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a cura di Bruna Marzi  
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Attualizzazione delle esperienze primarie nella relazione transfert-controtransfert

28 dicembre 2008

L’interesse di S. Freud per le esperienze che risalgono ad epoche sempre più remote della vita dell’uomo, andò aumentando man mano che egli approfondiva la conoscenza dell’apparato psichico.
Il suo laboratorio di ricerca era la stanza di seduta ed il materiale d’indagine le libere associazioni dei suoi analizzati: pensieri, immagini, emozioni, sentimenti, fantasie e sogni esteriorizzati e verbalizzati durante le sedute quotidiane.
Da allora le cose non sono cambiate di molto, almeno per quei professionisti che hanno continuato a lavorare secondo gli insegnamenti del Maestro. Alcuni hanno apportato delle modifiche alla tecnica riducendo la frequenza settimanale o modificando il setting, altri come i micropsicoanalisti, al contrario ne hanno allungato la durata, per consentire un più facile scioglimento delle resistenze al lavoro analitico. Tecnica non del tutto estranea allo stesso Freud che l’aveva già applicata a quei casi che, come lui stesso disse, necessitavano di più di un’ora al giorno perché impiegavano più tempo a “disgelarsi” , cioè a diventare comunicativi.
Successivamente il corredo delle conoscenze sulle esperienze primarie venne arricchito dai dati raccolti dalla psiconalisi infantile e dall’infant observation.
Negli anni ’70 si giunse alle pubblicazioni pionieristiche del nuovo zelandese A.W. Liley, di N. Peluffo e S. Fanti che affermarono l’esistenza delle vita psichica fetale e l’importanza dell’imprinting intrauterino per lo sviluppo successivo dell’individuo.
L’interesse di N. Peluffo per la vita intrauterina, si era concentrato su una particolare dinamica esistente tra la madre ed il feto definita del trattenere/espellere. Si tratta di una relazione ambivalente caratterizzata dalla compresenza di spinte conservative e di spinte espulsive verso l’embrione/feto.
L'ipotesi dell’autore che, come ha scritto Q. Zangrilli, ha trovato conferma nelle recenti ricerche effettuate da imminenti immunologi e biologi, è che il desiderio ambivalente della madre di trattenere/espellere l’embrione/feto trovi una corrispondenza somatica nella reazione immunitaria a causa della presenza nel feto del 50% di patrimonio genetico alieno.
All’inibizione della reazione di rigetto, secondo l’autore, corrisponde la comparsa di vissuti psichici, onirici e fantasmatici, di invasione, aggressione, annichilimento.
I lavori pionieristici degli psicoanalisti che si sono occupati della vita intrauterina e delle esperienze perinatali e post-natali, hanno trovato legittima conferma nelle scoperte in ambito medico che, grazie all’uso degli strumenti d’indagine sulla vita fetale, hanno documentato in maniera incontrovertibile che il feto è un individuo in evoluzione, capace di tradurre in maniera elaborata diversi stimoli, in atteggiamenti di sicura valenza psichica.
Ciò nonostante in molti ambienti rimane una certa diffidenza circa la comunicazione madre/feto. Si mette in dubbio, cioè l’esistenza stessa della relazione in assenza della percezione e del riconoscimento dell’oggetto.
In altre parole il dubbio riguarda il canale di comunicazione usato in quel particolare tipo di rapporto in cui non è possibile l’accesso a codici espressivi consueti, cioè il linguaggio, la scrittura o la pittura.
Il quesito riguarda anche la modalità di registrazione delle esperienze primarie nello psichismo affinchè esse possano essere ricordate, espresse e comunicate a posteriori.
Lo scopo che mi prefiggo è di cercare di dare una risposta a questi quesiti.
Con il supporto del materiale clinico cercherò di illustrare come avviene la rievocazione di esperienze molto precoci che riguardano prevalentemente la vita intrauterina e la relazione madre lattante e come vengono espresse nel corso delle lunghe sedute di micropsicanalisi.
Le esperienze traumatiche, in particolare se risalgono ai primi stadi dello sviluppo, lasciano tracce indelebili nello psichismo. Queste ferite fungono da attrattori di pensieri, immagini e comportamenti che si strutturano in serie associative di veglia ed oniriche e tendono a ripetersi in maniera pressoché identica a dispetto dell’età anagrafica dei soggetti e delle condizioni di vita. Il motore di tali ripetizioni è il desiderio di cicatrizzare definitivamente le ferite, ma i tentativi finiscono inesorabilmente per fallire cadendo nella spirale della coazione a ripetere.
Nel suo libro “Come nasce l’anima” Janus Ludwig parla di attualizzazione delle esperienze prenatali e perinatali in psicoterapia. L’autore sostiene che la fissazione ad eventi traumatici precoci condiziona il comportamento, il sentimento di sé, la capacità relazionale, la capacità immaginativa e affettiva. La possibilità di “mettere in scena” quell’antico copione in terapia ne consente l’elaborazione.
Il termine “attualizzazione “ è caro anche a Q. Zangrilli che lo usa in un’accezione un po’ diversa. Egli parla di “attualizzazione dello psichismo umano” riferendosi alla strutturazione di una nuova entità psicobiologica data dall’incontro/scontro del genoma materno e paterno in interazione con l’ambiente uterino.
Io vorrei tentare l’assimilazione dei concetti espressi dai due autori per esprimere il mio punto di vista.
Ma è sempre bene partire dalle parole di Freud: “…l’analizzato non ricorda assolutamente nulla degli elementi che ha dimenticato e rimosso, egli piuttosto li mette in atto. Egli riproduce quegli elementi non sotto forma di ricordi, ma sotto forma di azioni…”.
