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Direttore scientifico: Prof. Nicola Peluffo | Direttore editoriale: Dott. Quirino Zangrilli 
Scienza e psicoanalisi
 EDITORIALE
Gli editoriali del Prof. Nicola Peluffo
Articolo di Nicola Peluffo  
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La Micropsicoanalisi continua.
La focale e la micropsicoterapia:
nozioni pratiche. *
( Parte prima)

Vai alla Parte seconda

25 gennaio 2003

I principali metodi di psicoterapia furono per secoli la suggestione e l’ipnosi.
A S. Freud sembrò ben presto evidente che la maggior parte dei suoi pazienti non si lasciassero ipnotizzare. Questa scoperta unita ai rapporti terapeutici che aveva con Berta Pappenheim e alla sperimentazione, sia con lei che con altri, della tecnica della libera associazione, lo portò alla scoperta fondamentale delle tecniche analitiche e terapeutiche della psiche cioè all’uso sistematico della libera associazione al posto dell’ipnosi e della suggestione.
Il paziente doveva limitarsi a lasciare affluire, senza né trattenere né criticare, ne reprimere, tutto ciò che gli passava per la mente. Questa parola, o frase o successione di frasi che vengono alla mente, quasi cadono nella mente (einfall) senza ostacoli o scelte, cioé allo stato immediato, spontaneo, grezzo, resta ancora oggi la fonte più feconda in materia di psicoanalisi, di micropsicoanalisi e anche di psicoterapia analitica. E’ in funzione di questo metodo che i sogni, diurni o notturni, sono interpretati e che la via principale verso i segreti dell’inconscio nel suo dupplice aspetto di inconscio propriamente detto e di preconscio, viene percorsa.
Le capacità di vincolamento dell’associazione e la sua richezza creativa sono contemporaneamente un test di normalità e di intelligenza.
W. Stekel, nel suo “Technik der analytischen psychoterapie" 1 scrive che era strettamente proibito al medico di proporre durante l’analisi temi di discussione o di fare delle domande.
Una delle formule che allora faceva legge era: “E’ il paziente che dirige”. Freud aveva la ferma convinzione che questo metodo fosse il solo mezzo d’accesso ai “complessi rimossi”. Più tardi, arricchirà la sua tecnica con la nozione di transfert, e di resistenza del paziente; resistenza che si trattava di sormontare.
Poco più tardi verranno scoperti il controtransfert e le controresistenze.
Come si diceva allora: era chiaro, in effetti, che la scoperta del segreto nascosto, rimosso nell’inconscio, doveva “mobilitare” tutti i demoni della resistenza interna.
Freud stabiliva dunque questo principio (valido anche oggi) : “ Prima di tutto attacchiamo la resistenza e l’analisi andrà avanti senza difficoltà”.
Stekel (op. cit.) si poneva un problema che noi abbiamo risolto ma che da un punto di vista storico e scientifico possiamo ancora studiare usando gli scritti di Freud e di altri classici.
“Sfortunatamente”, scriveva riferendosi a Freud,” non ha precisato come egli facesse ad attaccare la resistenza.” 2 Noi per fortuna possiamo rispondere a questa domanda 3 .
Lo scopo di questo breve scritto, tuttavia, non è quello di fare una rassegna storica delle relazioni tra psicoanalisi, micropsicoanalisi e psicoterapia.
Anche Ch. Baudouin (Nancy 1893-Ginevra 1963) pur essendo uno dei fondatori ed animatori della psicoanalisi francofona nel periodo che intercorre tra le due guerre mondiali, psicoanalista di chiara fama, e autore di opere importanti e di moltissimi articoli non era stato accolto nella Società psicoanalitica di Parigi, perchè, proveniendo dalla Scuola di Nancy, era stato uno specialista della suggestione e aveva scritto, su questo tema, alcune opere fondamentali. 4
Tornando alla micropsicoanalisi, certamente il “fuori seduta’ può dare addito a procedure di imitazione dell’analizzato rispetto ai comportamenti del micropsicoanalista durante certe fasi della regressione analitica, così come i bambini e gli adolescenti imitano i genitori e le figure di riferimento (maestri, professori, amici, campioni dello sport, cantanti, etc.), ma, a prescindere che tali imitazioni diventano identificazioni permanenti solo quando il terreno psicobiologico di base non ne produce la reazione di rigetto, l’applicazione della tecnica dell’analisi del materiale delle 24 ore permette di disfare sul nascere gli elementi suggestivi. 5
L’argomento è però troppo importante dal punto di vista storico e tecnico per non dedicare ad esso qualche parola.

