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Articolo di Maria Cristina Onorati  
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La scomparsa di Majorana

11 luglio 2007

Ettore Majorana
 
Disegno eidomatico di E. Majorana
 
     

Dal 26 marzo 1938 si perdono le tracce del trentunenne fisico siciliano Ettore Majorana, sicuramente uno degli  scienziati più promettenti dell’epoca.
Sulla sua scomparsa restano le notizie racchiuse nel fascicolo PS 1939-A1 redatto dalla polizia fascista a partire dal primo aprile 1938.
All’inizio del dossier troviamo tre scritte:
La prima: “Voglio che si trovi”, scritta dallo stesso Benito Mussolini.
La seconda, di Arturo Bocchini, allora capo della polizia, che sotto la scritta di Mussolini aggiunse “I morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire”.
La terza, definitiva, è “radiare” datata 4 aprile, che archivia sotto la scritta “scomparsa a fine di suicidio” la storia di Majorana.
Tale conclusione nasce dal fatto che lo stesso Majorana aveva lasciato due lettere in cui esprimeva l’intenzione di suicidarsi. La prima è indirizzata al direttore dell’istituto di Fisica di Napoli Antonio Carrelli:
 “Caro Carrelli, ho preso una decisione che era ormai inevitabile…Ti prego di ricordarmi almeno sino alle undici di questa sera e possibilmente anche dopo”.
La seconda lettera è alla famiglia:
 ”Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo, ricordatemi se potete nei vostri cuori. E perdonatemi”
Il 25 marzo Majorana si imbarca su una nave diretta a Palermo portando con sé il passaporto, le ultime quattro mensilità da professore e  tutti i suoi risparmi ritirati in banca. Tuttavia non si uccide in quanto, arrivato a Palermo il giorno dopo, manda un’altra lettera a Carrelli in cui smentisce i suoi propositi e annuncia il suo ritorno a Napoli. Secondo le documentazioni della Tirrenia, Majorana si imbarca nuovamente sul postale Palermo-Napoli del 27 marzo e da quel momento di lui non si ha più traccia.

Ma andiamo con ordine. Ettore Majorana nasce  a Catania il 5 agosto del 1906, genio precoce in una famiglia in cui il prodigio era la regola; consegue la maturità classica nel 1923 e si iscrive alla facoltà di ingegneria a Roma, che frequenta  fino all’ultimo anno. Nel 1928, accortosi che in realtà il suo vero interesse è per la “scienza pura”, chiede ed ottiene il passaggio alla facoltà di Fisica dove si laurea l’anno seguente in Fisica Teorica sotto la direzione di Enrico Fermi svolgendo la tesi “La teoria quantistica dei nuclei radioattivi”, ottenendo i pieni voti e la lode.
E’ Emilio Segrè che nell’inverno 1927-28, nel nuovo ambiente della fisica che si è creato intorno a Fermi, inizia a decantare le eccezionali qualità di Majorana, cercando nello stesso tempo di convincere lo stesso al passaggio alla facoltà di Fisica. All’inizio del 1928 Majorana ottiene il passaggio dopo un colloquio con Fermi. Per capire alcune caratteristiche della complessa personalità di questo scienziato eccezionale, vale la pena spendere due parole sulle modalità con cui si svolse il colloquio, attraverso il racconto di Edoardo Amaldi che lo conobbe in quella occasione.