E’ noto, però, che per proseguire il lavoro analitico, l’analizzato deve attenersi ad una regola che implica la rinuncia all’azione deve cioè tradurre in linguaggio verbale quei vissuti inesprimibili, perché esperiti in epoche in cui non disponeva ancora di questo codice espressivo.
E’la presenza di tracce di esperienze traumatiche a spingere la persona a rivolgersi ad uno psicoanalista e la specifica modalità di instaurare relazioni d’amore, caratterizza l’intonazione della sua relazione transferale. La richiesta conscia dell’analizzato è l’eliminazione di uno stato sintomatico o più in generale di uno stato d’angoscia a cui soggiace una richiesta inconscia di risoluzione di conflitti che risalgono ai nuclei di fissazione traumatici.
Winnicott parla di regressione analitica e ne distingue due tipi relativamente allo sviluppo istintuale:
1. il ritorno ad una situazione precoce di fallimento dell’ambiente, intendendo con questo termine soprattutto le cure materne primarie;
2. e il ritorno ad una situazione precoce di successo.
Nel primo caso si tratta di una regressione cattiva, cioè di persone psicotiche che hanno subito gravi carenze di bonding, nel secondo caso si tratta di regressione buona e vi rientrerebbero tutte le psiconevrosi. Egli sostiene altresì che Freud non sarebbe riuscito ad analizzare le fasi pregenitali dello sviluppo perché non aveva avuto in cura casi di psicosi che offrono abbontante materiale relativo a quelle fasi dello sviluppo libidico.
Fatta eccezione per i casi fortemente marcati da una fissazione al narcisimo primario che, a mio parere hanno poche o nessuna possibilità di accesso all’analisi, proprio perché impossibilitati ad accedere ad una relazione oggettuale, ritengo che il concetto di regressione in analisi debba essere considerato congiuntamente a quello di ripetizione. Ciò a cui si assiste, infatti, è la fluttuazione tra uno stadio evolutivo e l’altro che si esprime nelle associazioni di seduta e nell’intonazione trasferale, sebbene non possano essere esclusi anche i casi di acting out.
Nelle sedute lunghe questa dinamica si esplicita in maniera molto chiara. Nel corso di 2/3 ore è possibile osservare il passaggio attraverso i diversi stadi evolutivi con reiterati tentativi di avvicinamento al nucleo traumatico a cui seguono altrettanti allontanamenti, fino a quando nella situazione transfert/controtransfert non si inseriscono degli eventi forieri di squilibri omeostatici, associativamente simili a quelli traumatici. Questi fatti inducono la rievocazione e la ripetizione dei nuclei traumatici all’interno della relazione analitica e possono consentirne l’elaborazione.
Pertanto ritengo che il termine “attualizzazione” possa essere riferito non solo al recupero mnestico e all’esteriorizzazione di eventi traumatici, al ritorno del rimosso della scena primaria o di stati d’angoscia relativi a traumatismi prenatali e perinatali, nel setting analitico. Penso che nella relazione analista-analizzato avvenga un incontro/scontro di immagini che da luogo ad una vicenda esistenziale simile, da un punto di vista rappresentazionale ed affettivo, a quella intrauterina che, sul piano conscio, si manifesta attraverso fantasmi e fantasie sessuo-aggressive. Nei momenti di maggiore intensità affettiva (energetica) possono inserirsi, per coazione a ripetere, elementi (eventi, sogni) che si oppongono alla stasi della fusionalità intrauterina. Tali fatti possono provocare momenti di grande sofferenza, ma al contempo possono dar vita all’attualizzazione di nuovi tentativi vitali e liberatori. La neutralità dell’analista può rendere possibile il vincolamento nell’attuale, il riconoscimento e l’elaborazione.
Come ci ha insegnato Freud, infatti, è proprio il lavoro di rielaborazione del materiale nel transfert che produce i maggiori mutamenti e differenzia la psicoanalisi dalle terapie suggestive.
Prima di passare all’esposizione del materiale clinico, che rende senz’altro più agevole la comprensione dei concetti trattati, vorrei precisare alcuni punti.
Molto spesso capita che gli analizzati facciano esplicito riferimento alle esperienze prenatali, perinatali e dei primi mesi della vita post natale, per associazione ad un sogno, un film, un evento attuale, ecc. La maggiore frequenza con cui, negli ultimi anni, questo materiale si presenta sul piano conscio, probabilmente è in parte dovuta anche alla divulgazione delle tecniche d’indagine prenatale e dell’informazione sulla vita fetale, nonché all’enfasi data alle cure del neonato.
Di solito le frasi sono poste in maniera interlocutoria, la persona cioè, non avendo registrato quell’esperienza in un codice comunicabile, nel momento in cui la rievoca e deve esprimerla usando le parole, non si sente pienamente legittimata a farlo. Ciò nonostante, alcune volte, il riferimento alle esperienze fetali o perinatali è la manifestazione di una difesa proiettiva camuffata e usata per compiacere l’analista. Intendo dire che spesso le resistenze si manifestano bypassando il materiale attuale e parlando solo del passato. Inoltre, quanto più esso è remoto, tanto più viene ritenuto importante ed utile al progresso del lavoro.
Nella maggior parte dei casi, il riferimento alla vita intrauterina non è esplicito, bensì di tipo allusivo o metaforico. Esso viene attivato da situazioni esistenziali, di lavoro, familiari, amorose e analitiche che mettono in moto serie associative oniriche e di veglia il cui ritornello è l’attrazione/fuga da una situazione contenitiva, la cui tranquillità è a tratti minacciata da un invasore pericoloso per l’integrità del soggetto.

