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Parlando di “Creatività benessere”, in particolare, nella
relazione analitica
(parte prima)
10 febbraio 2010
Porto un’esperienza che
riguarda l’evidenza del generarsi di una creatività connotata di benessere psicobiologico, dopo
l’elaborazione di lutti in merito a situazioni di perdita. Una riorganizzazione
creativa e positiva rimanda anche alla forza della resilienza (Boris Cyrulnik, Elena Malaguti, 1999, 2001, trad.it. 2005), fenomeno oggi molto
indagato che può interessare chiunque abbia la spinta
ad andare oltre la sofferenza, il lutto, la perdita, il vuoto. Mi sembra che il
contatto con risorse potenziali anelanti alla vita possa ben sposarsi con
l’elaborazione di una creatività
benessere nel senso intrapsichico con i suoi vissuti di distensione,
soddisfazione, correlati adattativi e nel senso interpersonale con la messa in
atto di relazioni appaganti. Ciò conduce ad un’accezione
olistica di armonia mente-corpo-ambiente, nei suoi
aspetti pulsionali e relazionali in una sinergia di risorse che si incontrano e
si confrontano. Mi accingo a discorrerne un po’ in un
lavoro che uscirà in due parti.
L’attività di riflessione
sulla creatività, come risorsa profonda di vita è stata in me sistematica e
clinicamente datata(1990) 1, a cominciare dall’osservazione di dati
creativi analitici e postanalitici, anzitutto personali (1997/1999/2000/’01/’04/’…) come spesso succede nella
ricerca psicoanalitica. Tale osservazione si è via via
estesa a testimonianze di persone (1999-2002) che, completato il proprio
lavoro analitico, assecondando un’insolita spinta
creativa e vitale che le ha indotte, in questo caso, a scrivere per
‘narrare/narrarsi’, hanno avuto il piacere di regalare una traccia ‘originale’
di sè. Tutto questo, almeno per quanto mi riguarda,
ha preceduto la messa in atto della stesura di una modellistica apparsa
completa nel libro Creatività benessere.
Movimenti creativi in analisi (2007/8), scritto con il dottor Daniel Lysek, un collega
svizzero che già si era interessato della “sublimazione dell’aggressività”(1997). Parlerò del libro come
base del discorso. In apertura, desidero subito porre in evidenza che, al di là dell’appagamento dato dalla manifestazione creativa
in sé, quando la creatività diventa prassi sinergica nella quotidianità, gli
immancabili e periodici conflitti dell’esistenza non sono sentiti solo come
fatti funesti ma come situazioni di disagio, disattivabili e convertibili in
nuove manifestazioni energetico-pulsionali e
relazionali che danno un vissuto di riuscita al tentativo espressosi. Lo stesso
può valere per i traumi di cui si occupa appunto la resilienza come scrive
Boris Cyrulnik (2008, trad. it. 2009) con la consapevolezza e la forza di aver saputo
trarre nuovo alimento dai suoi personali ricordi delle devastazioni della
guerra e della deportazione dei genitori: “Il potere della vita è così grande
che, come un enorme torrente, riprende l’avvio dopo un avvenimento
sconvolgente, sotto altre forme” (p.28). Proprio riflettendo
sulle risorse vitali come potenzialità creatrici, in un lavoro recente (2009, pp.18-28), ho ipotizzato la
resilienza come frutto di un “processo di elaborazione ricombinativa” (Gariglio, Lysek, 2007, pp.48-53) da cui ho visto tante volte
scaturire ciò che inizialmente avevo pensato come “la nascita del corpo
analitico, dopo l’analisi” (2002, p.201) e, successivamente, “il
proprio originale postanalitico” (Belfast, 2006) rimanendo nell’ambito clinico. Uscendo poi dalla psicopatologia e generalizzando,
“il proprio originale” (op. cit. 2009, p.20) mi è apparso raggiungibile
da chiunque indaghi sulle personali forze creative e risanatrici. Questo, all’insegna di un narcisismo positivo, vitale e creativo,
altrimenti chiamato da Davide Lopez e Loretta Zorzi (2003, p.86) “sano e maturo”
perché sganciato dalla “iperdipendenza dalle risorse libidico-emotive” di altri. Tale situazione, nella sua condizione di ‘protesi’, impedisce la trasformazione
naturale: discorso, a mio avviso, davvero fondamentale sia per l’analista che
per l’analizzato.
