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Direttore scientifico: Prof. Nicola Peluffo | Direttore editoriale: Dott. Quirino Zangrilli 
Scienza e psicoanalisi
 EDITORIALE
Gli editoriali del Prof. Nicola Peluffo
Articolo di Nicola Peluffo  
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La Micropsicoanalisi continua.
La focale e la micropsicoterapia:
nozioni pratiche. *
( Parte Seconda)

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25 gennaio 2003

Intervento successivo al trattamento preliminare

1°) La frequenza della seduta

Terminato il trattamento preliminare si pone per il micropsicoanalista il compito di accordarsi con il cliente circa l’intervento successivo.
I punti base di questa materia sono esposti nel Dizionario di psicoanalisi e micropsicoanalisi (S. Fanti, P. Codoni, D. Lysek.,op. cit.), pertanto rinvio gli interessati a tale lettura. Aggiungo solamente alcune nozioni pratiche.
Il trattamento micropsicoanalitico dovrebbe essere giornaliero, senza neppure il riposo della domenica, del sabato o del venerdì a seconda del paese in cui si vive, questo per evitare, come dicevano Freud, e Th. Reik,“le incrostazioni del lunedì” . Tuttavia ciò e possibile solo in situazioni particolari e sovente di breve durata. E’ necessario dire che più sedute settimanali si fanno e meglio è, e che scendere sotto le quattro sedute settimanali provoca delle notevoli complicazioni nel lavoro. Bisogna anche dire che sovente, per le ragioni pseudo -obbiettive della vita sociale (tempo, denaro, accogliere un numero maggiore di richiedenti, etc.) se ne fanno tre, e le difficoltà aumentano ancora. Sotto le tre sedute settimanali non è più micropsicoanalisi bensì un trattamento psicoterapeutico.

2°) La durata di una micropsicoanalisi

Per quanto riguarda la durata di una micropsicoanalisi (come per la psicoanalisi del resto) non si possono stabilire regole.
S. Fanti, un po’ scherzosamente ma non troppo (era specializzato in ginecologia) diceva “nove mesi”. Nove mesi sono 270 giorni, cioè più o meno 800 ore di seduta, con un orario di sette giorni alla settimana. Considerando un orario meno intenso e qualche giorno di vacanza possiamo arrivare a circa 700 ore in nove mesi. 9
In tale lasso di tempo si fa un’ottima micropsicoanalisi, che ristabilisce sicuramente l’equlibrio psicobiologico dell’analizzato eliminando i principali conflitti che lo tormentano e quindi i sintomi nevrotici e le coazioni a ripetere più fastidiose. Non crediamo però, che tutto possa essere liquidato in nove mesi. Ci vorranno anni di elaborazione per arrivare alle prese di coscienza necessarie a neutralizzare totalmente le coazioni a ripetere e quindi ad eliminare la necessità di far della vita un “gioco del rocchetto” costellato di conflitti e di complessi. Senza contare che la vera ristrutturazione della nevrosi nelle proiezioni transferali e quindi la vera possibilità di “toccare con mano” il rimosso mentre si riforma è veramente ben tarda. E’ solo prendendo coscienza di tale riformazione del rimosso nel transfert che qualsiasi desiderio rimosso è riconosciuto e soddisfatto, vale a dire, energeticamente neutralizzato.
Ciò permette di riconoscere le proprie proiezioni in quanto tali mentre si formano e di prendere atto di ciò che si è. La maledizione dell’ambivalenza sparisce. L’interpretazione onnipotente, edipica e paranoide, dell’esistenza cessa ed è solo allora che si inizia a prendere coscienza del proprio vuoto costitutivo e creatore.
Come sappiamo la micropsicoanalisi può essere continua oppure svolta per periodi. Per la micropsicoanalisi continua vale il discorso che ho fatto nelle righe antecedenti; in riguardo a quella per periodi posso dire quanto segue.

La micropsicoanalisi per periodi

La proposta che si può fare al nuovo cliente che dopo il periodo preliminare
decida di continuare (e l’analista sia d’accordo) ma che per ragioni di tempo e di denaro non possa fare una micropsicoanalisi continua,è quella seguente.
Un lavoro quadrisettimanale (almeno), di sedute di tre ore, con una durata di tre mesi (dalle 120 alle 150 ore). La frase che possiamo usare per comunicare l’informazione potrebbe essere :
“Facciamo un intervento di tre mesi che ripeteremo ad intervalli regolari sino alla fine dell’analisi; se lei sarà d’accordo. Potremo , con intervalli di tre mesi, fare quattro periodi pur essi di tre mesi”.
Se la proposta viene accettata si può fare un buon piano di lavoro, in caso contrario iniziano le difficoltà .

Il passaggio dalla micropsicoanalisi focale alla psicoterapia micropsicoanalitica.