La suggestione.

H. Bernheim (1840-1919) professore di clinica medica all’università di Nancy si interessa al problema della suggestione e dell’ipnotismo e espone le sue idee in un’ampia serie di opere tra cui quella che prendo in considerazione intitolata “De la suggestion” pubblicata a Parigi nel 1916 (ed. Albin Michel) ristampata da Retz nel 1975 (Retz-C.E.P.L.).
A pagina 26 dell’opera citata egli ci fornisce una definizione di suggestionabilità che penso valga la pena di riferire. Per semplicità la presento in una mia traduzione in italiano :
“La suggestionabilità, è l’attitudine del cervello a ricevere o evocare idee e la sua tendenza a realizzarle, a trasformarle in atti”.
Per Bernheim ogni percezione e sensazione esterna e interna trasferita al centro psichico (con questo termine egli indica la psiche) diventa un’idea e in quanto tale produce suggestione. Ogni fenomeno di coscienza è una suggestione. L’autosuggestione non è, come sovente si crede, una suggestione che si impone volontariamente a se stessi, ma è piuttosto qualcosa che è spontaneamente nato in se stessi al di fuori di ogni influenza esterna rilevante. “... La maggior parte delle congetture ipocondriache sono autosuggestioni che si innestano su sensazioni reali...”
La traduzione libera delle frasi che seguono ci indica come per Bernheim il confine tra suggestioni e associazioni sia labile, infatti egli scrive (op. cit., pg. 27): “Ogni cervello interpreta le impressioni alla propria maniera, perché la suggestione non è un semplice fatto passivo, una semplice immagine psichica deposta nel cervello... in ogni circostanza, il cervello psichico (la psiche n.d.s.) interviene attivamente, ognuno seguendo la sua individualità, per trasformare l’impressione in idea ed elaborare quest’ultima: ogni idea suggerisce altre idee e queste idee si trasformano esse stesse in sensazioni, emozioni, immagini diverse: questa associazione di idee, di sensazioni, di immagini sfocia in una sintesi suggestiva che ogni individualità realizza alla propria maniera.”
Come appare palese queste parole di Bernheim esprimono un pensiero in cui suggestioni e associazioni si intersecano e si alimentano reciprocamente, specialmente se seguiamo la sua ipotesi successiva, cioè quella degli ideodinamismi .
Egli sostiene che ogni idea suggerita tende a diventare atto. Per Bernheim questa è la legge dell’ideodinamismo. Per me questo è un punto molto importante poiché ci indica la continuità del processo: la suggestione si trasforma in associazione, l’associazione in idea e l’idea in atto e così via. Qualora l’atto non esaurisca l’energia il processo gira su se stesso, si sposta, si condensa finche non trova un suo sbocco compromissorio che può essere il sintomo nevrotico. Non è che queste spiegazioni siano molto diverse da quelle psicoanalitiche.
Noi psicoanalisti sappiamo bene che l’interazione suggestiva non avviene solo al livello della coscienza bensì anche al livello dell’ inconscio e del preconscio. Questo equivale a dire che sovente la suggestione è involontaria.
Inoltre sappiamo bene che anche l’idea onirica può trasformarsi in atto diurno (i resti notturni che si realizzano) e a questo punto le preoccupazioni che si hanno per perseguire il mantenimento del “setting” mi sembrano un po’ di maniera.
Come dice Bernheim,quando noi vediamo un gruppo eterogeneo di persone che sentendo la musica dei tamburi si mettono a seguire la banda al passo di questo ritmo, abbiamo un esempio di traduzione dell’immagine psichica in atto motorio. Questo atto motorio potrebbe anche essere tradotto in parole ed è quello che sovente succede in seduta quando l’analizzato si mette ad associare sulla base dei ritmi respiratori dell’analista, dei suoi borborigmi ed insomma dei rumori vari che provengono dal settore “poltrona”, e naturalmente dal resto del mondo.
E’ anche evidente che l’idea diventa emozione per mezzo delle catene associative, basta vedere il viso degli spettatori alla televisione o al cinema a seconda delle vicende più o meno drammatiche che si svolgono sullo schermo. L’idea, tramite le catene associative, anche organiche, diventa atto organico. Si potrebbero portare molteplici esempi ma quello più eclatante è la verifica della forza degli effetti placebo rispetto alle funzioni corporali e a certe patologie. 6
Così come si può ottenere la costituzione di un nuovo atto, o il cambiamento funzionale “ derivato dall’effetto placebo, se ne può anche inibire uno abituale. Bernheim scrive (op. cit., pg. 30): “L’idea può anche neutralizzare un atto, inibire un movimento, una sensazione, un’immagine, un’emozione, una funzione”.
In questo senso l’autosuggestione può portare una debolezza degli arti inferiori fino alla paralisi completa o un semplice raffreddore ad un’afonia totale.
E’ chiaro che Freud conosceva perfettamente questo fenomeno.
In un primo tempo cercò di eliminare le inibizioni tramite l’ipnosi accompagnata da un’attività associativa che neutralizzava energeticamente l’idea inibita e inibente (il rimosso), in un secondo tempo abbandonò l’ipnosi e si limitò a cercare di inserirsi tra il rimosso e il sintomo seguendo la via dell’associazione.
Fu appunto questa sua decisione di abbandonare la tecnica ipnotica e le attività suggestive eteroindotte (cioè, ciò che egli cercava di suggerire al paziente) e a sfruttare al massimo il ponte associativo tra il sintomo e il rimosso che ne è la causa inconscia, che diede origine al fenomeno suggestivo susseguente che si riassunse nel tentativo ostinato di tutti gli psicoanalisti di cercare di evitare in tutti i modi possibili la suggestione.
In realtà la semplice regola fondamentale ha al suo interno la suggestione.
Si potrebbe persino dire che tanto più il soggetto è suggestionabile rispetto ad essa, tanto più il trattamento analitico avrà delle possibilità di successo. Quando si dice all’analizzato di dire tutto ciò che gli passa per la mente senza omettere ne modificare nulla gli si da un suggerimento, gli si fa una suggestione di sincerità che non è certamente abituale nella vita quotidiana durante la quale nessuno può essere totalmente sincero.
La condizione di sincerità è quindi una suggestione necessaria e tanto più tale idea fruttifica nella psiche dell’analizzato tanto più egli potrà adeguarsi alla regola fondamentale e approfondire così il suo cammino psicoanalitico.
Vorrei ancora insistere su questo argomento dei rapporti tra suggestionabilità e psicoanalisi utilizzando le parole del Maestro così come egli le ha scritte in “Il problema dell’analisi condotta da non medici. Conversazione con un interlocutore imparziale”, 1926 (Freud, Opere, vol.10, Boringhieri, Torino).