Il primo caso che esporrò è quello di una giovane donna che, giunta ad una fase avanzata dell’analisi, dopo molte insistenze, era riuscita a convincere il suo fidanzato ad intraprendere il lavoro analitico.
L’introduzione del terzo (il fidanzato) nella relazione, era l’evento attuale che aveva fatto da induttore di serie associative di veglia ed oniriche, in cui riverberava l’oscillazione tra il desiderio di liberarsi dell’oggetto/rivale pericoloso e quello di mantenerlo.
Eliminare il terzo equivaleva a regredire alla relazione simbiotica e avrebbe condannato la giovane alla solitudine o ad un’analisi interminabile, mentre il suo mantenimento riattivava per coazione a ripetere il trauma di origine iniziatico orale.
Il sogno è lo scenario privilegiato nel quale meglio si evidenziano le fluttuazioni tra le due spinte pulsionali. “Io ed M. (il fidanzato) siamo in mare e nuotiamo uno dietro all’altra (riferimento transferale: l’analista è seduto un po’ in disparte dietro l’analizzato) Ci fermiamo per riposarci e lui inizia a rievocare la relazione con un’altra donna. Cerco di allontanarmi riprendendo a nuotare velocemente, ma vengo sopraffatta da un’onda violenta e mi salvo per miracolo. Penso: perché devo rischiare la vita?”.
Nel lavoro associativo l’analizzata rievoca con nostalgia i bei momenti di solitudine provati fino a qualche tempo prima, quando si dedicava ai suoi hobbies preferiti (venire in seduta per lei era un piacevole diversivo), oppure quando andava a fare delle lunghe nuotate. Le associazioni passano poi al ricordo delle intense sensazioni di comunione provate in compagnia di un vecchio saggio e paragonava quei momenti al piacere della poppata.
La lettura che do di queste associazioni è che il soggetto stia rievocando sensazioni esperite in epoca prenatale e nei primi mesi di vita. Momenti in cui l’assenza di tensione era assicurata nell’unità madre-feto-bambino da una relazione contenitiva che soddisfaceva le esigenze primarie ed in ultima analisi garantiva la sopravvivenza. In questa fase non possiamo parlare di investimento oggettuale o di riconoscimento vero e proprio dell’oggetto, ma piuttosto di stati di piacere/dispiacere a cui corrisponde il raggiungimento dell’oggetto e la distensione o in caso contrario la tensione.
Al materiale associativo esposto fa seguito, per contrasto, l’esteriorizzazione di pensieri e fantasie a sfondo sessuale che riguardano il tradimento dell’amato. L’immagine della rivale (il terzo nella relazione) acquisisce una valenza persecutoria e di minaccia dell’integrità fisica del soggetto. La sua presenza rende necessario mettersi in salvo, cioè allontanarsi dall’oggetto d’amore.
La salvezza equivale dunque al ritiro narcisistico, ma al contempo costituisce la minaccia di una relazione sterile a cui si oppone la spinta vitale verso l’oggetto e la riproduzione sessuata.
Sul piano della pulsione sessuale, infatti, tale movimento si traduce in una regressione dall’eterosessualità adulta con finalità riproduttiva, all’autoerotismo pregenitale.
E’lecito pensare che sia la necessità di riprodursi per via sessuata che spinge l’essere umano all’abbandono degli investimenti narcisistici e ad entrare nella triangolazione edipica familiare e poi sociale. L’ingresso del terzo che, nella relazione simbiotica intrauterina e neonatale, può corrispondere ad esperienze di violenza coitale, a traumatismi fisici e psichici della madre come incidenti, separazioni o lutti, genera una brusca rottura dell’omeostasi e viene esperito come minaccia alla propria integrità psicobiologica. Si costituisce la traccia psichica di un’esperienza d’ invasione, sopraffazione, annientamento che potrà essere riattivata ogni qual volta nella vita il soggetto si troverà ad affrontare situazioni affettivamente simili. La reazione difensiva che indurrà il soggetto a desiderare l’eliminazione del rivale, sarà vissuta narcisisticamente come paura di essere aggredito e alimenterà la necessità inconscia del persecutore.

