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Scienza e Psicoanalisi
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Osservatorio di Psicoanalisi applicata
Articolo di Pier Luigi Bolmida  
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La legge di Giobbe:
studio sull'angoscia di autodistruzione
nelle sue componenti costitutivo-ereditarie

(Parte prima)

10 aprile 2002

Preambolo

Quella di Giobbe è una storia meravigliosa ed affascinante che si estende su un arco di tempo di circa sedici secoli, e lascia il lettore attonito e sgomento. Ê una storia che si sviluppa seguendo l’alternanza di un’oscillazione che ne determina un duplice finale, a volte drammatico, a volte eroico: tale oscillazione é la stessa che percorre lo psichismo profondo e fu descritto da S.Freud in termini di Diniego/Riconoscimento 1 - 2, regolando i destini pulsionali di ogni essere umano. Ê una vicenda in sé estremamente semplice e lineare, che narra di un Uomo, un forte e un giusto, che viene all’ improvviso colpito da una serie di sventure, a livello individuale paragonabili a eventi catastrofici, che gli perturbano gravemente l’esistenza, sospingendolo verso il suicidio. In effetti, pare che la prima versione della storia di Giobbe sia stata tracciata su un papiro, 2200 anni prima di Cristo, in occasione della caduta dell’Impero Egizio 3 . Questo testo, che senza ombra di dubbio costituisce uno dei primi scritti della Storia, racconta l’angoscia di una persona colta e socialmente importante, forse uno scriba, che viene assalita da “un attacco di panico” di fronte al disgregarsi della forza vitale che aveva finora caratterizzato il proprio Impero e, di riflesso, la propria esistenza. Da questa presa di coscienza, scaturisce una profonda reazione depressiva, da cui cerca di fuoriuscire interrogando la propria anima, nel tentativo di trovare in essa il motivo sufficiente per continuare a vivere. L’anima si impegna a fondo nel fornirgli valide e copiose risposte che possano indurre l’io sofferente a non abbandonare la vita, ma egli non si lascia convincere e, in preda alla più devastante disperazione, si uccide lanciandosi nelle fiamme.
Il celebre “Papiro di Berlino 3024” 4 , di cui il Lettore interessato troverà la trascrizione completa e un’ampia illustrazione teorica in Iª appendice a questo mio studio (visualizza), rappresenta sicuramente una delle primissime testimonianze scritte di elaborazione psichica del lutto. In un linguaggio moderno potremmo definire la storia come un tentativo (fallito) di auto-analisi, che risuona per ripetizione lungo le generazioni e le diversità dei tempi e dei luoghi, assumendo svariate configurazioni letterarie, fino ad assurgere in Mesopotamia, all’incirca verso il 600 A.C., alla sua sistemazione definitiva nel testo biblico intitolato appunto “Il libro di Giobbe” 5 . Questo celeberrimo testo biblico costituisce il fondamento del mio presente lavoro e ne fornisco pertanto un riassunto ragionato in IIª appendice, invitando il Lettore che ne ignorasse lo svolgersi a prenderne visione prima di continuare la lettura di questo scritto. (Visualizza il riassunto)
L’interesse offerto dal Libro di Giobbe è, nella lettura che ne opero, duplice, in quanto da una parte descrive un’immensa e poderosa parabola nella costruzione del pensiero umano e, dall’altra, definisce i criteri precursori necessari alla comprensione clinica della Reazione Depressiva: desidero sviluppare il mio discorso lungo queste due direttrici.

