Il feto è un
trapianto?
2 febbraio 2001
Come fa un feto a sopravvivere
nel grembo materno senza essere attaccato e rigettato dal sistema
immunitario della madre? In fondo, per il sistema immunitario
materno, il feto non è diverso da un innesto di pelle
oppure da un trapianto dorgano. Già nel 1953 Medawar
mise in evidenza che nei mammiferi la sopravvivenza del feto
allogenico
1
era in contraddizione con le leggi dei tessuti trapiantati.
Circa quattro anni fa, loncologo David Munn scoprì
che i macrofagi paralizzano i linfociti T killer responsabili
degli attacchi contro tessuti estranei. I macrofagi producono
un enzima chiamato indoleamina 2,3-deossigenasi (IDO), che distrugge
un amminoacido, il triptofano, mattone fondamentale nella costruzione
delle proteine. Senza il triptofano, le cellule T non possono
dividersi e riprodursi, e la risposta immunitaria viene così
bloccata.
Successivamente, altri ricercatori scoprono la presenza di IDO
nella placenta portando Munn a chiedersi se il feto possa usare
lIDO per neutralizzare i linfociti T materni privandoli
del triptofano. Larresto della produzione di IDO nella
placenta dovrebbe causare il rigetto del feto da parte della
madre. Munn, con gli immunologi Andrew Mellor e Simon Conway
del Medical College of Georgia
(MCG), decidono di verificare la nuova teoria sul topo. Nel
1998, i risultati vengono pubblicati dalla rivista Science.
Quando un topo femmina ed il suo feto sono geneticamente differenti,
come accade in ogni normale gravidanza a causa dei contributi
genetici provenienti dello sperma paterno, una sostanza chimica
che neutralizza lIDO (l-metil-triptofano) provoca nella
madre laborto dei suoi embrioni. Tuttavia, nei ceppi di
topi endogamici geneticamente identici discendenti da
generazioni di genitori di gemelli omozigoti e nei topi
gravidi con il sistema immunitario inattivo, lantagonista
dellIDO non mostra effetti. La ricerca prosegue, e nel
numero di Gennaio 2001 di Nature Immunology, gli
autori ci mostrano che il rischio di rigetto negli alloinnesti
fetali è correlato con il grado di incompatibilità
tra i tessuti provenienti dal ceppo materno e quello paterno.
Inoltre viene identificata uninfiammazione di tipo particolare
che comprende lattivazione del complemento
2
ed indipendente dagli anticorpi.
Il feto dei mammiferi, dopo la fase di impianto della blastocisti,
si trova in intima connessione con i tessuti uterini ed il sistema
sanguigno materno. Dal punto di vista immunologico si tratta
di un vero e proprio paradosso: i tessuti fetali che esprimono
antigeni di eredità paterna provocano le risposte delle
difese immunitarie materne. Una gravidanza condotta a termine,
dipende dunque dai processi che sopprimono limmunità
materna diretta contro gli alloantigeni fetali. Una stima assicura
che fino al 50% delle gravidanze umane fallisce a causa di complicazioni.
Alcuni fallimenti si possono spiegare con anomalie genetiche
o dello sviluppo, altri invece sono dovuti ai processi immunologici
di rigetto degli antigeni riconosciuti come estranei.
Oggi gli autori ci propongono tre diverse spiegazioni per la
sopravvivenza del feto a dispetto dellimmunità
materna diretta contro gli alloantigeni fetali: segregazione
fisica delle cellule materne e fetali; immunità antigenica
del feto; oppure inerzia (tolleranza o soppressione) del sistema
immunitario materno.
Gli esperimenti nei topi dimostrano che il repertorio dei linfociti
T materni è solo parzialmente e transitoriamente tollerante
agli antigeni dellistocompatibilità fetale. Inoltre,
fin dallinizio della gestazione umana, si verificano,
molto frequentemente, microprocessi di attecchimento e convivenza
(chimerismo), tali da suggerire che la placenta non costituisca
una barriera fisica impenetrabile al traffico molecolare o cellulare.
I ricercatori effettuano combinazioni di accoppiamenti tra differenti
ceppi di donatori maschi con femmine trattate con IDO-inibitore.
Vengono anche effettuati trapianti di pelle provenienti dagli
stessi ceppi dei donatori. I risultati mostrano che alcuni trapianti
subiscono il rigetto più velocemente di altri, sempre
in condizioni di inibizione dellIDO materno. La velocità
di rigetto dimostra lesistenza di una correlazione tra
il grado di incompatibilità tissutale materno-fetale
e laumentato rischio di gravidanze fallimentari.
I feti ottenuti dallaccoppiamento tra femmine trattate
con IDO-inibitore e maschi i cui tessuti sono rigettati più
lentamente, hanno un set di alloantigeni che non fornisce sufficienti
stimoli per provocare la risposta dei linfociti T materni. In
altre parole i tessuti fetali sono meno immunogenici dei tessuti
della pelle. Alcuni esperimenti con femmine di topi transgenici
che non hanno cellule T o B, dimostrano che le cellule B non
sono richieste per lattivazione del complemento o per
il rigetto fetale.
I ricercatori sono giunti pertanto allindividuazione di
tre percorsi che possono portare allattivazione del complemento:
la via classica, che richiede anticorpi; la via alternativa,
anticorpo-indipendente; ed una via che richiede la presenza
di cellule T. Il modello suggerito attribuisce un ruolo alle
cellule che esprimono lIDO: sopprimere limmunità
delle cellule T materne, per evitare che vengano innescati processi
infiammatori come lattivazione e la deposizione del complemento,
dannoso per il feto in sviluppo.
© Alessandro Mura
NOTE:
1
Allogenico: che appartiene ad un gruppo genetico diverso. (contr.:
Singenico: appartenente allo stesso gruppo genetico). back
2
Complemento: insieme di proteine sieriche che interagiscono
sulle cellule attaccate da anticorpi per provocarne la lisi.
Quando il complesso antigene-anticorpo segnala che linvasore
deve essere distrutto, parte lattivazione sequenziale
di una dozzina di proteine sanguigne le quali producono danni
irreparabili alla membrana della cellula estranea. La distruzione
è poi completata dai macrofagi e dalle altre cellule-spazzino.
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