Studiamo assieme cosa si può fare per superare le difficoltà . In base a ciò che ho appena scritto è palese che il primo dato da chiarire è l’intenzione presente e futura. Cioè sarebbe utile sapere prima se i richiedenti, dopo il periodo iniziale, hanno intenzione di non continuare più l’analisi, avendo “ricuperato la salute”, oppure se quando sarà loro possibile la continueranno pur con intervalli più lunghi di quelli indicati (3-4 mesi). Se l’intervallo non supera i 6 mesi le cose non cambiano molto, se così non è, ci saranno tre casi da considerare.
Se supera i 6 mesi ed arriva ad un anno o più, ed ecco il primo caso, il lavoro della ripresa sarà più pesante perchè le “incrostazioni” difensive necessarie per risolvere i problemi di addattamento ad un ambiente non analizzato, avranno raggiunto uno spessore superiore a quello fisiologico, saranno cioè diventate un nuovo problema da risolvere. A volte irrisolvibile se l’analizzato ha vincolato nel quotidiano i derivati dei nuclei di fissazione rimossi raggiunti, cioè riportati alla luce durante lo scavo che attiva la regressione analitica.
Abbiamo poi il secondo caso in cui il richiedente accetta la proposta dei tre mesi che considera una terapia e dichiara che continuerà l’analisi quando avrà la possibilità di farlo; tuttavia non si impegnerà in progetti futuri ;
Ed infine, terzo caso,il richiedente dichiara che desidera essere liberato da alcuni sintomi fastidiosi che lo tormentano ma che non ha né il desiderio né la possibilità di continuare non appena raggiunto lo scopo che si prefigge, cioè guarire.
Nel primo caso sarà ancora possibile considerare il lavoro in una prospettiva genuinamente micropsicoanalitica. Nel secondo un poco meno e nel terzo di micropsicoanalisi ci sarà solamente la qualità d’ascolto del micropsicoanalista e qualche intervento attraverso i supporti tecnici della micropsicoanalisi.
Nel secondo si parlerà di micropsicoanalisi focale; nel terzo di psicoterapia micropsicoanalitica.

La micropsicoanalisi focale

S. Fanti, considera la focale come il primo tempo di una micropsicoanalisi per periodi. Può anche esserlo ma i presupposti sono un po’ troppo finalizzati per rientrare nel concetto di analisi come la si intende oggi, ma piuttosto nella dimensione medica dell’epoca classica della psicoanalisi, cioè fin verso gli anni ‘50. Bisogna pur dire che nella stragrande maggioranza dei casi chi fa una richiesta di intervento la motiva con il desiderio di eliminare le angoscie, le sofferenze, le tensioni, le malattie somatiche “sine materia”, cioè i sintomi nevrotici : vuole guarire. Ed è proprio questa la definizione di micropsicoanalisi focale.
Il Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi (S. Fanti et al., op. cit. def. 11) recita: micropsicoanalisi personale frammentaria di 70 - 150 ore, motivata da un sintomo psichico o somatico fastidoso, doloroso.
E’ una definizione molto ampia, in cui rientra più o meno tutto.
Il Dizionario (op. cit.) indica come casi elettivi le sintomatologie psicosoma tiche, crisi d’asma, attacchi d’ulcera, e io aggiungerei, certe malattie delle pelle, e tanti altri disturbi che sono l’espressione somatica dell’angoscia. Vengono poi indicati i casi di gravi perdite esistenziali, reazioni a lutti, delusioni d’amore, reazioni a problemi familiari, di coppia, crisi adolescenziali, senili etc.
Effettivamente da un punto di vista terapeutico si ottengono degli ottimi risultati, anche se non si può dire che si tratti di una psicoterapia perchè l’analista: non interpreta il sintomo ,non ipnotizza, non suggestiona. Si limita a fare un lavoro selettivo, utilizzando anche alcuni supporti tecnici (fotografie, diarii, piantine delle case). Dal punto di vista metodologico approfondisce solo l’analisi dell’Edipo. La focale non è quindi addatta alle nevrosi gravi, ai casi border-line, ed agli psicotici. Può essere utilizzata, sovente con pieno successo, con i tossicodipendenti non psicotici.

