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La vita: involucro vuoto
di Quirino
Zangrilli
Borla, Roma, 1993
Dalla Prefazione:
Scrivo con molto piacere
la breve prefazione a questa opera prima del mio caro
amico e collega Quirino Zangrilli.
Un lavoro agile e nello stesso tempo solido e ricco di contenuti
in cui l'Autore sintetizza le sue esperienze professionali di
medico e micropsicoanalista sino a farne un utile strumento di
lavoro per coloro che praticano la micropsicoanalisi e una piacevole
e istruttiva lettura per chi, pur non praticandola, si è
avvicinato ad essa come analizzato, oppure, più semplicemente,
come studente o studioso.
La collana di micropsicoanalisi, che Vincenzo D'Agostino propone
ai lettori con le sue edizioni Borla, si arricchisce così
di un nuovo volume che va ad aggiungersi agli altri cinque titoli
pubblicati, sino a formare un bell'insieme rotondo: la mezza dozzina.
Forse non sono molti ma la micropsicoanalisi è una scienza
relativamente giovane che con il suo procedere sinergetico (nel
senso di Hermann Haken) non permette una teorizzazione veloce.
Nei libri di Silvio Fanti, specialmente in La micropsicoanalisi
e in Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi (entrambi
in collana) il metodo e la teoria sono sviluppati così
a fondo in tutte le loro implicanze che, almeno per il momento,
è ben difficile aggiungere qualche cosa di nuovo. Tuttavia
uno sviluppo originale di dati ricavati dalla pratica professionale
è un tentativo, non solo possibile, ma anche auspicabile.
Quando esso sia ben ancorato agli elementi fondamentali di questa
nostra scienza, pur dimostrando un ricupero originale dell'esperienza
di lavoro pratico, è uno dei criteri che distinguono il
professionista maturo (anche se giovane di età) da quello
che, pur essendo bravissimo, è ancora allievo.
E, come diceva Sigmund Freud, attraverso la voce di S. Blanton
(La mia analisi con Freud, Feltrinelli, Milano, 1974) a proposito
di coloro che iniziavano a praticare la psicoanalisi: ...
Sono convinto che i metodi della tecnica non si possano insegnare
con degli articoli. Questo deve essere fatto con l'insegnamento
personale. Naturalmente i principianti hanno con ogni probabilità
bisogno di qualcosa con cui cominciare, altrimenti non avrebbero
niente su cui basarsi. Ma se seguiranno alla lettera le direttive,
si troveranno ben presto nei guai. Devono quindi imparare a sviluppare
le proprie tecniche personali.
Un'affermazione in sé pericolosa (non dimentichiamo che
allora esistevano degli psicoanalisti che non avevano fatto un'analisi
personale) ma che dimostra la grandezza danimo e la saggezza
scientifica e umana di Freud.
In scienze induttive come la psicoanalisi e la micropsicoanalisi,
è proprio il nuovo tentativo tecnico che permette l'avanzamento
del riferimento teorico e metodologico. Tutte le scoperte di Melanie
Klein vengono dalle modifiche di tecnica imposte dai suoi piccoli
pazienti psicotici, e lo stesso Silvio Fanti ha scoperto la micropsicoanalisi
nel momento in cui, costretto ad adeguarsi alle necessità
di un suo cliente a rischio, ha deciso d abbandonare
la prassi consueta dei cinquanta minuti quattro volte la settimana,
e ha iniziato a fare delle sedute giornaliere, senza limite di
tempo per quanto concerneva la durata della seduta.
Si è aperto un nuovo mondo, quello dell'infinitamente piccolo,
quello dei nuclei rappresentazionali-affettivi quello dei tentativi
elementari su un supporto generale di congiunzione-separazione.
E poi la conclusione geniale che ha introdotto lo spirito della
microfisica moderna nello studio della vita psichica: il conflitto
tra il vuoto e la sua organizzazione energetica.
É questa la scoperta di base che ha permesso la riformulazione
del concetto di eredità psichica in termini di conservazione
di impronte qualitative e quantitative dell'interazione tra energia
e movimento che continuano a mantenersi istintivamente.
Ora, Quirino Zangrilli, pur non facendo alcuna modifica di tecnica
(e questo sta a suo onore) mi sembra che diriga il proprio interesse
precipuamente sull'aspetto filogenetico della micropsicoanalisi,
specialmente nell'interazione tra ereditarietà e tentativi.
In definitiva rispetto alla dinamica dellistinto.
L'istinto è uno solo, quello di tentativo, cioè
quello del fare: trasformare l'energia in lavoro.
Le tracce dell'esperienza qualitativa (rappresentazione) e quantitativa
(affetto) di tali trasformazioni si mantengono e formano un insieme
istintivo quindi ereditario: l'Immagine.