Amaldi ci dice che Majorana arrivò all’Istituto di Fisica di via Panisperna e fu accompagnato nello studio dello stesso Fermi; in quel momento Fermi stava lavorando al modello statistico che in seguito sarebbe stato chiamato col nome di modello di Thomas-Fermi.
Con Majorana Fermi iniziò subito a parlare delle ricerche in corso all’Istituto e gli espose rapidamente le linee generali del modello stesso; gli mostrò gli estratti dei suoi lavori più recenti in merito all’argomento e in particolare la tabella che conteneva i valori numerici del cosiddetto potenziale universale di Fermi, a cui lo stesso aveva lavorato per settimane. Majorana ascoltò con attenzione, chiese alcuni chiarimenti e andò via senza aver commentato o detto alcunché sulla conversazione avuta con Fermi. Il giorno dopo si presentò di mattino tardi in istituto, andò diretto nello studio di Fermi e gli chiese senza tanti preamboli di vedere la tabella che lo stesso Fermi gli aveva mostrato il giorno prima. Una volta avutala in mano, tirò fuori dalle tasche un foglietto su cui aveva scritto una tabella analoga da lui calcolata a casa nelle 24 ore precedenti. Secondo la testimoninanza di Segrè, Majorana aveva trasformato l’equazione differenziale del secondo ordine non lineare di Thomas-Fermi in una equazione di Riccati che poi aveva integrato numericamente. Confrontò le due tabelle e constatando che erano in pieno accordo disse a Fermi che la sua tabella andava bene.
Majorana ovviamente superò la prova e cominciò a frequentare l’istituto di via Panisperna.

Quel primo incontro, oltre  a segnare l’ingresso di Majorana in via Panisperna, avrebbe anche gettato le basi sul tipo di rapporto che sarebbe sempre rimasto tra Fermi e Majorana, da pari a pari in primis (Segrè avrebbe poi detto che solo Majorana poteva discutere con Fermi) ma anche distaccato, critico e profondamente antagonista.
A via Panisperna troviamo un gruppo di talenti legati da grande amicizia. Un'equipe in cui lavoro e vita personale sono fusi in un tutt'uno. Questo è il gruppo tra il 1928 e il 1938. In quel pool di giovani scienziati attratti dal mondo dell'atomo ognuno ha un soprannome. Fermi è "il Papa". Rasetti, il collaboratore più anziano, è "il Cardinale Vicario". Segrè è il Basilisco per la sua ironia pungente. A Majorana tocca l'appellativo di "grande inquisitore", per il suo spirito caustico, nonché  per la sua capacità di critica affilata soprattutto con se stesso.
Restano nella storia le gare tra loro di complicatissimi calcoli, Fermi con il regolo calcolatore, alla lavagna o su un foglio e Majorana, a memoria, girato di spalle; quando Fermi dice “sono pronto” Majorana dà il risultato: vince sempre lui, il “grande inquisitore”.
Se Enrico Fermi è stato forse uno degli ultimi - e straordinari - esempi di grande teorico e contemporaneamente di grande sperimentale, Majorana è stato invece un teorico puro, anzi aveva al massimo grado quel raro complesso di attitudini che formano il fisico teorico di gran classe. Ettore "portava'' la scienza, come ha detto Leonardo Sciascia: portava, anzi, la fisica teorica.
Come racconta sempre Amaldi, Majorana aveva l’abitudine di scarabocchiare i suoi appunti dove capitava, spesso sui pacchetti di sigarette che fumava in continuazione; a volte nel corso di una conversazione tirava fuori il pacchetto e ricopiava tutto alla lavagna. Nella gran parte di casi tutto finiva nel cestino della spazzatura; fece questa fine nel 1932 la teoria del neutrone che Majorana scopre prima di J. Chadwick, il fisico che per questo ottenne il nobel nel 1935. Fermi scongiurò Majorana di pubblicare l’esito delle sue scoperte, avendone intuito l’importanza, ma Majorana si rifiutò, in quanto la dimostrazione matematica non era completa e reputò avventato pubblicare dati di cui non si era certi.
Stessa cosa capitò con la scoperta delle forze di scambio negli atomi, a cui arriva nel 1932, qualche mese prima di Werner Heisenberg, che per quella scoperta otterrà il Nobel.
Ettore si dimostra sempre riluttante a rendere note le sue scoperte, nascondendosi dietro un muro di sarcasmo e introversione. In tutta la sua vita  pubblicherà nove lavori scientifici e anche se tutti i manuali di fisica parlano di "neutrini di Majorana e forze di scambio di Majorana", all'epoca nessuno conosce le straordinarie intuizioni di questo giovanissimo genio. Nessuno, eccetto chi vive con lui la frenetica, eccitante, atmosfera dei laboratorio di via Panisperna. Dirà Sciascia, nel suo libro dedicato al grande fisico “La scomparsa di Majorana”:
"Fermi e 'i ragazzi' cercavano, lui semplicemente trovava. Per quelli la scienza era un fatto di volontà, per lui di natura. Quelli la amavano, volevano raggiungerla e possederla. Majorana, forse senza amarla la portava dentro di sé".
Nel gennaio del 1933 Majorana, grazie ad una lettera di raccomandazione e ad una borsa di studio assegnatagli da Fermi, va a Lipsia per perfezionare le sue conoscenze sull’uranio nel laboratorio del grande Heseinberg. Con Heseinberg nascerà un rapporto di profonda stima, forse una vera e propria amicizia, una cosa molto rara per un carattere come quello di Majorana. E’ certo che Heisenberg lo tenesse in grandissima considerazione, come lo stesso Majorana dice nelle lettere inviate alla sua famiglia e che Majorana intrattenesse lunghe conversazioni con lo stesso, probabilmente parlando non solo di fisica.
 Heisenberg oltre ad essere uno straordinario scienziato, era anche un filosofo, capace di valicare le barriere del carattere così chiuso di Ettore.
A luglio del ‘33 torna a Roma e benché i 7 mesi passati in Germania lo abbiano fatto entrare nel Ghota della fisica nucleare mondiale, le sue visite a Via Panisperna diminuiscono fino a d interrompersi del tutto nel 1934. Questo anno è fondamentale per Majorana per due ragioni: per la morte del padre, a cui era legatissimo, e perché Fermi e i suoi riescono ad ottenere in laboratorio la fissione dell’uranio. Senza rendersene conto Fermi ha scoperto il meccanismo della bomba atomica.