La psicoterapia micropsicoanalitica

Devo per prima cosa ricordare che cos’è la psicoanalisi e come si svolge per poterla poi distinguere dalla psicoterapia; anche perché oramai, a livello di prassi, la confusione è indescrivibile.
La def. 1 del Dizionario... (op. cit. pag. 11) alla voce psicoanalisi recita :
studio dello psichismo, in particolare dell’inconscio, che si svolge durante sedute rigorosamente stabilite.
Quindi la situazione tipo della psicoanalisi è la seduta che nel Dizionario (op. cit. def. 2) viene così definita: sul divano, l’analizzato si lascia andare a libere associazioni, che in poltrona lo psicoanalista segue con attenzione fluttuante e benevola neutralità.
La micropsicoanalisi è definita diversamente (op. cit. pag. 13 def. 3), e cioè:
Studio dello psichismo, che va al di la dell’inconscio, e che permette di percepire endopsichicamente l’uomo fino al suo contesto energetico e al suo vuoto costitutivo.
Quindi qualsiasi intervento che avvenga in uno spazio terapeutico in cui il binomio paziente-terapeuta esista contemporaneamente, per essere definito micropsicoanalitico deve tenere conto dell’inconscio, del contesto energetico dell’essere umano e del suo vuoto costitutivo. Se si passa dalla base psicoanalitica a quella micropsicoanalitica il terapeuta dovrà conoscere a fondo, per esperienza diretta e non solo culturale, ciò che compete il vuoto e la sua organizzazione energetica sino ai tentativi, le teorie pulsionali freudiana e fantiana, l’articolazione energetico pulsionale dell’essere umano, il sonno-sogno, l’aggressività, la sessualità e tutto il resto.
I concetti fondamentali da tener presenti prima di accingersi ad una micropsicoterapia, come penso si possa definire una psicoterapia micropsicoanalitica, sono quelli di: eredità ideica, plasticità e creatività dell’Ide individuale (ricchezza e persistenza dei tentativi); strutturazione e plasticità dello schermo iconico, funzionamento dell’articolazione energetico-pulsionale (es-terreno), qualità dell’io e funzionamento delle censure nella gestione del segreto individuale che mantiene il conflitto; qualità, regole, modalità di esercizio, e velocità di svolgimento dell’intero ciclo ripetitivo nel gioco del rocchetto individuale.
Anche la micropsicoterapia, come accade per la micropsicoanalisi, deve essere preceduta da periodo di trattamento preliminare in cui il terapeuta si fa un quadro delle possibilità di successo del paziente. Il periodo preliminare dovrebbe avere la stessa durata e svolgersi allo stesso modo di quello micropsicoanalitico. Gli incontri preliminari possono essere di due ore, devono essere ravvicinati, e come in ogni altra psicoterapia, a meno che il paziente non lo richieda, si svolgono in una posizione diversa da quella psicoanalitica (divano, poltrona) . Due comode poltrone, con la possibilità di allungare le gambe su un poggia-piedi, saranno disposte affiancate con un’angolatura che permetta una visione sfalsata l’uno dell’altro. La posizione vis a vis delle psicoterapie consuete (45-50 min.) non è addatta a sedute lunghe, anche se durante esse il terapeuta non rispetterà totalmente la regola dell’astinenza e potrà (con prudenza) affrontare brani di colloquio, fare domande, e chiedere le informazioni che ritiene necessarie.
Terminato il periodo preliminare si dovrà stabilire il periodo di lavoro che per ovvi motivi non avrà la stessa frequenza di incontri di quello micropsicoanalitico. Si possono proporre:
a) tre incontri settimanali di due ore consecutive; b) due incontri settimanali di tre ore consecutive ; c) due incontri settimanali di due ore consecutive; d)un incontro settimanale di tre ore consecutive (in attesa di aumentare la frequenza degli incontri).
Altre soluzioni non ve ne sono.
Gli interventi c), d) verranno definiti micropsicoterapia di sostegno.
In questi casi il criterio di fondo é quello di accettare l’eventuale richiesta di micropsicoterapia di sostegno quando l’esperienza dell’analista lo rassicuri sul fatto che quel soggetto manterrà almeno la frequenza settimanale stabilita e che il caso non sia disperato (p.e. psicosi o tossicodipendenza in soggetto psicotico o prepsicotico).
La gestione di una micropsicoterapia è più difficile di quella di una micropsicoanalisi, le responsabilità almeno uguali, la soddisfazione inferiore e le previsioni di successo aleatorie, quindi a scapito della propria immagine professionale. Non se ne dovrebbero mai fare, ma a volte è l’unico modo di ricuperare alle correnti creative generali un utile elemento per ragioni contingenti in difficoltà, sia esso il paziente privo di risorse economiche oppure il terapeuta con la vocazione alla solidarietà sociale, e quindi con scarso lavoro .

Il metodo di lavoro

