|
Le reazioni all’immigrazione
3 febbraio 2008
Questa non è propriamente una news: la sua attualità è
dovuta solo al fatto che dell’argomento si è parlato in un articolo sulla
Repubblica del 24 novembre 2007, visibile qui: http://www.proteofaresapere.it/contributi.asp?id=1614 . Il sociologo Robert Putnam si riferisce qui ad uno studio condotto su vasta
scala nel 2000 negli USA, interamente pubblicato sul web all’indirizzo http://www.cfsv.org/communitysurvey/index.html .
Nell’intervista (pubblicata sulla rivista italiana Reset nel numero 104 del 2007, poi riferita da
Repubblica) Putnam sintetizza i risultati dello studio, che aveva come tema la
qualità delle interazioni sociali in una società multietnica. Lo studioso
condensa i risultati elencando alcuni punti, lasciando poi spazio ad un minimo
di ottimismo sulla possibilità di intervenire per migliorare le situazioni
investigate. Quello che mi ha colpito particolarmente, forse per una certa
coincidenza con una mia idea, è il passo seguente:
“emerge che la diversità non ingenera «cattivi rapporti
interrazziali», né un´ostilità tra gruppi definita dalle etnie. I cittadini di
comunità eterogenee, piuttosto, tendono 1) a ritirarsi dalla vita collettiva e
a diffidare di quanti li circondano, a prescindere dal colore della loro pelle;
2) ad allontanarsi anche dagli amici più stretti; 3) ad aspettarsi il peggio dalla
propria comunità e dai rispettivi leader; 4) a ridimensionare le attività di
volontariato e le opere di beneficenza; 5) a impegnarsi di meno in progetti
comunitari; 6) a recarsi con minore frequenza alle urne elettorali; 7) a
mobilitarsi con più grinta per le riforme sociali, ma con minore speranza che
le stesse possano segnare una differenza; 8) a restare ore e ore tristemente
incollati alla televisione.”
Credo che i sintomi elencati si possano sintetizzare nel
concetto che l’esposizione a contatti interetnici non genera razzismo, come
comunemente si ritiene, ma invece genera un atteggiamento paranoide genericamente rivolto alla comunità in cui
si vive. La mia idea, di cui dicevo sopra, è che un eccesso di stimoli possa
attivare automaticamente (su scala sociale, fatte salve le differenze
individuali) un eccesso di reazioni difensive. Quest’ultimo sarebbe alla base
delle reazioni che Putnam descrive.
Più oltre, si legge
“Ho l´impressione, in ogni caso, che finiremo per
accorgerci come la via migliore per rispondere a tale sfida non consista nel
rendere «loro» uguali a «noi», bensì nella creazione di un nuovo e più
ambizioso senso del «noi», e nella ricostruzione di una diversità che non
cancelli le specificità etniche, bensì forgi identità-ponte, le quali
garantiscono che le stesse specificità non scatenino la reazione allergica del
ripiegamento su di sé.”
Questo progetto, isolato dal contesto come ho fatto per
semplicità di citazione, può sembrare azzardato; ma in realtà, come si legge
nel seguito dell’articolo, Putnam e altri stanno lavorando su strategie a breve
e medio termine che possano rendere meno faticoso l’inevitabile e lento
processo di assimilazione. È ovvio che una volta avvenuta l’assimilazione scompare
il problema delle reazioni difensive individuali; non posso fare a meno di
notare come questo processo possa essere lungo e doloroso, ad esempio mi sembra
che si possa spiegare anche con questi fattori il lungo periodo di ripiegamento
e di depressione che denotiamo come Medioevo europeo. Ma la prospettiva a lungo
termine ci interessa poco, in questa sede.
La conclusione immediata che invece voglio trarre dalla
lettura del lavoro di Putnam è che ritengo si possa assumere un atteggiamento
di maggiore comprensione e tolleranza nei confronti delle reazioni
all’immigrazione apparentemente folli di cui veniamo a conoscenza ogni giorno.
Queste reazioni sono forse meccanismi di difesa normalmente fisiologici,
inevitabili e come tali tutt’altro che folli, anche se il loro manifestarsi
risulta spesso sgradevole. Al contrario, credo che ci si possa utilmente astenere
dalle posizioni standard di “buonismo” e di “political correctness” che sono dominanti almeno in certi settori della
nostra società. Come normalmente accade, anche in questo campo un tentativo di
forzare comportamenti che si ritengono sani e razionali può provocare
l’esplosione di una situazione patologica. Lasciare che le persone mettano
invece in atto strategie istintivamente volte a diminuire l’eccesso di stimoli
percepiti come estranei e minacciosi potrebbe forse contribuire alla
tranquillità individuale - e conseguentemente sociale.
© Federico Spanò
|
|