Suggestione e psicoanalisi.

Freud, nella sua finzione letteraria, cerca di spiegare all’immaginario interlocutore imparziale ciò che egli farebbe per preparare il soggetto al trattamento analitico. Ecco le parole di Freud:
“Certo si deve prepararlo a ciò, e vi è un mezzo assai semplice. Lo si invita ad essere del tutto sincero col suo analista, a non dissimulare intenzionalmente assolutamente nulla, di quanto gli passa per la mente, e poi ancora a trascurare tutti quei ritegni che tenderebbero a escludere qualche pensiero o ricordo dalle sue comunicazioni. Ognuno sa di aver dentro di sé cose che preferisce, o che è senz’altro deciso a non far sapere ad altri.
Sono le sue “intimità”. E ha pure un vago sentore - e questo è già un gran progresso nella conoscenza di sé stessi, che nascondiamo a noi stessi, e su cui tagliamo corto cacciandole via, quando malgrado tutto ci si affacciano alla mente. E forse si rende anche conto dello strano problema psicologico che è implicito in questa situazione di un proprio pensiero che vien mantenuto segreto anche per il proprio io. Effettivamente è come se il nostro io non fosse più quella unità che si è sempre pensata, come se vi fosse in noi qualche cosa d’altro che si contrapponte all’io. In forma oscura può così essere avvertita una contrapposizione fra l’io e una vita psichcia in senso più ampio. E allora, se il paziente accetta la regola dell’analisi consistente nel dir tutto, potrà anche familiarizzarsi coll’idea che rapporti personali e scambi di idee, dominati da condizioni tanto inabituali, possano anche condurre a reazioni del tutto particolari.
“Capisco, - dice il nostro uditore imparziale. - Lei parte dal presupposto che ogni nevrotico abbia qualche cosa che l’opprime, un segreto dunque. Impegnandolo a esporlo, Lei lo libera da un peso e gli fa del bene. Si tratta del principio della confessione, di cui la chiesa cattolica si è da gran tempo servita per assicurarsi il suo dominio sulle anime.”
Sì e no, dobbiamo rispondere. La confessione c’entra nell’analisi, in certo modo come una preparazione. Ma essa è ben lungi dall’identificarsi con l’essenza dell’analisi o dal fornirci una spiegazione della efficacia di questa. Nella confessione il peccatore dice quello che sa; nell’analisi il nevrotico deve dire molto di più. Né ci consta che la confessione abbia la capacità di eliminare veri e propri sintomi nevrotici.
“Allora non riesco ancora a capire, - ci risponde l’interlocutore. - Che cosa può significare: dire di più di quanto si sa? Posso tuttavia immaginarmi che Lei come analista ottenga sopra il suo paziente una influenza più forte di quella del confessore sul proprio penitente, dato che Lei si occupa di lui per più tempo e in modo più intenso e anche individuale; e che Lei usi questa accresciuta influenza per distoglierlo dalle sue idee morbose, per eliminare le sue apprensioni eccetera. Sarebbe veramente straordinario se si riuscisse per tale via a dominare anche manifestazioni schiettamente organiche, come vomiti, diarree e contrazioni: so bene tuttavia che è possibile influenzare in questo modo un essere umano quando lo si colloca in ipnosi. Probabilmente con i Suoi sforzi Lei ottiene nel paziente una qualche relazione ipnotica, un attaccamento suggestivo alla Sua persona, anche se ciò non è nelle Sue intenzioni, e i miracoli della Sua terapia si riducono a effetti della suggestione ipnotica. Per quanto ne so, la terapia ipnotica lavora però molto più rapidamente della Sua terapia che, come Lei dice, dura mesi e anni.”