Nella micropsicoterapia, come ho già detto, la conoscenza delle potenzialità filogenetiche del terreno familiare rispetto ai tentativi espressi dal soggetto durante la sua ontogenesi fino al momento della richiesta di intervento, è fondamentale. Il detto popolare “Se volete sapere come sarà la figlia di venti anni durante l’età matura, guardate com’è la madre”, come tante altre massime della psicologia popolare è applicabile al nostro caso.
Lo studio del passato familiare è fondamentale per cui un’utile attività collaterale che il paziente può fare al di fuori della seduta è un’approfondita ricerca storica e genealogica sulla propria famiglia dalla quale ricaverà gli elementi delle coazioni a ripetere familiari che serviranno a lui come punto di riferimento ed al terapeuta come criterio previsionale sia pur relativo.10 11
E’ difficile che un tossicodipendente, non psicotico, che proviene da una famiglia di amanti del rischio in periodi in cui non si poteva essere tossicodipendenti, cioè che possegga nel suo corredo psicobiologico familiare antenati che dopo avventure rischiose sono riusciti ad arrivare a tarda età avendo acquisito delle favorevoli situazioni esistenziali, possa morire di overdose, o non addattarsi mai alla vita, almeno in parte. Ma se nella famiglia vi saranno molti morti di cancro o di morte violenta (anche se eroica), sarà opportuno prepararsi al peggio. La coazione a ripetere non perdona e non sarà certo una psicoterapia a cambiare le carte nel mazzo.
Un’altro criterio che ci permette di fare previsioni è lo stato della variabile epistemofilica; cioè della variabile che regola la dinamica delle curiosità dell’esistenza e dei tentativi messi in atto per procurarci delle risposte soddisfacenti. Il tossicodipendente che inserisce le droghe più svariate nei suoi tentativi di provare nuove sensazioni, e che nello stesso tempo, viaggia, e cerca di conoscere, mette in atto tentativi artistici o comunque attività creative qualsiasi, avrà più possibilità di successo del bruto che si droga “per godere”, cioè per eliminare una tensione angosciosa generalizzata che non riesce a vincolare, neppure in parte, in qualche sublimazione.
Un criterio dirimente potrebbe essere di non rischiare micropsicoterapie (e neanche micropsicoanalisi, forse) con persone la cui anima sia definitivamente “morta”.
Certo parlare di anima morta, in un’epoca in cui negli ambienti “scientifici” si evita persino di pronunciare la parola spirito può essere rischioso per la propria reputazione ma in definitiva il termine latino per psiche è anima. Infatti si parla di psicologia scientifica per far intendere che essa con l’anima non c’entra o che comunque si occupa scientificamente dell’anima oppure che si occupa di un “anima” scientifica e non “poverina” dell’altra che è quella popolare. Per me, quell’anima li, che è poi quella di cui ci occupiamo in analisi, è un nucleo coerente di potenzialità di tentativi di tutti i tipi che produce qualsiasi cosa, dalla religione alla fisica applicata. Quando il suo contenuto energetico è esaurito, cioè l’Ide si è impoverito sino a poter mantenere coerenti solo i processi biologici vitali e non sostiene più la spinta epistemofilica, le possibilità di intervento psicologico di qualsiasi tipo sono nulle.
In altre parole si può rischiare un intervento psicoterapeutico verso qualcuo che sia pur in maniera incoordinata e disordinata produca tentativi, ma non in coloro che sono bloccati in una condizione di stato patologico in cui il principio di inerzia non può essere modificato in alcun modo.
Il terapeuta può porsi come catalizzatore dei tentativi del paziente e condurli, solo se tali tentativi esistono. Se, come diceva Ch. Baudouin, si può fare il conduttore di anime , ciò è possibile solo se, di anima, ne esiste almeno qualche brandello. E’ un po’ come il restauro di un affresco: si può fare se ne esiste almento una traccia su cui lavorare, o forse una metafora migliore è quella del giardiniere che vuol ricostituire un antico giardino. Un giardino invaso da sovrastrutture vegetali che lo deformano in modo tale da renderlo estremamente inospitale e doloroso da viverci.
La persona va alla ricerca di un Eden abbandonato e perduto, quando essa non si è mai mossa e non riconosce più l’oggetto perchè si è deformato. La parola magica che può ricondurlo all’antica bellezza è racchiusa nel segreto che il paziente custodisce in se. Ed è la custodia di tale segreto che blocca i tentativi, li impoverisce nel conflitto, e li fissa nei sintomi siano essi esistenziali (delusioni amorose, lutti, etc.), psichici (fobie, ossessioni), oppure somatici (i frutti delle elaborazioni di tipo isteroide, dall’ulcera alle paresi, dalle emicranie alle cardiopatie, dalle allergie alle malattie autoimmuni e al cancro).