La tesi centrale del lavoro di Quirino Zangrilli è espressa
nella frase ... non siamo altro che una sorta di amplificatori
di brillanza di un'emissione di immagini che vaga nell'illusione
dello spazio-tempo servendosi di involucri. Una bella definizione
(anche poetica) che richiama la formulazione di pacchetto energetico
contenuta nella definizione di vuoto data da Fanti nel Dizionario
di psicoanalisi e micropsicoanalisi (Borla, 1984). L'essere umano,
un pacchetto energetico fatto essenzialmente di vuoto in cui si
ripetono le stesse dinamiche caotiche del cosmo. Un'idea un po'
inquietante per il lettore non abituato a queste diavolerie,
ma si tranquillizzi, in natura esistono i meccanismi di auto-organizzazione
spontanea. Noi micropsicoanalisti diciamo che è l'Ide (instinct
d'essais), l'istinto di tentativo, che nella sua definizione individuale
(cioè per esempio la mia, o quella dei lettori, anche quelli
di giornali e riviste) è la risultante dinamica degli Ide
elementari dei miliardi di antenati materni e paterni resi presenti
sin dal momento della fecondazione (Fanti, 1984). Che in parole
povere vuol dire che in noi esiste un meccanismo di auto-organizzazione
spontanea, che, almeno in piccola parte, esprime in tentativi
alcune potenzialità presenti nel DNV (dinamismo neutro
del vuoto) dei nostri antenati, e che essendo anch'esso un tentativo
è in parte, ereditario nel suo modo di funzionare. Certo
gli psicoanalisti, e non parliamo dei micropsicoanalisti, sono
in odore di misticismo e allora perché non usare le parole
di H. Haken che Robert Graham riporta nel suo articolo Il
contributo di Hermann Haken alla conoscenza della coerenza e auto-organizzazione
in natura (in Sinergetica, F. Angeli, Milano, 1988): La
questione centrale della sinergetica è se vi siano principi
generali che governano la formazione auto-organizzantesi di strutture
e/o funzioni sia nel mondo animato che in quello inanimato. Quando
io risposi affermativamente a tale domanda per grosse classi di
insieme... a molti scienziati è, probabilmente, sembrata
un'assurdità. Perché mai sistemi composti di componenti
assai diverse quali elettroni, atomi, molecole, fotoni, cellule,
animali, o persino esseri umani, devono essere governati dai medesimi
principi quando si organizzano a formare oscillazioni elettriche,
modelli in fluidi, onde chimiche, raggi laser, organi, società
animali o gruppi sociali? Negli ultimi dieci anni, tuttavia, si
sono acquisite molteplici prove che la realtà è
proprio questa, e che molti singoli esempi, da tempo noti alla
letteratura, possono essere classificati nel concetto unificante
di sinergetica.
Questi esempi vanno dalla morfogenesi biologica a certi aspetti
della funzione cerebrale fino alle vibrazioni delle ali di un
aeroplano, dalla fisica molecolare alle gigantesche trasformazioni
stellari, dai congegni elettronici alla formazione dell'opinione
pubblica e dalla contrazione muscolare alla deformazione delle
strutture solide, temporali e funzionali.
Parlare di filogenesi e di eredità ideica (energetica)
non mi sembra quindi così assurdo, anzi durante l'indagine
micropsicoanalitica i due personaggi dell'impresa vengono sovente
a contatto con una fenomenologia che travalica l'ontogenesi. La
dilatazione del dato osservabile conseguita con la seduta lunga
fa apparire costantemente le determinanti genetiche di qualsiasi
fenomeno. L'Autore, per esempio, verifica nel suo lavoro l'ipotesi
micropsicoanalitica di una interpretazione delle psicopatologie
come una anomalia nei processi di attualizzazione dello psichismo
per cui l'involucro ontogenetico è una sorta di esecutore
cieco di desideri ideici non perfettamente filtrati dall'Immagine.
Dal punto di vista ontogenetico l'Autore ipotizza che nel processo
di attualizzazione dello psichismo che avviene durante la vita
intrauterina non si sia verificata una sufficiente armonizzazione
dei corredi iconici ereditari (la guerra tra il phylum materno
e paterno è già in atto) e lo psichismo del soggetto
diventa una sorta di scanner in perenne ricerca di reciprocità
iconiche che fungono da nucleo di ancoraggio per le gittate proiettive
e le susseguenti saldature costituite nel processo introiettivo.
Si verifica così, negli psicotici, una attività
proiettiva a vuoto: questi pazienti sono costantemente risucchiati
dal loro passato filogenetico, sono dei mai nati .
Le idee di Quirino Zangrilli si rifanno a quelle di Silvio Fanti
e cioè che una gran parte del ruolo di informatizzazione
dell'involucro ontogenetico venga svolta dal sonno sismico fetale
e dai suoi derivati nel sonno-sogno post-natale.