Il nostro uditore imparziale non è per nulla tanto ignorante e incerto come lo avevamo giudicato in principio. E’ incontestabile che egli si sforza di comprendere la psicoanalisi con l’aiuto delle sue cognizioni anteriori, collegandola a qualche cosa d’altro che egli già conosce. Ci spetta ora il difficile compito di persuaderlo che questo non è possibile, che l’analisi è un procedimento sui generis, qualche cosa di nuovo e di specifico, che si può comprendere solo con l’aiuto di nuovi concetti, o se si vuole di nuove ipotesi. Ma gli dobbiamo ancora una risposta all’ultima delle sue osservazioni.
Ciò che Lei ha detto circa la particolare influenza dell’analista è certo molto interessante. Una tale influenza vi è senz’altro, e ha nell’analisi una notevole funzione. Ma non è la stessa dell’ipnotismo. Vorrei dimostrarLe che le due situazioni sono del tutto diverse. Qui però basti osservare che noi non utilizziamo questa influenza personale - il momento suggestivo - per reprimere i sintomi morbosi, come accade nella suggestione ipnotica. Inoltre sarebbe errato credere che questo momento costituisca assolutamente il sostegno e il fattore propulsivo del trattamento. In principio può anche essere così; ma in seguito esso si oppone alle mire dell’analisi e richiede anzi energiche contromisure. Vorrei pure mostrarLe con un esempio come la tecnica analitica si differenzi radicalmente da quelle che mirano a distogliere da dati pensieri e a tranquillizzare date apprensioni. Quando il nostro paziente prova un sentimento di colpa come se avesse commesso un grave delitto, noi non gli consigliamo di superare i suoi scrupoli di coscienza assicurandolo della sua indubbia innocenza: egli ha già tentato di farlo da sé senza alcun risultato. Gli diciamo invece che un sentimento così forte e tenace deve pur avere un fondamento in qualche cosa di reale, e che questo qualche cosa si può forse rintracciare.”
A pagina 391 Freud (op. cit.) si occupa delle resistenze e dice che per quanto si sia cercato di abbreviare il trattamento è proprio la resistenza che ne regola la durata. L’interlocutore chiede allora a Freud come egli agisca contro la resistenza e se si serve della sua particolare influenza personale. Freud risponde:
“La sua domanda viene molto a proposito. Questa influenza personale è la nostra arma dinamicamente più forte, il fattore nuovo che introduciamo nella situazione e il vero motore della cura... Il nevrotico prende parte al lavoro perché ha fiducia nell’analista; e ha questa fiducia in forza di una particolare impostazione emotiva che egli acquista verso la persona dell’analista.
Anche il bambino crede solo nelle persone alle quali è legato. Le ho già detto (v. pp. 357-sg.) in che senso utilizziamo questa potente influenza “suggestiva”. Non per la repressione dei sintomi - e in ciò la terapia analitica si distingue da altre forme di psicoterapia - ma come forza motrice per consentire all’io dell’ammalato di superare le sue resistenze.”
Freud poi paragona il transfert analitico all’innamoramento e in quanto interlocutore si dice “quando si ama si è docili, e per amore si è disposti a fare qualunque cosa”.
Non credo che ci sia ancora molto da dire se non che un innamorato è facilmente suggestionabile anche a fin di bene; l’analista è certamente in grado di operare onestamente nel campo della conoscienza; se ha dubbi sulle richieste del suo proprio inconscio che non riesce ad analizzare si rivolga ad un collega di sua fiducia e faccia qualche seduta .

