fantasia soggiacente è di avere qualche difetto nell’apparato riproduttivo. Durante la gravidanza, soprattutto nei primi mesi, il timore è di aver concepito un bambino portatore di una malformazione fisica; la vita onirica è spesso ricca di immagini mostruose, di personaggi o insetti che invadono. Negli ultimi mesi, quando la presenza del feto diventa “ingombrante”, i pensieri consci riguardano la paura del parto, la minaccia dell’incolumità fisica. La donna desidererebbe evitare l’evento che mantiene il carattere di un’incognita pericolosa, nonostante la presenza sul territorio di qualificati reparti di ostetricia e ginecologia. Le fantasie ed i sogni più frequenti di questo periodo sono di subire aggressioni fisiche.
Ho fatto questa premessa per sottolineare come, ancor prima del concepimento e durante tutta la gestazione, la relazione madre-bambino sia caratterizzata da sentimenti di ambivalenza che indicano l’esistenza di un conflitto.
Cercherò ora di illustrare come tale conflitto si manifesti sul piano conscio ed inconscio nella diade madre-lattante, tenendo conto del fatto che il bambino nei primi mesi di vita dispone del pianto come unico strumento per manifestare i suoi squilibri omeostatici.
L’essere umano, infatti, alla nascita non ha alcuna possibilità autonoma di sopravvivenza, dipende totalmente dall’adulto. Potremmo dire che il lattante continua la relazione simbiotica della vita intrauterina sia da un punto di vista biologico che psichico. Dopo la nascita, infatti, egli viene accudito da un adulto, in genere la madre, che, come durante il periodo gestazionale, continua a garantire la sua sopravvivenza e che egli percepisce come un prolungamento di sé stesso.
Negli anni cinquanta René Spitz aveva condotto osservazioni sul comportamento del bambino nei primi mesi di vita, in quello stadio che lui stesso definì della non differenziazione. Spitz rilevò, infatti, che la percezione nel neonato degli stimoli esterni, incluso il seno o il biberon, è in funzione di una pulsione non soddisfatta (per es. la fame). Anche per quanto riguarda la risposta del sorriso, che compare intorno al terzo mese (The smiling response), Spitz rilevò che non si tratta del segnale di riconoscimento dell’oggetto, bensì della risposta ad una Gestalt privilegiata costituita da fronte-occhi-naso in movimento.
Accanto a R. Spitz molti altri psicoanalisti post freudiani hanno sostenuto che alla nascita il bambino possiede un io rudimentale indifferenziato, cioè non percepisce la differenza dall’altro. Conseguentemente, quando i suoi bisogni/desideri restano insoddisfatti, egli avverte l’esperienza come una frustrazione autoinflitta, entra in contatto con se stesso in maniera spiacevole ricevendo una ferita narcisistica che va a minare la sua onnipotenza.
Per risolvere il conflitto ed eliminare la tensione l’apparato psichico utilizza processi difensivi già descritti da M. Klein nella fase schizo-paranoide: la scissione, l’idealizzazione, la proiezione e l’identificazione. In altri termini, in questo stadio il mancato soddisfacimento di un bisogno/desiderio, viene risolto trattando il proprio corpo–seno/corpo della madre come esterno e sezionato in una parte frustrante ed una soddisfacente.
Spostando l’attenzione alla diade madre–bambino, si rileva che in questa fase i desideri primari del neonato di mantenere la relazione fusionale, trovano un naturale intralcio nel desiderio di de-fusione della madre, la quale già dalla fecondazione, ha dovuto rinunciare all’individualità cellulare e almeno nei primi mesi dopo la nascita del figlio, vede la sua vita strettamente condizionata dai ritmi di alimentazione/accudimento del bambino.
Oltre a ciò, le frustrazioni esperite dal bambino trovano un corrispettivo anche nella madre, la quale al momento del parto deve rinunciare (almeno fino alla gravidanza successiva) all’investimento narcisistico sull’immagine del bambino, vissuto come parte del suo corpo–pene della madre–se stessa (vedi N. Peluffo, “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione”) e all’onnipotenza esperita durante la gestazione, quando la sopravvivenza del figlio era da lei garantita in modo automatico.
Dopo la nascita, la situazione si complica: ora alla mamma spetta anche l’arduo compito di comprendere e soddisfare le richieste del figlio, cercando di interpretare i segnali che egli le invia. Ha l’impressione che il benessere/malessere del bambino dipenda esclusivamente da lei.