In tutti questi percorsi
che riguardano il rifiorire della creatività con certe sue manifestazioni
concrete - percorsi analitici, postanalitici
immediati, dopo la sedimentazione e altri ancora successivi o percorsi
qualsiasi frutto della resilienza - ho sempre visto protagonista
una buona “fluidità psichica” (G.L.
2007, p.102) per il raggiungimento dell’accordo tra le istanze profonde, quelle idealistiche
e superegoiche e quelle che riguardano l’io e i suoi
tentativi di adattamento del desiderio alla realtà. All’interno del lavoro
analitico, a ben guardare, appare molto chiara la
messa in moto di tale fluidità a partire dalla disattivazione di vissuti
conflittuali e traumatici. Allora, l’energia liberata si reinveste in movimenti
ad impronta sinergica, ricreando il contatto con qualche “traccia di benessere”,
latente nell’inconscio, per iniziare quel processo di “elaborazione ricombinativa” che alla fine, porterà a creare “oggetti
psichici ricombinati”(op.cit.
p.104) e reali. Questo perché: “Quando ci si approccia alla
creatività è gioco forza interessarsi ad altri
contenuti dell’inconscio. In effetti, il processo creatore che viene alla luce durante o dopo l’analisi, sembra essere
piuttosto la risonanza di tracce di esperienze soddisfacenti e appaganti
memorizzate nell’inconscio, determinatesi durante tutto lo sviluppo fetale e
infantile del soggetto” (op.cit.
p.44), nonché,
ovviamente, nella filogenesi. Infine, tale processo andrà nel senso del
tentativo di stabilizzazione di un continuum che può
snodarsi, periodicamente, secondo la tessitura del “percorso dell’atto
creatore” (op.cit. pp.29-33) che va dall’organizzazione
difensiva conflittuale e traumatica (che genera “creatività sintomo e
sublimazione” (op.cit. pp.85-92) ) alla
nascita di nuovi tentativi più appaganti di vita e creazione. Il passaggio
obbligato, come si diceva, è sempre la perdita e l’elaborazione del lutto con
l’imprenscindibile esperienza del vuoto che diventa, ad un tempo, un passaggio obbligato con i suoi risvolti di
angoscia ed una sosta come presupposto per un rigenerarsi creativo.
Questo, in una sintesi
molto stretta di Creatività benessere. Movimenti creativi in analisi, un
libro scritto contemporaneamente in italiano e francese. Il
libro, inserito nella collana già diretta da Leonardo Ancona, è stato
pubblicato nel 2007 in Italia, da Armando e, nel 2008, in Svizzera da L’Age d’Homme.
Rimando gli interessati al libro o quanto meno ad una
sua scheda di presentazione, nella sessione Recensioni di Scienza e Psicoanalisi. Aggiungo solo che la modellizzazione,
frutto di diversi anni di lavoro, è un’elaborazione comune e analisi comparata
di dati in merito alle nostre singole ricerche sulla creatività a partire dal rispettivo punto di osservazione che, per
quanto mi riguarda caratterialmente e professionalmente, si è appoggiato
progressivamente sulla sensazione/intuizione/convinzione che la creatività non
fosse solo un’attività difensiva. Su questa base, presenterò il seguito della
riflessione personale, come oggetto di questo lavoro.
Dico subito che, dopo gli
scritti creativi sopraccennati e la stesura teorica comune, mi sono soffermata,
in particolare, sugli “aspetti transferali/controtransferali di un campo analitico con analista
consapevole del percorso dell’atto creatore” (2008,
Memoria SIM),
situando centralmente, nel lavoro psicoanalitico-micropsicoanalitico,
la modellizzazione in merito alla creatività
osservata in analisi. Questo, per
il fatto comune che ciascuno porta in sé tracce
rimosse conflittuali/traumatiche di più alta vibrazione che spesso coprono o
agglutinano tracce di benessere latenti nell’inconscio. Secondo le nostre
osservazioni, è possibile modificare la proporzione di tali
tracce, nell’accoppiata sinergica. Lo si può osservare molto
bene durante il percorso analitico ma lo si può vedere in atto anche quando il
terreno della persona sia poco o mediamente nevrotico e le attività di
resilienza, siano quindi capaci di rendersi protagoniste, fisiologicamente e
automaticamente. Diciamo che l’analisi può ripristinare tale capacità. Ne
abbiamo scritto ancora recentemente in un lavoro che attesta la possibile
trasformazione dell’aggressività in creatività (Gariglio, Lysek, IIM, 2009), evidenziando “il ruolo
fondamentale delle informazioni di benessere nell’emergere di un processo creatore” con i suoi
correlati affettivi e relazionali. La memoria del benessere
rimanda infatti alla relazione e all’empatia, nozione,
questa seconda, necessariamente bagaglio di ogni psicoanalista. E, tra i tanti
che ne hanno parlato, rimando solo a Heinz Kohut (1977, trad.it.