La gestione del conflitto

Il primo compito del micropsicoterapeuta è quello di far riconoscere al paziente il fatto che la sua angoscia è la risultante dell’ingorgo energetico-pulsionale dovuto ad un conflitto. Il paziente dovrebbe potersi liberare di tale conflitto riconoscendolo o, al meno, impare a gestirlo.
Per questo motivo, il terapeuta, passerà un pò di tempo a far si che il paziente diventi totalmente conscio rispetto ai poli, anche se molteplici e sovra determinati, del suo conflitto, fino a rendersi conto che tali conflitti sono riducibili a pochi elementi. Dovremmo però ricordarci delle parole di Stekel :
“Il paziente difende la sua sofferenza, si batte per essa, elude le possibilità di guarigione. Perché? Poiché si sente al sicuro e come nascosto all’interno del suo mondo fittizio. Noi, al contrario, vogliamo esporre la sua fragile barchetta a sommovimenti tempestosi; quindi faremo insorgere delle emozioni che, a causa della sua malattia, il paziente cerca precisamente di evitare.”
Il terapeuta lavorerà quindi con prudenza per fare in modo che il paziente possa andare oltre i contenuti manifesti dei suoi conflitti e abbordarne gli aspetti latenti, cioé le parti segrete.
Egli, non si rivolgerà agli aspetti simbolici dei conflitti, quindi ai veri contenuti latenti, bensì al livelli preconsci in cui sono racchiusi quei contenuti spiacevoli che il paziente non vuole ammettere. A tale scopo il terapeuta, una volta che sia riuscito a rendersi conto di quali siano questi contenuti segreti, cercherà di fara lavorare associativamente il paziente su quei momenti della sua vita nei quali quegli aspetti sono stati più evidenti. Si tratta quindi di lavorare piuttosto che sui contenuti simbolici, sui contenuti ripetitivi, vale a dire sulle coazioni, così come si sono manifestate dal momento in cui il paziente poteva averne coscenza, per esempio, dall’adolescenza ad oggi, esaminando quei momenti della vita in cui tali conflitti sono stati più evidenti nelle loro manifestazioni esteriori . Per esempio i battesimi di fratelli, sorelle, cugini ; riti di passaggio come prima comunione et similia; distacchi dalla famiglia, permanenze in colonie estive, collegi, servizio militare; lutti riguardanti i genitori, nonni, fratelli, amici, animali domestici, etc.
Una volta che la parte segreta del conflitto espressa nella relazione sia venuta alla luce, si provvederà a far riconoscere al paziente l’assurdità delle situazioni corrispondenti all’altro polo. Si partirà da un elemento noto e ripetuto più volte, per far poi comprendere la struttura generale della ripetizione e del conflittto. Ad esempio se l’elemento esistenziale attuale che tormenta la persona è un matrimonio senza amore accettato per interessi economici che nella realtà sono poi stati delusi, si cercheranno nelle rievocazioni del paziente gli elementi di quel tema ripetitivo, per poi indicargli che la ricerca della delusione è uno degli elementi conduttori della sua vita.
Si opererà poi in modo da fargli riconoscere l’altro polo del conflitto, per esempio la ricerca di obbiettivi molto alti e difficili, per i quali avrebbe anche le potenzialità di riuscita ma che alla fine evita perché la necessità inconscia di essere deluso è troppo forte. Le volte che si deciderà ad affrontarli avrà, per esempio, aspettato troppo, e quindi o fallirà l’occasione o, non cogliendola in pieno, ne sarà deluso.
L’analista nelle momentanee vesti di terapeuta, cercherà di far si che il paziente possa avvicinarsi alle fonti del trauma che ha fatto insorgere la necessità della ricerca dei vissuti di delusione perenne, per fargli constatare che ciò che egli cerca di mantenere con il suo comportamento è la svalutazione dell’oggetto (edipico) amato per attenuare l’angoscia che gli da la vicinanza sua e poi dei sostituti.
In una situazione psicoterapeutica è ben difficile andare alla ricerca dell’insieme traumatico originario che ha messo in moto la coazione a ripetere, sarà più semplice (si fa per dire) ricercarne i derivati puberali ed adolescenziali e metterli in relazione a quelli attuali.
Anche W. Stekel suggerisce nel suo trattato sulla tecnica della psicoterapia analitica di non prolungare per troppi anni il lavoro analitico, cioè il tempo che secondo lui ci vorrebbe per arrivare al trauma originario. Secondo lui, é con le analisi (è così che le indica) più corte, (due o tre mesi), che si ottengono i migliori risultati.
“ E’ da molto tempo che io cerco di attirare l’attenzione su questo punto: i migliori risultati si ottengono con le analisi più corte (da due a tre mesi). Certi miei pazienti che venivano dall’estero e che non erano in grado di prolungare il loro soggiorno a Vienna oltre le sei, otto settimane, si sono visti liberare dai loro mali e resi alla salute (tanto nel senso individuale che nel senso sociale del termine). “
In sintesi, scrive Stekel “l’esperienza mi ha dimostrato che non si può progredire solo grazie alle libere associazioni del paziente “.
Egli sostiene che non bisogna lasciare libero il paziente di entrare in false piste, cioé in serie associative diverse da quelle che lo porterebbero al suo segreto personale.
Applicando la sua tecnica cerca di evitare il fenomeno dell’associazione divergente che tuttavia, pur espimendo una resistenza, a volte favorisce lo sgfruttamento della sovradeterminazione.
Ciò che egli consiglia é: attraverso un lavoro anamnestico approfondito e un lavoro misto di libere associazioni e domande, arrivare a comprendere i conflitti segreti del paziente.
Questi conflitti segreti, come abbiamo già visto, sono solo in parte inconsci, in parte sono consci e repressi e in parte preconsci e formano il nucleo della verità patologica contro la quale il paziente lotta. In questo contesto, le condotte patologiche non sono altro che tentativi che servono a mantenere l’illusione di un segreto, che tale non é.
Stekel cerca di acquisire la fiducia del paziente, ottenere più informazioni che può, per arrivare ai nuclei conflittuali attuali, adolescenziali, puberali, in modo da poterli rivelare al paziente e ottenere delle rievocazioni catartiche.
Quello che tenta di evitare é una regressione importante che spinga troppo il paziente a rivivere l’infanzia, cosa che impedirebbe al terapeuta di interrompere la terapia. Questo principio vale anche per la micropsicoanalisi, infatti l’analisi interrotta in quel momento lascerebbe il paziente a vivere i propri comportamenti infantili nell’attuale, senza poterli analizzare.
Anche per quanto riguarda la tecnica micropsicoanalitica, o micropsicoterapeutica dei periodi di lavoro, occorre tenere presente che la fine di un periodo non deve coincidere con un momento di massima regressione, bensì con un momento in cui il materiale regressivo sia stato analizzato. In caso contrario, é meglio prolungare il periodo fino a quando non si manifesti un distacco dal materiale regressivo.