Preliminari del trattamento

L’appuntamento

 
Il N° Zero del Bollettino
dell' Istituto Italiano di Micropsicoanalisi
 
     

Il tipo di contatto che il nuovo cliente instaura con il suo probabile micropsicoanalista è importante. In passato sovente le persone usavano la posta come mezzo di communicazione, per cui accadeva di ricevere lettere con le quali veniva inoltrata la richiesta di un incontro preliminare; a volte lo scrivente faceva cenno ai problemi per i quali si rivolgeva all’analista. Ora tale mezzo è poco usato; nel caso ciò avvenga l’analista può rispondere fissando un appuntamento preciso (mese, giorno, ora) servendosi di biglietti prestampati in cui oltre al nome ed al proprio indirizzo completo compaia una formula del tipo:

Ho ricevuto la sua lettera del.... Posso fissarle un appuntamento per il giorno (p. e.) martedì 10 aprile 1999 alle ore 17. Nel caso l’orario non le convenga mi telefoni al numero 011 548089. In caso non potessi rispondere mi lasci un messaggio sulla segreteria telefonica. Cordiali saluti. firma.

E’ sempre interessante ascoltare i messaggi sulla segreteria telefonica e studiarne la forma e le variabili parafoniche. 7
Al giorno d’oggi, tuttavia, è raro che le persone inviino lettere, per lo più telefonano e quindi l’analista risponde, oppure ascolta messaggi sulla segreteria telefonica. Nel caso l’analista risponda io suggerirei di ascoltare dicendo il minimo indispensabile, e qualora lo si ritenga opportuno fissare l’appuntamento con precisione pur cercando di favorire il richiedente per ciò che riguarda l’orario. E’ utile farsi lasciare il nome ed il numero di telefono, pur specificando che non si telefonerà a meno che non sia strettamente necessario. Le notizie riguardanti il contratto analitico saranno fornite durante l’incontro nello studio. Se il primo messaggio è sulla segreteria, e il nuovo cliente lascia il suo numero per essere richiamato, è più opportuno aspettare che sia lui a fare una nuova telefonata. Oggi esiste anche la posta elettronica; per il momento non ho un’esperienza diretta. Immagino che, a prescindere dalla diversità del mezzo, valgano le stesse regole della posta normale.
Il primo incontro, si svolgerà nello studio dell’analista secondo una prassi oramai ben descritta nei manuali di tecnica psicoanalitica.