1980) che ne ha fatto un cavallo
di battaglia ma di cui tralascio la
glorificazione della “ricerca anaclitica di appoggio“ (Lopez, Zorzi, 2003, p.86), che anch’io
non condivido perché la ritengo costosa nel senso della dipendenza dai “rifornimenti
narcisistici esterni che non crea “trasformazione strutturale” (p.85). E parlo invece di una sintonizzazione con il
“sentire l’essenza del messaggio del paziente”, “un’empatia, come scrive
Alberto Lomuscio (2009, pp.103-4), basata sull’alterità (…)
in condizioni di consapevole e vigile separazione, di assenza di
fusione-confusione”. In questo modo viene sganciato
dall’empatia il possibile equivoco di esperienza di fusionalità,
ridandole solo il significato di capacità recettiva nel cogliere l’essenza del
discorso transferale/controtransferale:
sentire, ricevere, accogliere accompagnare con calore umano e ricchezza
creativa. Lo stesso Freud, nella recente traduzione del libro
di Manfred Pohlen (2006), In analisi con Freud. I verbali delle
sedute di Ernst Blum del 1922, viene svelato o meglio riappare “tutt’altro che un clinico
neutrale e distaccato”(trad. it.
p.41) come
racconta lo stesso Blum a Pohlen
nel 1973, in un “dialogo di dieci giorni” che rievoca i tre mesi dell’analisi
con il Maestro di cui “55 ore sono state stenografate” (trad. it. p.164): “La mia analisi con
Freud mi appare come una conversazione senza riflessione: era la sfera della
comunanza, un dialogo in una lingua comune, un’intesa da cui scaturivano insight come momenti fulminei di nuova percezione. Freud era un compagno di strada fidato, non una guida
interpretante: e il nostro percorso era come la creazione di un’opera d’arte
realizzata in tanti abbozzi preliminari…” (Ernst Blum, 1922, trad.it. in op. cit. p.170). E
Sandro Panizza (2009) in un libro che ho molto gustato per il tipo di
scrittura sciolta che si dipana con destrezza creativa tra la precisione dei
richiami teorici e il piacere di raccontare il proprio punto di vista, ci
racconta precisamente “il filone relazionale - oltre che pulsionale - che
percorre l’intera opera e l’intera vita di Freud” (p.66).
Come non richiamarci, in questi discorsi di sinergia e relazioni appaganti,
anche le parole che Platone, nel Simposio, mette in bocca a Socrate, così come
mi sono appena state ricordate da una collega interessata anch’essa alla
memoria del benessere, dopo la disattivazione di qualche conflitto? “Sarebbe bello, Agatone,
se la sapienza fosse fatta in modo da scorrere, se ci tocchiamo l'un l'altro, da chi di noi ne
è più pieno a chi ne è più vuoto (…): giacchè penso
che sarò colmato, da te, di molta e bella sapienza.". Tralasciando
l’aspetto ironico della risposta in quel contesto, voglio invece considerare
come vera la rappresentazione di un ‘libero fluire di sapienze’, com’è naturale
in una soddisfacente e paritetica interazione reale. Se invece consideriamo metaforicamente
quel “se ci tocchiamo l’un l’altro” e lo inseriamo nella situazione analitica,
possiamo subito collegarci alla straordinaria nozione di Nicola Peluffo (2006) che
parla piuttosto di una “contemporaneità del desiderio inconscio”, per meglio
tradurre le abusate nozioni di empatia o sincronicità.
Tale contemporaneità, attiva nel campo transferale/controtransferale, coesiste, senza contraddizione, con
l’astinenza dell’analista – nel rispetto di quei famosi “confini” (Glen O. Gabbard,
Eva P.Lester, 1995, trad.it.