Il segreto

Ho nominato più volte questa parola ne ho anche delineato alcuni aspetti vorrei ora soffermarmici un poco sia in un contesto micropsicoanalitico che micropsicoterapeutico.
Ch. Baudouin una volta, alla fine di una seduta, mostrandomi un biglietto da venti franchi svizzeri compreso tra quelli che gli avevo dato per pagare il suo onorario mi disse :“Sa perché Pestalozzi ha questo viso così sofferente?”, gli risposti di no, girò la banconota e mi mostrò il fiore spinoso di cardo che essa aveva sul retro e disse “ perchè ha queste spine che gli pungono il di dietro”. Mi aveva messo sulla buona strada per capire un mio segreto.
Anche Fanti, sia pur in un contesto diverso parlava di segreti. Mi diceva “Prima di andare a tavola ci sono sempre delle persone che si avvicinano a me con fare circospetto, e mi sussurrano cose in gran segreto, e mi fanno promettere di non dire niente a nessuno : dicono tutti le stesse cose!”
La stessa esperienza penso la possano fare tutte le persone che in qualche contesto sono un punto di riferimento per altri, naturalmente l’ho fatta anch’io e con il tempo mi sono reso conto che non è solo un abitudine sociale di ruolo (la persona d’esperienza che fa da confidente) ma è un derivato del meccanismo dello spostamento. Negli esseri umani c’è un impressione profonda dell’esistenza di un segreto vergognoso da nascondere ed un invincibile desiderio di rivelarlo, dividerlo con qualcuno
Il segreto può essere qualsiasi elemento rappresentazionale, anche banale; ha un suo contenuto manifesto che sta alla base delle sintomatologie comportamentali del nevrotico che ne è portatore. Ma non è tanto il contenuto manifesto cioè il trauma in sé, che è patogeno, quanto il fatto che il contenuto manifesto vincola, come il ricordo di copertura, una costellazione di rimossi che alimentano il vissuto di qualche cosa da non rivelare (neanche a se stessi) .
Sovente, il segreto non è ll fatto in sé, ma è la perdita dei nessi tra esso, in quanto segreto, ed i sintomi nevrotici che ne riproducono in maniera modificata, come per un sogno, sia la rivelazione desiderata e repressa che la parziale soddisfazione mascherata. Il pricipale desiderio rimosso è proprio quello di rivelarlo. La rivelazione è una vendetta che soddisfa la spinta aggressivo-distruttiva verso l’oggetto di cui (o per cui) si conserva il segreto ed è proprio questa aggressività che si trasforma in angoscia che a sua volta si vincola (e si scarica parzialmente) in sintomi.
Un esempio inequivocabile di quanto scrivo si può rintracciare nel caso di Alberto, che W. Stekel illustra ampiamente nel suo articolo “ La psicologia delle malattie ossessive “ che ho tradotto e pubblicato nel Bollettino dell’Istituto italiano di micropsicoanalisi (n° 26). Non è necessario che io riassuma il caso anche perché, per capire il seguito di questo lavoro è indispensabile conoscere per intero l’intervento di Stekel.