Vorrei ora presentare un altro caso. Si tratta di una ragazza che svolse la micropsicanalisi in diverse tranches. Quella dalla quale traggo il materiale che esporrò, è tratta da una fase avanzata del lavoro analitico, successiva al ritorno del rimosso e alla presa di coscienza della relazione incestuosa esperita con entrambi i genitori. Si era così ottenuto lo svincolamento di molto materiale associativo riguardante la sessuo-aggressività: desideri provati nei confronti ora della madre, ora del padre, di unione sessuale, di appropriazione/incorporazione per via orale.
Devo aggiungere che durante la tranche precedente, avvenuta l’anno prima, io ero in cinta al 5° mese e l’analizzata aveva totalmente ignorato la mia gravidanza. Alla ripresa del lavoro, elaborato il materiale edipico incestuoso, poteva avere accesso a rivissuti più precoci, riattualizzatisi nella relazione transferale.
Inoltre, durante una trasferta di lavoro, la sua casa era stata occupata da parenti, ingenerando nell’analizzata sensazioni di minaccia e d’invasione. Voleva trovare una soluzione per sottrarsi a questa situazione soffocante.
Produce un sogno in cui l’analista ha ancora il pancione ed è svenuta ma lei fa finta di niente. Poi vede cadere e prendere fuoco un aereo con una grande pancia, come fosse in cinta. Si preoccupa per le persone dentro e corre a chiedere aiuto.
Il materiale associativo riguarda la sua sessuo-aggressività, tenuta a freno da un Super-io rigidissimo che le impone un controllo ferreo sulla vita di relazione e sulla postura. Era una voce interiore alla quale non riusciva a dare un nome.
Mi viene più facile pensare che questa entità sia una parte di me, staccata da me…come il pancione dell’aereo…una donna in cinta che ad un certo punto espelle, …il bambino non riesco a vederlo come un lieto evento, ma come qualcosa che divora da dentro, che succhia tante energie, la gravidanza la vedo come una cosa terribile…ho una fifa folle dell’aereo perché se questo si schianta non hai scampo…quand’ero lì sopra pensavo: questa è una prigione, proprio come nel pancione, non puoi far nulla, puoi solo aspettare il momento della liberazione e sperare che la mamma nel frattempo non ti faccia del male. Forse è una liberazione per tutt’e due, poi però non si è ancora autosufficienti, ma è meno soffocante, quella pancia la vedo troppo vulnerabile, mi viene un senso di soffocamento, lo stesso che provavo quando mia madre mi abbracciava, bisognava stare lì ed aspettare…come in quella grotta sull’isola, avrei dato delle testate contro la roccia, se perdo la calma divento una bestia e faccio del male soprattutto a me stessa…chissà se ci si sente in continuo pericolo quando si è dentro la pancia…immagino mia madre che si mette a correre, il bimbo sarà allarmato, non vede niente, proprio come dentro quell’aereo, ogni minima cosa può essere un attentato alla propria vita…chissà cosa succede quando i genitori fanno l’amore? Il bambino lo sentirà, come lo vive, come un’intrusione, un pericolo? Magari per la coppia il bambino è un intruso e per il bambino è il papà ad essere un intruso, tra me e la mamma è un corpo estraneo, mi sembra di non essere considerata, come fanno a farlo se ci sono io…mi sembra di aver assistito a tutto.”
A seconda della riattivazione della fase dello sviluppo psicobiologico, il persecutore assumeva diverse sembianze: ora era proiettato sulla madre o il padre edipico dello stadio fallico, ora sull’oggetto fusionale/sua madre/se stessa, ora sul padre intrauterino, inteso come pene-invasore che disturba l’omeostasi feto-materna.
Il passaggio successivo che consentì la vera elaborazione di questo materiale fu la proiezione sull’analista: “questo è l’unico posto in cui lui non può dire niente, certo immagino che stia ad ascoltare, che scriva, che prenda nota, come lei. Se lui potesse avere in mano tutto quello che lei ha scritto, sarebbe la mia condanna. All’inizio pensavo fosse lei questa entità, che avesse preso il posto del controllore e potesse leggere i miei pensieri. Io parlo della Voce, ma in fondo è la mia voce, in fondo vedo me, sembra la mia parte severa.”
L’analisi di questo caso si concluse alcuni giorni dopo la data fissata; l’analizzata mi chiese una piccola proroga, un prolungamento che le serviva a completare la sua nascita psichica. La bambina, infatti, era nata in anticipo perché sua madre, sul finire della gravidanza era diventata insofferente al pancione ed era riuscita ad ottenere l’induzione del parto che non mancò di complicazioni.
Scrive Peluffo: “L’analizzato ripete il suo periodo di permanenza nell’utero con i fatti, le allucinazioni ed i fantasmi del feto. L’analista risponde parallelamente con la ripetizione del rapporto intrauterino che ha avuto con la madre. Non è un dialogo di rivissuti, ma uno scorrere parallelo, con momenti di incontro sempre più o meno traumatizzanti…..La differenza tra l’analizzato e l’analista, oltre all’attenuazione affettiva del rivissuto è che molto spesso l’analista sa analizzare le elaborazioni secondarie successive dei vissuti infantili, così come, molto spesso, lo saprà fare l’analizzato alla fine dell’analisi.”