1999) –
abituato a seguire con neutralità e attenzione fluttuante l’onda dell’iter
associativo. Così, quando parlo della ‘consapevolezza’ dell’analista del
“percorso dell’atto creatore”, mi appoggio proprio su questa sinergia di
‘inconsci che sanno e che interagiscono empaticamente’ ma, in più, indico come
differenza la ‘consapevolezza’ del fenomeno o dei suoi diversi gradi: consapevolezza nella sua completezza di incontro e di trasformazione. In questo discorso, tra
l’analista e l’analizzato, il primo può essere consapevole, già in partenza,
anche del percorso dell’atto creatore, e dico ‘anche’, oltre a tutto il resto
che riguarda il conflitto psichico che si incrocia con
la traccia delle esperienze traumatiche, che comunque rimandano poi al
conflitto e successivamente al fantasma, all’angoscia e alla tensione di cui
l’analista è, classicamente, consapevole da sempre. L’analizzato può diventare
più facilmente consapevole di tale percorso in un campo analitico che, appunto,
abbia in sé tale consapevolezza portata dall’analista, dove sia protagonista la
considerazione della ‘persona’, nei risvolti
antropologici, conflittuali/traumatici, ma anche adattativi e creativi. Sono
sintonica con Augusto Romano di cui ho appena letto un bel lavoro (2007),
scritto con G. Piero Quaglino e Riccardo Bernardini
su Eranos e i suoi storici Convegni interdisciplinari
tra culture diverse, quando distingue una “psicopatologia intesa come
collezione di sintomi e sindromi (…) dalla personalità, in
quanto realtà umana da accompagnare in un processo di trasformazione”(pp.154-55). Oggi, c’è buona concordanza sul fatto che ad
essere analizzata debba essere la “relazione tra due persone che interagiscono”(p.158). Dettagliando micropsicoanaliticamente tale relazione nel
campo analitico, la si può rappresentare come un
insieme di dinamiche di incontro-scontro tra sfaccettature energetiche di cui
diventare consapevoli come ben sanno gli analisti quando sentono di non essere
solo in due, nello spazio-tempo di seduta. Se poi il lavoro riguarda un gruppo,
analitico o di lavoro, tali sfaccettature si moltiplicano e, con esse, i
dinamismi… Ad Eranos, ad
esempio, ho appena incontrato un gruppo di studiosi che, con naturalezza, passa
dall’elemento teorico, all’aspetto di ricerca transculturale,
alla relazione empatico-affettiva, alla considerazione per la natura che si
esprime insieme a questi aspetti.
Rimanendo nell’analisi,
per quanto mi riguarda, sento e vivo tale esperienza
come un avvicendarsi aggressivo-sessuale, adattativo
e creativo, che attraversa i materiali del sogno, dell’iter associativo e delle
riattivazioni transferali/controtransferali
di seduta, fino alla “nascita del proprio originale” da cui potrebbe scaturire il
singolo “mito personale”, secondo un bel modo di dire di Romano (op.cit. p.157). Anzi, queste due nozioni può darsi abbiano qualche affinità perché riguardano, ad
ogni buon conto, l’individuazione in cui si tesse la propria identità. Vi si
potrebbe riflettere, accogliendo la possibilità di confronto tra modellistiche
di diversa matrice teorica, come mi piace fare, tutte le volte che posso,
anziché intrattenermi solo sulle differenze. Come scrive Silvia Vegetti Finzi (1992, Intr.), “la diversità è ricchezza” purchè “il confronto non avvenga su di un sapere cumulativo
ma tra modi di vivere, di pensare, di comunicare”. Può darsi allora si possa già rappresentarci l’incontro con le
sfaccettature dell’ “Immagine” (per tutti, cfr. Peluffo, 1984) nella sua essenza energetica psicobiologica,
plastica, dinamica, secondo l’accezione micropsicoanalitica e l’incontro con le
immagini archetipiche, secondo l’impostazione junghiana, come la fioritura, nel
campo analitico, di una miscela piena di tanti aspetti pulsionali, relazionali,
culturali, simbolici… che, per comodità di sintesi e nel mio modo di vedere, avrei
riassunto in conflittuali/traumatici e di benessere, onto-filogenetici.