L’incontro e l’anamnesi

L’incontro avrà un tono di cordialità contenuta in cui l’analista cercherà di essere neutro e benevolente ed il più astinente possibile. E’ inutile cercare di fare un’anamnesi approfondita. Una richiesta invadente di dati e notizie, al fine di poter eventualmente costruire un quadro diagnostico del caso, sovente è gradita al paziente che è così liberato dall’incombenza della ricerca degli argomenti da trattare ma inevitabilmente va a scontrarsi con qualche contenuto od oggetto chiave della conflittualità nevrotica della persona e delle sue ripetizioni, e fa insorgere resistenze difensive a volte molto difficili da smontare durante buona parte del trattamento analitico.
Nei casi dubbi si può richiedere un nuovo colloquio in cui sarà il cliente a ritornare sull’elaborazione dell’incontro precedente e fornirà nuove informazioni, per esempio sull’età, il lavoro che compie (se lavora) e altri dati di sfondo che a volte l’analista può anche stimolare con poche domande (non più di tre o quattro in tutto il colloquio).

L’onorario

Per ciò che riguarda l’onorario per il primo colloquio io, normalmente non ne chiedo anche se mi sono reso conto che a volte, in certi soggetti, vi è una profonda esigenza di pagare una somma di denaro per eliminare in parte i sensi di colpa derivati dal beneficio che essi ricavano dal colloquio stesso e per considerarelo una cosa seria. Certamente il pagamento di un onorario può chiudere il rapporto, cosa che sovente non avviene quando non vi è pagamento. Per cui se si pensa di accettare il cliente non si chieda l’onorario; se però i colloqui saranno più di uno esso dovrà essere regolarmente versato, possibilmente assieme al pagamento della prima serie di sedute. La prassi è che il versamento avvenga in contanti con passaggio di denaro di mano in mano, alla fine dell’ultima seduta del mese; il pagamento per assegni o bonifico bancario potrà essere accettato solo quando l’analizzato avrà ben sperimentato gli effetti di quello in contanti e l’avrà privato delle sue componenti aggressivo-sessuali originarie e di quelle simboliche.
Per quando riguarda la prassi del pagamento anticipato, cioè il micropsicoanalista chiede al cliente di versare una somma corrispondente ad un certo numero di ore (25-30 ;50-70;100-120, ore) riguardanti un periodo di analisi, essa è consigliabile quando il lavoro analitico si svolga con persone che non dispongano direttamente delle somme necessarie e quindi sono esposte al ricatto dei finanziatori (genitori, coniugi, conviventi, soci in affari, parenti in generale). Dato che lo squilibrio psicobiologico del paziente è economico rispetto all’omeostasi inconscia della struttura esistenziale (famiglia, coppia, azienda etc.) di cui egli fa parte, sovente appena si registrano spostamenti rappresentazionali ed affettivi importanti della conflittualità nel transfert ed è possibile iniziare un lavoro analitico che è più intimamente collegato ai nuclei intimi del paziente e meno alle sue esteriorizzazioni rievocative preconscie dell’infanzia, adolescenza, etc., cioè appena la vera analisi dei contenuti rimossi inizia, sovente, ripeto, i finananziatori chiudono il credito ed il trattamento deve essere interrotto. Il pagamento anticipato è utile anche per le persone che usano le condotte di evitamento come difesa principale; esse avranno la tendenza ad evitare le sedute appena il rimosso ritorna e l’analista diventa un pericoloso persecutore.
Dato che la nevrosi di fallimento è un tipo particolare di nevrosi ossessiva e dato che l’ossessività è ben collegata ai nuclei iniziatico-anali e quindi al (denaro) = (escrementi- sangue- placenta -utero) = (vita), anche in questi casi un pagamento anticipato può essere utile al successo del lavoro.
L’analista deciderà poi caso per caso; in generale si può dire che è sconsigliabile il versamento dell’onorario alla fine di ogni seduta, per le ragioni di chiusura del rapporto di cui ho detto poc'anzi (l’analista prostituta) e che la periodicità non dovrebbe essere inferiore a quella quindicinale.
In casi particolari, quando per esempio la persona non ha finanziatori ed è fortemente motivata a fare delle sedute, si può accettare la prassi di un pagamento rateale (quindicinale o mensile) che può protrarsi sino ad esaurimento anche dopo il termine del lavoro analitico . In tal caso è l’analista che fa da finanziatore e l’aspetto psicoterapeutico del trattamento prevale.