Per spiegare la scomparsa di Majorana esistono diversi ipotesi; la meno credibile resta quella del sucidio (la famiglia non crederà mai a questa tesi e nemmeno i suoi collaboratori). In un libro del 1987 il fisico Ernesto Recami sostiene che Majorana si sia imbarcato verso il Sud America e lì si sia ritirato a vita privata, pur mantenendo la sua identità. C’è chi invece sostiene che egli abbia preso l’identità di un barbone, tale Tommaso Lipari, conosciuto da tutti a Mazzara del Vallo o addirittura chi ipotizza che Majorana sia stato eliminato affinché le cose andassero come dovevano andare. resta il mistero su che fine abbia fatto davvero Ettore Majorana. A mio avviso la tesi più suggestiva, nonchè quella più in linea con la personalità così complessa di questo grande scienziato, resta proprio quella di Sciascia: nel suo libro ipotizza che Majorana abbia intuito le tremende potenzialità della scoperta della fissione dell’uranio e abbia in un certo senso abiurato alle sue conoscenze da scienziato, scegliendo deliberatamente di isolarsi dal resto del mondo e chiudendosi in qualche remoto convento italiano.
Di certo c’è solo che dal 1934 Majorana si chiude in casa a lavorare per ore senza uscire mai, studiando in maniera quasi furiosa tanto che i medici arriveranno a diagnosticargli un esaurimento nervoso. Dall’isolamento uscirà in maniera forzata quando gli verrà assegnata la cattedra di fisica teorica all’università di Napoli “per alta fama di singolare perizia”; ma nemmeno questa occasione riuscirà a restituirlo alla normalità.
Alla notizia della sua misteriosa scomparsa Fermi dirà ad un suo giovane collaboratore:
“Perché, vede, al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fanno del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che invece è comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso.”

© Maria Cristina Onorati

Bibliografia:

• Leonardo Sciascia,  “La scomparsa di Majorana”      
• Emilio Segrè, “I ragazzi di Via Panisperna”
• Erasmo Recami, ”Ettore Majorana: L'opera scientifica edita e inedita”
• Antonino Zichichi, “Ettore Majorana: Genius and Mistery”
• Edoardo Amaldi “Ricordo di Ettore Majorana”

Un particolare ringraziamento al Dott.  Ivan Colantoni del dipartimento di Fisica dell’ Università degli studi di Roma “Tor Vergata”.

 

     
 
   
 
 

 
     
 

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