© Bruna Marzi

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Bibliografia

S. Freud: “Al di là del principio di piacere” (1920) vol. 9 ed. B. Boringhieri, Torino
1980
S. Freud: “Dinamica della traslazione” (1912) vol. 6 ed. B. Boringhieri, Torino 1980
S. Freud: “Osservazioni sull’amore di traslazione” (1914) vol. 7 ed. B. Boringhieri,
Torino 1980
S. Fanti: “La micropsicoanalisi” ed. Borla, Roma 1983
L. Janus: “Come nasce l’anima – la nostra vita psichica prima e dopo la nascita” ed. Mediterranee, Roma 1997.
A. W. Liley: “The fetus as a personality” Australian and New Zealand Journal of Psychiatry, 1972 Vol. 6: 99.
D. Winnicott: “Dalla pediatria alla psicoanalisi” Giunti Editore, dodicesima edizione 1998
N. Peluffo: “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione” Books’ Store, Torino 1976
N. Peluffo: “La situazione” Bollettino dell’ist. Italiano di micropsicoanalisi n° 5 1987
Q. Zangrilli: “La guerra intrauterina. Le ipotesi della micropsicoanalisi trovano conferma nella biologia evoluzionista” Rivista multimediale Scienza e psicoanalisi, 1 gennaio 2007.

   
 
   
 
 

 
     
 

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