Trattamento preliminare

A un nuovo cliente che viene per chiedere un intervento micropsicoanalitico, sovente ne propongo uno iniziale di 10 sedute ravvicinate, cioè due settimane di lavoro. Le sedute dureranno 2-3 ore consecutive, l’analista si limiterà ad ascoltare, senza fare interventi interpretativi. All’inizio della seconda settimana, se lo ritiene opportuno, può fare un intervento riassuntivo del materiale delle prime cinque sedute. Lo farà con voce neutra e senza alcuna sottolineatura vocale. Non farà alcun commento, né interpretazione, né metterà in evidenza le ripetizioni. Non eserciterà nessuna frequenza sociale. Alla fine della seconda settimana si può fare un riassunto di tutto il materiale, sempre senza interpretazioni, sottolineando vocalmente (intervento parafonico) nello svolgersi del riassunto (se è necessario) una delle principali ripetizioni.
Detto lavoro verrà definito “trattamento preliminare” e permetterà all’analista di rendersi conto se il caso è trattabile con i mezzi che egli ha a disposizione. Cioè, controllare se il caso non richieda un’assistenza farmacologica, che l’analista non può fornire; se il caso deve essere trattato in ambiente ospedaliero, e specialmente se esso è trattabile con metodi analitici con ragionevoli previsioni di un relativo successo .
Qualora il trattamento deva, per le ragioni sovra esposte o per altre che spiegherò dopo, essere interrotto alla fine di questo periodo si risparmierà al soggetto, almeno in parte, l’impressione penosa che lascia sempre il fallimento di un tentativo di cura che si è prolungato nel tempo per mesi o anni.
Mi si chiederà quale è l’utilità di questa procedura dal momento che in micropsicoanalisi si è deciso di non interessarci più di diagnostica tenendo presente la dinamica delle fluttuazioni degli stati psichici. 8
Io penso che in realtà una certa diagnostica implicita, o almeno una previsione di successo del trattamento debba essere presa in considerazione sia per i soliti motivi di deontologia professionale sia per salvaguardare l’immagine della micropsicoanalisi stessa nei suoi aspetti (pur secondari) di metodo di cura psicobiologica e dare una chiara indicazione al mondo scientifico che i micropsicoanalisti sanno distinguere tra un intervento compiuto in una dimensione di rischio che, pur grave, lascia margini di azione terapeutica, e un’avventura in cui ci si trova coinvolti poichè la propria onnipotenza è stata assorbita nell’onnipotenza del paziente.
A questo punto, però, si potrebbe aprire un grande dibattito filosofico se è la micropsicoanalisi che entra nei tentativi del soggetto assieme all’analista che egli va a consultare oppure se il movimento procede al contrario. E’ facile dire che è un incontro; ma quale sarà l’ulteriore sviluppo di esso. Sarà il paziente che entrerà nella corrente dei tentativi micropsicoanalitici riusciti dell’analista, oppure prevarrà lo sforzo della nevrosi del paziente di mantenersi “riuscita”?

L’Incontro

La precedente speculazione eccita la mia fantasia, ma non voglio continuare, desidero solo dire che:

1°- se l’incontro c’è stato ci deve essere qualche corrente di tentativi in comune;
2°-se il paziente si è rivolto spontaneamente all’analista, e non vi è stato condotto (a meno che non sia un bambino), è certamente possibile che la vicenda si concluda positivamente nella prospettiva dell’acquisizione di un miglior equilibrio per entrambi (il cliente e l’analista).