Commento

Nelle frasi precedenti ho detto che in tutti gli esseri umani esiste una traccia profonda di un segreto vergognoso da non rivelare e che quella è la matrice che viene vincolata dai segreti particolari dell’individuo. I segreti particolari hanno una forma riconoscibile che prende il posto del Segreto generale, vale a dire, dell’Immagine del segreto, ciò che non si deve rivelare, come i segreti iniziatici delle società esoteriche o dei riti tribali.
Ciò che é conscio, é l’angoscia che si prova alla tentazione di rivelare qualsiasi cosa, anche conscia, che si sente segreta, cioé che entra nell’intimità del legame con un’entità soggettivamente divina, un’ entità totemica che è più cogente dell’ ideale dell’io-super-io individuali, sia pur spostata in un rapporto di esseri umani.
Affinché l’intervento micropsicoterapeutico (e anche micropsicoanalitico) riesca l’analista-terapeuta deve poter essere in grado di diventare il luogo dello spostamento di quei vissuti, cioè del transfert:
“Il transfert diventa evidente durante il trattamento quando l’analizzato trasferisce sull’analista le reazioni affettive specifiche del suo caso; in altre parole, il malato rivive durante la cura le situazioni affettive della propria infanzia alle quali è rimasto fissato. Le riproduce con tutto ciò che le caratterizza come conflitto familiare; tale conflitto è trasferito sull’analista. Il dialogo che intercorre tra le differenti istanze della personalità in conflitto tra di loro, nei nevrotici, si trova così esteriorizzato allo stesso modo del conflitto da cui ha avuto origine e le cui dispute continuano ora tra il malato e l’analista. Quest’ultimo cerca di armonizzare la personalità discordante del nevrotico corregendo, con la sua influenza, un automatismo inconscio che agisce su tutta la vita affettiva ...”.
Queste parole sono tratte dal testo di R. Laforgue e R. Allendy, “La psychanalyse et les nevroses“ (Payot, Paris 1931) e sono valide anche in un contesto psicoterapeutico in cui si tenga conto dell’esistenza dell’inconscio.
I due psicoanalisti citati completano il loro punto di vista con le seguenti considerazioni :
“la psicoanalisi produce innanzi tutto un allenamento molto utile, quello di pensare qualsiasi cosa senza l’ostacolo delle considerazioni inibitorie e senza la rimozione degli elementi sgradevoli. Questi elementi rimossi devono essere raggiunti e portati in giudizio; tenendo conto indistintamente di tutti gli elementi di una situazione, il soggetto impara a farsi un’idea più giusta delle cose, a capire il proprio caso, a delimitare i problemi posti e a considerare le soluzioni possibili. Solo a quel punto si potrebbe rischiare un intervento abile di suggestione per portare il soggetto a scegliere una certa soluzione, per esempio cambiare mestiere o ambiente“ (op. cit., pag. 174).
Per i due autori, una buona parte della drammatizzazione della sintomatologia è spettacolo e il gruppo in cui vive il malato è platea; per cui consigliano di compiere l’intervento psicoterapeutico al di fuori dell’ambiente abituale del richiedente la terapia. Questa procedura sembra anche a me molto utile sia che si tratti di analisi che di terapia .
I nostri due autori scrivono :
“... L’analista non deve mai dimenticare quanto la facciata nevrotica può essere destinata dal paziente al pubblico; può essere una difesa del soggetto, una punizione che infligge ad altri o a se stesso; può essere al servizio di un ruolo che non potrebbe essere recitato in altro modo; la messa in scena diventa superflua quando l’attore non ha spettatori; é per questo che l’isolamento può sovente avere una buona influenza... “
D’altra parte è pur vero che l’intonazione affettiva del carattere di una persona si può studiare bene attraverso la qualità e la forma della drammatizzazione presente nei suoi sogni. E si può quindi cercare di intervenire efficacemente senza isolare il paziente o mutargli sede.
Facio un esempio.
Una persona in analisi mi racconta un lungo ed elaborato sogno in cui il sognatore senza scarpe e con le gambe nude si trova a camminare in luoghi sporchi .
E’ vicino ad un personaggio materno al quale spiega che comunque anche se avesse avuto le calze e le scarpe, le pulci presenti sul pavimento della camera lo avrebbero morsicato lo stesso.
Ha la bocca piena di un vomito scaglioso che cerca di pulire nascondendosi agli altri e che anche sua madre guarda con un po’ di schifo.
La persona si sveglia con un senso di gonfiore scaglioso alla lingua ed è costretta a controllarla allo specchio per verificare percettivamente ciò che nozionalmente sa già ma che sensorialmente non riconosce perchè è ancora sotto l’influsso onirico.
Il resto notturno è l’influsso onirico, che fa parte dei meccanismi di suggestione. Il sogno è costruito per induzione associativa e cerca di risolvere certi problemi attuali, oltre che cercare di realizzare i desideri inconsci. Per esempio la drammatizzazione del sogno di questa persona è spiegata da tre elementi due dei quali riguardano stimoli organici ed il terzo un fatto che dovrebbe succedere il giorno dopo.
Ecco in successione i tre elementi:
a) ieri sera mangiando mi sono morsicato la lingua che mi è gonfiata in un punto; b) ho mangiato qualche cosa che mi ha intossicato, avevo un fastidioso prurito; c) ieri mi ha telefonato un mio amico per invitarmi a cena . Gli voglio bene, ma non vado volentieri a casa sua perchè in casa sua c’è sporco.
Sono elementi che riguardano la bocca, il metabolismo della digestione, e il cibo in generale.
E’ chiaro che portano verso la relazione con la madre. Nella drammatizzazione del sogno, c’è quindi il personaggio materno (chi ti da da mangiare), la morsicatura della lingua e il prurito, cioè l’intossicazione, lo sporco ed il vomito. Il bambino, in natura, viene svezzato quando comincia a mordere, e ciò che durante le associazioni l’analizzato rievocava erano le faccie di schifo che faceva la madre verso il proprio stesso seno quando cercava di convincerlo a mangiare cibi diversi; quei cibi che fino al giorno prima erano “cacca” da non mettere in bocca.
Evidentemente il rapporto con l’amico vincola un rivissuto appoggiato su una fissazione al limite tra lo stadio orale e quello anale e la produzione del sogno riesce a ristabilire il principio del piacere e permette al sognatore di dormire, cioé di mantenere una funzione che in caso contrario verrebbe turbata.
L’analisi, in seduta (di tre ore), di questo sogno permette la sua disattivazione energetica e la cena con l’amico si conclude felicemente. In altre occasioni simili, codesta persona, si era sentita male, aveva rifiutato una parte del cibo ed era stata costretta a punirsi, non con la morsicatura alla lingua, ma con incidenti più gravi che toccavano i fatti della sua vita quotidiana. Oppure aveva drammatizzato alcune intossicazioni che l’avevano portata al pronto soccorso. Naturalmente tale persona era costretta a rifiutare la maggior parte degli inviti, a pranzo o a cena, che le venivano rivolti, a meno che i rapporti con le persone che la invitavano fossero privi di implicazioni affettive di risonanza familiare ed in ambienti che le erano estranei. In altre parole la sintomatologia non si attivava (o quasi) se il pubblico era sconosciuto. Lo stesso fenomeno si osserva anche per certe persone che soffrono di ejaculatio precox o di scarsa erezione che spostano il sintomo quando cambiano ambiente e possono avere migliori rapporti sessuali. La variabile situazionale è fondamentale, anche se non è certo il cambiamento di situazione che basta ad eliminare una nevrosi.
L’induzione associativa psicobiologica ha risposte associative diverse a seconda della variabile che la filtra. Un’esempio formidabile è l’impotenza o la frigidità, o l’anorgasmia della prima notte di nozze (ed oltre) per persone che fino alla sera prima del matrimonio erano pronte a compiere un atto sessuale completo e soddisfacente non appena si incontravano.
Il matrimonio, per chi si sposa, conferisce lo stesso valore tabuico all’oggetto dell’atto di conscrazione dell’ostia da parte del sacerdote. Fino ad un attimo prima l’ostia è un pezzo di pane, tutti la possono mangiare, un attimo dopo è tabù e la può mangiare solo l’iniziato che ne sia degno. Lo stesso per la sposa (o lo sposo), una volta che l’iniziazione abbia avuto luogo, l’Immagine della famiglia edipica si frappone tra gli amanti diventati “parenti” e a volte la forza dell’interdetto incestuoso vince e la funzione è inibita. Il tabù del toccare prende il sopravvento. l’Immagine tramite il super-io suggerisce all’io che quelle nozze non devono essere consumate perchè un “tremendo segreto” avvolge (come il serpente) i novelli Adamo ed Eva.