In questo contesto il libro contiene un approfondimento rispetto
alle dinamiche transferali che vengono considerate un'occasione
di vincolamento rispetto alle risultanti dei microtraumi filogenetici.
La proiezione sull'analista e il suo mondo (reale o fantasmatico)
dell'accumulo traumatico filogenetico consente di vincolare in
una vicenda vissuta, storicizzabile e quindi intellegibile, affetti
senza forma rappresentazionale, altrimenti inesprimibili. In questo
modo a volte lo psicotico riesce con dei frammenti a ricostruirsi
una protezione iconica.
La presenza nello psicotico di percezioni iconiche seppur momentanee
è spiegabile facendo ricorso al concetto di nastro
psichico. Per Fanti, nell'essere umano, c'è una continuità
ed una interpenetrazione continua tra i tre stati psichici: normalità,
nevrosi, psicosi. Questi tre strati del nastro psichico si infiltrano
vicendevolmente e la presenza e la frequenza di manifestazioni
normali, nevrotiche o psicotiche è messa in relazione con
il lavoro di barriera energetica svolto dalle sfaccettature iconiche
nei confronti dell'attrazione esercitata dal vuoto. Se l'essere
umano non avesse la possibilità di rieditare tentativi
filogenetici di organizzazione copulsionale, lo psicotico non
potrebbe aggregare le tracce rappresentazionali-affettive atte
a difendere il suo tentativo individuale di esistenza, che ha
incontrato uno scacco disgregativo nell'ontogenesi intrauterina.
Di fatto la possibilità che si offre ad un paziente psicotico,
nel corso della micropsicoanalisi, è quella di poter riaggregare,
in un insieme relativamente stabile, le tracce genealogiche delle
esperienze co-pulsionali. Un lavoro quindi di ricostruzione dello
schermo iconico frammentato che avviene nell'incontro tra il terreno
psichico dell'analizzato e quello del suo micropsicoanalista.
Nel capitolo denominato immagini e amore l'Autore
tenta di mettere in luce il ruolo determinante svolto dall'Immagine
nel contatto e il suggello di un rapporto sentimentale, riconducendo
l'attrazione amorosa all'ipotesi micropsicoanalitica di iconotropismo:
parentela di sfaccettature iconiche. L'accettazione di tale ipotesi
toglie molta della drammaticità che di solito viene attribuita
alla fine di un amore o all'impossibilità di strutturare
un rapporto soddisfacente tra genitori e figli: persone apparentate
biologicamente possono essere così lontane dal punto di
vista iconico che la sintonia risulta impossibile.
L'Autore studia con l'ausilio di numerosi casi clinici il pesante
condizionamento ancestrale che guida gli incontri amorosi.
Uno dei più interessanti capitoli del libro è quello
dedicato alla psicosomatica. Contiene una critica argomentata
dei pericoli insiti nella moderna medicina tecnologica, ferma
ad una concezione meccanicistica dell'uomo.
Per Quirino Zangrilli la visione micropsicoanalitica dell'essere
umano inteso come entità psicobiologica, risultante di
un insieme di tentativi la cui energia ideica si struttura in
energia psichica e materiale, permette di concepire lo stato di
malattia come tentativo transitorio (in corso di strutturazione)
di vincolamento del surplus tensionale al fine di mantenere, in
seno all'entità, il principio di costanza del vuoto. La
vita (intesa come mantenimento per ripetizione di forme e strutture)
e lo stato di salute sono la risultante di un equilibrio
dinamico-oscillatorio tra azione (ritorno al vuoto-pulsione di
morte) e reazione (fuga dal vuoto-pulsione di vita). Queste condizioni
di equilibrio dinamico sono assicurate da una plasticità
dell'es nell'interazione con il terreno psicobiologico che modula
la relazione tra l'energetica ideica e la motricità pulsionale
e co-pulsionale deviando il surplus tensionale sulle entità
psichiche e/o sulle cellule.
Se, con l'Autore, si accetta questo punto di vista dinamico-oscillatorio
del fenomeno ci si rende conto che le strutture, per mantenere
un certo livello di coesione vitale, devono costantemente assicurarsi
una porta aperta al vuoto da cui trarre l'energia che ne alimenta
il mantenimento e la spinta all'organizzazione energetico-pulsionale.
In altre parole, una pelle iconica della struttura,
non sufficientemente plastica, può determinarne l'impoverimento
energetico, e la rottura. Per questo il conseguimento di uno stato
di benessere inteso come assenza di qualsiasi anomalia che il
moderno modello biomedico sembra incessantemente ricercare, non
solo è illusorio, ma non può che essere casuale,
parziale e temporaneo.
NICOLA PELUFFO
Prof. di Psicologia Dinamica
Università di Torino
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