Il bambino piange, ergo ha un bisogno/desiderio non soddisfatto che percepisce come dispiacere/tensione. Nella madre scatta automaticamente il dubbio, già presente negli ultimi mesi di gravidanza, di non essere una brava nutrice. Il senso di colpa ruota il più delle volte attorno al tema dell’allattamento: se allatta al seno teme di non avere abbastanza latte o che questo sia poco nutriente, se utilizza il biberon, si preoccuperà della sua digeribilità. La difficoltà di interpretare le causa del dispiacere del bambino fa aumentare, talvolta in modo esponenziale, la tensione nella madre che, per identificazione, si assume l’insoddisfazione del figlio. In altri termini l’insoddisfazione del figlio (dispiacere/tensione) diventa tensione nella madre che la percepisce, sul piano conscio, come senso di colpa per non aver soddisfatto un desiderio del figlio di cui non è riuscita a capire la natura.
In perenne oscillazione tra l’identificazione con il lattante e l’identificazione con sua madre, la puerpera rivive le esperienze di frustrazione di entrambi. La parziale risoluzione del conflitto avviene per proiezione che le consente di trovare nel suo seno–seno della madre–se stessa, l’oggetto-parte per il tutto, responsabile del mancato soddisfacimento pulsionale, a cui però fa eco un vissuto di autosvalutazione/castrazione che alimenta l’immagine della cattiva nutrice/cattiva madre.
L’aspetto manifesto di questo complesso circolo vizioso, è facilmente riconosciuto dalle mamme in prima persona, ma anche da tutti coloro (ginecologi, ostetrici, pediatri e congiunti) che accompagnano la donna ed il bambino in questo delicato momento della loro reciproca esistenza. Così com'è ormai da tutti condivisa la necessità di dare sostegno fisico e morale alle neo-mamme.
Ciò che è meno noto è invece l’esistenza di una tecnica psicoterapeutica congiunta per madri e bambini, consigliabile in tutti quei casi in cui la tensione nella diade non trovi un suo spontaneo deflusso e dia luogo a stati d’ansia eccessiva accompagnati da manifestazioni sintomatiche.
© Bruna Marzi
Bibliografia:
- 1 Bibring, G. L.: “Some considerations of the psychological process in pregnancy”. The psychoanalytic study of the child, 1959
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2. M. Ammaniti, C. Candelori, M. Pola, R. Tambelli: “Maternità e gravidanza” Raffaello Cortina Editore Milano 1995.
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3. R. Spitz: “Il primo anno di vita del bambino” Giunti, Firenze 1962.
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4. K. Abraham: “Ricerche sul primissimo studio pregenitale della libido” in Opere 1° Vol. B. Boringhieri – Torino 1975.
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5. M. Klein: “Alcune conclusioni teoriche sulla vita emotiva del bambino nella prima infanzia”in scritti B. Boringhieri, Torino 1990.
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6. N. Peluffo: “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione” Book Store, Torino 1976.
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7. B. Cramer, F. Palacio-Espasa: “La pratique des psychotherapies mère-bébés” Puf - Paris 1993
Riassunto
L’essere umano alla nascita è incapace di sopravvivere autonomamente, dipende totalmente dall’adulto. Prosegue la relazione fusionale della vita intrauterina nella quale gli era assicurata l’alimentazione e la respirazione. Il mancato appagamento dei bisogni/desideri viene esperito come frustrazione auto inflitta. Per cercare di risolvere lo stato tensionale, l’apparato psichico utilizza la scissione, la proiezione, l’identificazione e l’idealizzazione. Tale stato conflittuale del bambino, ha un corrispettivo nella la madre, la quale, in perenne oscillazione tra l’identificazione con il figlio e l’identificazione con la propria madre, rivive il dispiacere reciproco di non soddisfare/non essere soddisfatto. La parziale risoluzione del conflitto conduce la madre all’assunzione della colpa con conseguenti reazioni depressive e vissuti di autosvalutazione.
Summary
Upon birth the human being is unable to survive by himself. He continues the fusional relationship of intrauterine life, when he was automatically fed by his mother. The unsatisfacion of the baby’s needs/desires is felt as self made frustration. In order to reduce the tension, the psychic apparatus utilises splitting, projection, identification and idealisation. Such a conflict is similar to the one suffered by the mum, who is swinging between the identification to her son and her mother. She feels at the same time both emotions of being unsatisfied and of being unable to give satisfaction. The consequence is a depressive reaction due to the assumption of guilt.
Parole chiave
1 - Relazione simbiotica
2 -
Diade madre-bambino
3 -
Frustrazione
4 -
Dispiacere
5 -
Tensione
6 -
Psicoterapia congiunta madre-bambino
Key words
1 - Symbiotic relation
2 -
mother-child dyad
3 -
frustration
4 -
affliction
5 -
tension
6 -
joint mother-child psychotherapy