Di fatto nessuno dirige queste vicende, ma una parvenza di regole bisogna pur darsele e dato che il micropsicoanalista ha acquisito non solo la dimensione micropsicoanalitica ma anche le nozioni di teoria e tecnica dovrà cercare, entro i limiti permessi dall’Ide (istinto di tentativi), di applicarle.

Verifiche.

Dovrà almeno constatare:
1° - se la nevrosi si è impastata con l’Io fino al punto da essere diventata strutturale ad esso e non sovrastrutturale;
2° - se l’io con cui si ha l’impressione di entrare in contatto è un io permanente (se pur danneggiato) e non fittizio;
3° - se le rievocazioni espresse dal soggetto si riferiscono a fatti reali, anche se romanzati, e non a sogni da sveglio, cioè a deliri;
4° - se la costellazione sintomatica, dall’ossessività alla lamentela ipocondriaca, seguita da fasi di violenta eccitazione motoria che sfocia nella depressione, è sorretta da un io sfiancato ma esistente e non da un tenue schermo iconico che maschera una proiezione nel vuoto;
5°-se l’apparente coerenza di un delirio strutturato non mascheri la schizofrenia;
6°- se non si tratti di schizofrenia vera e propria.
Per riassumere, questo intervento esplorativo ha lo scopo di saggiare la consistenza e la duttilità dell’Io nel confronto con le altre istanze; la sua presenza concreta (inconscia-preconscia-conscia), in quanto insieme di tentativi, nella corrente generale dei tentativi (inconsci-preconsci-consci); la sua permanenza come entità coerente, anche se alterata quando esiste un funzionamento diffettoso dell’es che lo mette a contatto con l’involucro delle schermo iconico invadendolo d’angoscia. Che poi è un estrema difesa contro il profondo desiderio di dissoluzione nell’indifferenziato.
Un io che percepisce l’angoscia ed è in grado di rappresentarsela e di mettere in atto validi tentativi difensivi, tra cui la richiesta di un intervento psicoterapeutico, anche se ha momenti di parziale disorganizzazione e se è costretto per mantenere una certa stabilità a sostenersi con le stampelle dei complessi merita di essere sostenuto nei suoi tentativi di arrivare ad una stabilità più permanente e meno diretta dai complessi stessi.

© Nicola Peluffo

Parte seconda

Note:

1 Questo è il titolo originale, io mi riferisco all’edizione francese del 1975,”Tecnique de la psychotérapie analytique” ed Payot, Paris.
2 W. Stekel, op. cit. pag. 8.
3 A chi interessa codesto argomento consiglio la lettura del mio articolo “ Appunti sulle resistenze” pubblicato sul “Notiziario di Micropsicoanalisi”, n° 4, ed. Q. Zangrilli, Fiuggi, 1998.
4 Chi voglia avere più informazioni su questo grande scienziato della psiche può leggere il mio articolo : Ch. Baudouin : un maestro. Bollettino dell Ist. It. di Micropsicoanalisi, n° 7, 1988, ed. Tirrenia-Stampatori,Torino.
5 Il materiale delle 24 ore consiste nella rievocazione e rivissuto in seduta di ciò che è accaduto fuori seduta. In altre parole è l’analisi di tutto ciò che è accaduto, in realtà ed in fantasia, da svegli o durante il sonno (i sogni) da quando l’analizzato si è alzato dal divano a quando, il giorno dopo, vi si è risdraiato. Come è noto la seduta è di almeno tre ore consecutive.
6 Un articolo recente di Sandra Blakeslee ricavato da Internet il tredici ottobre 1998 è intitolato ‘Placebos prove so powerful even expects are surprised’ porta degli esempi di successi terapeutici ottenuti con farmaci placebo che sono persino difficili da credere.
7 La parafonia è una sezione della paralinguistica e si occupa delle vabili sonore del linguaggio vocale; quelle che segnalano la vera intonazione affettiva.
8 Stati psichici: l’uomo oscilla naturalmente e in permanenza tra: normalità-nevrosi-psicosi. (S.Fanti, P.Codoni, D. Lysek, Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi, Borla, Roma, 1984. def. 404).

* Un'estratto di questo lavoro è stato pubblicato nel n° 26 del Bollettino dell'Istituto Italiano di Micropsicoanalisi.

     
 

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