Questi aspetti possono disattivarsi di volta in volta e ricombinarsi
continuamente, talvolta, verso tendenze più di vita e creazione che di morte
con i suoi vissuti di stasi. E mi piace
qui segnalare il “modello della genitalità e della persona” di Davide Lopez (2008), citandone qualcosa. “Ciò che, soprattutto, mi interessa,
scrive questo psicoanalista, interessato anch’esso al benessere, è che tale
modello sia compreso nel suo significato primiero di offrire, a coloro che sono
pensosi e anelanti a realizzare la pienezza e la ricchezza della vita, la
speranza e la fiducia di realizzarlo” (p.249). Visione ottimistica che condivido, niente affatto trionfalistica perché,
e lo dico utilizzando parole di Freud (1932, ed.it. p.284): “sa - comunque-
sottomettersi alla verità nel rifiuto di ogni illusione…”, nel rispetto della
‘filosofia’ scientifica cui richiama, giustamente, la psicoanalisi. Va da sé
che la consapevolezza del percorso dell’atto creatore in tutti i suoi risvolti (di cui si sta un po’ parlando), rimandi ad un
analista che asseconda la coniugazione della rappresentazione con l’affetto
anche nelle riattualizzazioni che provengono dalla
“memoria del benessere”, mano a mano che questa riemerge nei fenomeni di
transfert e controtransfert. Secondo il mio pensiero, la spontaneità del suo
presentarsi nel campo analitico è strettamente correlata all’interiorizzazione
che ne ha fatto l’analista mentre si formava e riflettendovi a posteriori.
Così, se prima avevo dato
attenzione (2001, pp.7-11), alla possibilità di
individuare una correlazione tra le potenzialità creative e il lavoro analitico
profondo rispetto alla nascita di “nuovi tentativi” o alla possibilità di ripresa
di taluni “sentieri interrotti” (Paolo Di Benedetto, 2005, p.193) - e voglio richiamare questo splendido lavoro
sugli “stati autistici” (op. cit. pp.189-201), che tratteggia: “il vuoto di una potenzialità non realizzata, poiché ciò che
poteva nascere non è nato” (p. 191), parlando di “isole di
potenziale sé” in “percorsi iniziati e non completati” - ora, la mia attenzione è altrove. Sto infatti osservando la correlazione tra la possibilità del sentire la vita più leggera e la stabilizzazione del mantenimento dell’impronta
sinergica recuperata e interiorizzata. Va da sé che ciò porti ad un’ulteriore ampliamento della capacità di relativizzazione,
rispetto all’immagine della ‘difficoltà’, in generale, e al vissuto drammatico
rispetto al conflitto e al trauma, in particolare. Questo non dispensa certo la
vita il caso il destino dal continuare ad elargirci
sofferenza e difficoltà, ci dà solo un maggior sgravio rispetto all’addebito di
responsabilità personale che tanto pesa nello psichismo. Diciamo allora che,
dopo la metabolizzazione dell’uscita dall’utero analitico con la “nascita
psichica della persona” (Nicola Peluffo, 1976, p.134) a cui
oggi aggiungo, con la rinascita anche creativa, la vita può ancora sorprendere
per la sua capacità trasformativa di attivare automaticamente, nel processo di
elaborazione ricombinativa che, dallo psichismo
profondo si tesse fino a guadagnare la realtà, la sinergia: perdita-vuoto-informazioni
di benessere. E questo, fortunatamente, è indipendente dall’età, una volta che
se ne sia guadagnata
la consapevolezza: “Mai si è troppo giovani o troppo vecchi, scrive Epicuro
nella sua celebre Lettera sulla Felicità a Meneceo, per la conoscenza della felicità. A
qualsiasi età è bello occuparsi del benessere dell'animo nostro.” E’ vero: quando ci si interessa
al benessere, come presenza energetica nella psiche, ci si può sentire persino
‘felici’, perché, ad esempio, ci si rende conto delle infinite possibilità,
nella semplice quotidianeità, anche oziandovi.
“Restare ‘come un campo coltivato a maggese’, scrive Masud
Khan, allievo di Winnicott e amico di Anna Freud (1983, trad. it. p.198-202), coniando una straordinaria similitudine tra “il
restare oziosi” e quel “terreno
ben dissodato e arato, ma che non viene seminato per un anno e più (…) è
soprattutto una dimostrazione della capacità di una persona di essere spontanea
quando è sola con se stessa.” Per me, che mi sento affettuosamente diventata
una ‘teorica’ della solitudine creativa, anche questo può essere uno stimolante risultato dell’analisi.
Daniela Gariglio ©
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Note:
1 In quell’occasione, presentando “la ricerca genealogica in analisi”, avevo già elaborato un primo resoconto clinico di tale spostamento energetico dalla disattivazione conflittuale e traumatica al nascere di nuovi tentativi sinergici e creativi.
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