L’utilizzazione dell’ energia del conflitto in micropsicoterapia.

Questa seconda parte è dedicata allo studio delle possibilità reali che si hanno al fine di poter fare un intervento micropsicoanalitico all’interno di una micropsicoterapia che per ovvie ragioni non può essere affrontata con una dovizia di mezzi simili a quelli che ci permette la micropsicoanalisi.
La qualità d’ascolto che fornisce un micropsicoanalista, anche durante un intervento semplificato è tale che permette nell’utente una qualità di communicazione espressiva corrispondente. In pratica la regola della sincerità si instaura più spontaneamente e favorisce prima o poi la caduta di quel micidiale meccanismo difensivo che divide la realtà in sezioni separate sia dal punto di vista della ragione che emotivo. Dal punto di vista gnoseologico è probabilmente lo stesso meccanismo che ha separato il pensiero mitologico e religioso dalla scienza (come la intendiamo oggi) passando per la filosofia. Tale meccanismo permette, per esempio, ad un giovane di rischiare la morte in autostrada, o per abuso di droghe, semplicemente perché la sezione “pericolo di morte” è energeticamente separata da quella “piacere di correre veloce” o di usare una certa sostanza. Il principio di piacere prende completamente il sopravvento su quello di realtà perchè il meccanismo di scissione rende l’esame di realtà impossibile.
Le varie agenzie, per usare il linguaggio di Minsky, si sono separate, non lavorano più in sinergia e qualsiasi cosa può accadere.12 13
Il segreto, per rimanere nell’esemplficazione biblico-mitologica (Adamo-Edipo), non è quello della cacciata dalla casa del padre, ché quello è pubblico, bensì la difesa contro le temute conseguenze che obbliga la coppia di fratello e sorella (Adamo -Eva) a lasciar uccidere Abele. Il sostituto del padre buono, deve sparire, non potrebbe essere odiato. Solo Caino, che ha le caratteristiche del padre invidioso e vendicativo dell’antico testamento può sopravvivere . Le ipotesi che si possono fare sono molte: Caino può essere il figlio di Lilith, la prima sposa di Adamo diventata poi dea della morte e assassina di neonati. A volte ho persino pensato che Abele fosse la sorella di Caino e che l’assassinio di Abele sia solo la trasformazione simbolica dell’incesto da cui nacquero i successivi occupanti della Terra. 14
Gli antropologi,cercano di spiegare tale argomento, parlando del passaggio dalla pastorizia all’agricoltura. Come si sa i contadini sono sempre stati nemici di pastori.
Il concetto dell’inizio incestuoso del genere umano è un errore persistente basato sul racconto biblico; il concetto di incesto non può essere insorto finché non si sia sviluppato quello di parentela, e come ho già detto per i bambini (e i primitivi) è strettamente collegato a quello di vicinanza (imprinting). Non vedo come la vicinanza contrasti sia per il bambino che per il primitivo con l’effusione sessuale (in senso lato) e ho l’impressione che il divieto del rapporto sessuale “con chi capita” (e di solito è il vicino) sia antecedente all’orrore del incesto. Il divieto dell’incesto forse, è stato affermato e rinforzato in continuazione, per eliminare la tendenza endogamica (affermatasi con il sedentarismo dei piccoli gruppi) e favorire l’esogamia ed ampliare il ventaglio dei tentativi: una ricerca epistemofilica.
Certamente la spiegazione di Freud, quella del padre primitivo padrone delle femmine dell’orda, all’epoca dei grandi cacciatori e raccoglitori, è la base della vicenda successiva ma dal punto di vista concettuale non credo si trattasse dell’orrore dell’incesto ma piuttosto di una formazione difensiva di evitamento per salvarsi la pelle, che poi si definisce e entrando nella rappresentazione di parola può situarsi nello schema ossessivo, ripetitivo e coatto. Una vicenda di “possesso distruzione” che finisce così come è descritto in Totem e Tabù ma che continua dopo come coazione, che rinforza l’esogamia e favorisce l’inserimento di nuove variabili nel processo di adattamento. Per cui, secondo me non si tratta solamente della creazione di una variabile denominata “incesto” ma anche di una modalità d’azione rivolta ad ampliare l’esplorazione.
L’incesto in se è difficilmente distinguibile dall’istinto sessuale. Se poi consideriamo la sessualità una attività e postuliamo la legge del “chi capita”, e quella della parentela basata sulla “prossimità” (chi è vicino) non vedo cosa possa esserci di diverso dal desiderio incestuoso nell’infanzia.

Il problema dell’adulto è la fissazione per fusione energetica (traumatica) alle fasi di sviluppo dell’infanzia filo-ontogenetica, un incidente che per certe variabili, induce una risposta ad uno stimolo attuale che ignora il momento attuale e va a ripescare per spostamento associativo una fonte interna che ha in sé anche la tecnica coatta della risposta.
Sarebbe più semplice spiegare il concetto con una striscia di fumetti e sarebbe anche divertente perchè purtroppo anche le nevrosi hanno, nel tragico, un contenuto paradossale, quindi comico. Come in quei film semplici in cui vi è il tipo che impersona il ruolo di quello che ogni volta si propone “di non cascarci più” e poi quando si trova nuovamente nella situazione, prima ancora di rendersene conto “ci è cascato” di nuovo.
Ecco uno dei compiti del terapeuta: fare il possibile perchè il “ripetente coatto” riesca almeno una volta a cambiare la risposta e a passare l’esame.

© Nicola Peluffo

Note:

9 Se si applica il metodo personale di Fanti che frequentava le persone in analisi molte ore al giorno socialmente (senza chiedere onorario, e affrontando anche le spese dei pranzi o cene che offriva) le ore di presenza dell’analista nell’area esistenziale dell’analizzato praticamente viene raddoppiata.
10 Montanari Laura, Mele sotto la neve. Ovvero: storia di un destino ereditato. ed. Greco e Greco, 1997, Milano.
11 Lesperance Chiara, La soria di Ida. ed Greco e Greco, 1999, Milano.
12 M. Minsky, La società della mente, Adelphi Milano, 1990.
13 N. Peluffo, Interazione e tracce, Bollettino dell'Istituto Italiano di Micropsicoanalisi , n° 21, Tirrenia- Stampatori, Torino 1997.
14 Questo racconto è una metafora che fa oramai parte della tradizione umana. La realtà la conosciamo; Eva fu africana e non fu certo una sola. L’Eterno (a meno che non si intenda per esso un extraterrestre) è la metafora antropomorfica di un concetto. La scoperta di un Uomo che può concepire il concetto di eterno contrapposto a quello di contingente, cioè l’astratto contrapposto al concreto. La percezione dell’hic et nunc nasce contemporaneamente a quella ideale di eterno. L’essere umano è il rappresentante dell’hic et nunc e l’Eterno è un concetto. E’ la presa di coscienza intuitiva del secondo principio della termodinamica. In termini micropsicoanalitici l’hic et nunc è l’organizzazione energetica del vuoto e l’Eterno è il vuoto.

* Un'estratto di questo lavoro è stato pubblicato nel n° 26 del Bollettino dell'Istituto Italiano di Micropsicoanalisi.

     
 

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