Parte 1ª: Filogenesi di un tentativo epistemologico
(il sistema conscio)

Come tutti sanno, l’epistemologia genetica è la disciplina scientifica introdotta da Jean Piaget per osservare e spiegare la formazione e lo sviluppo dei processi cognitivi relativi alla percezione, memoria e intelligenza e, in particolar modo, rivolta allo studio delle fasi di acquisizione dei concetti logico-astratti 6 . La tesi che sostengo in questa prima parte del mio lavoro è che il libro di Giobbe, inteso come processo evolutivo globale umano, che si estende per decine di secoli di storia scritta, ma che sicuramente si origina durante la Preistoria (cfr.i lavori di E.Anati), illustri, descriva e definisca il passaggio da un’immagine interiorizzata di un dio traumatico alla formazione del concetto di un Principio creatore, basato fondamentalmente sulla percezione della Realtà.
Desidero esplicitare il mio pensiero in modo dettagliato, in quanto tale affermazione costituisce il nucleo centrale delle argomentazioni che illustro in questo scritto.
-1º Occorre dapprima evidenziare come la versione originale del Libro di Giobbe termini con la presa di coscienza dell’esistenza del Creatore: Dio si rivela direttamente nella Sua vera natura. E”questa percezione non mediata del Reale che ingenera il processo di guarigione (trasformazione) di Giobbe.
-2º Durante la visione del Principio Creatore Giobbe sospende ogni giudizio, dato che comprende che le Leggi del Creato esistono indipendentemente da ogni desiderio umano: anche se per motivi assolutamente incomprensibili all’uomo, il Principio Vitale ingenera il sole, gli astri, gli oceani insieme ai mostri Behemot e Leviatan. che sono emanazioni indissociabili della stessa Legge. Lo stesso Contenitore abbraccia aspetti diversi e contrapposti, senza contraddizione alcuna. Giobbe si rende conto che non è più possibile scindere il Creato nei suoi aspetti buoni e cattivi, che non esiste in Dio una volontà diretta volta alla protezione dell’Uomo e che le Sue Leggi non possono essere commisurate alla volontà umana.
Scrive G.Ravasi”...In questo mirabile discorso si celebra una vera e propria rivoluzione copernicana nella cultura dell'antico Oriente: l'uomo non è più al centro del creato, come insegnava la sapienza tradizionale, ma ne è solo una microscopica componente che non riesce a rendere conto dell'insieme del cosmo. L' universo appare incomprensibile e ignoto nell' infinitamente grande (le strutture planetarie) e nell' infinitamente piccolo (il parto delle camosce). Eppure, l'Essere ha un progetto che tiene insieme armonicamente aspetti tanto disparati...(omissis.). P. Ricoeur così commenta le parole di Dio al balbettante Giobbe:
"...Non è una risposta quella che Giobbe ha ricevuto da Dio, ma il potere di sospendere la sua domanda, comprendendo che c'è un ordine incomprensibile" ..."
7 .
-3º Tutta l’intera vicenda in effetti rappresenta il verbale di una rogatoria giudiziaria che si svolge all’interno dello psichismo umano: seguendo le alterne vicissitudini dei processi di identificazione/proiezione, si tenta (invano) di stabilire chi sia il colpevole. Di fronte al Trauma, l’essere umano non può che farsi trascinare dalla propria logica sensorio-motoria (centrata sull’azione), che nello psichismo profondo assume l”aspetto persecutorio della Legge del Taglione.
Schiacciato dalla pressione esercitata da tale Legge (costante), egli non può che essudare colpa che, non avendo volto, risulta impossibile da gestire: se la si attribuisce al dio, lo si elimina, bestemmiandolo. Quindi, per esclusione, il colpevole è l’Uomo, che deve aver commesso un peccato gravissimo per meritarsi una simile punizione. Se non direttamente da lui, allora il crimine è stato compiuto dai suoi figli che, secondo la logica fantasmatica del “rovesciamento delle generazioni”, basata sulla trasformazione nel contrario e nell’ inversione dei rapporti 8 , corrispondono ai propri antenati. Sono loro ad avere commesso il delitto originario. La storia di Giobbe testimonia la possibilità di uscire da tale primitiva dinamica. In ultima analisi, liberando Dio dagli schemi umani, Giobbe si rende conto che il proprio peccato è stato quello di chiedere a Dio di venirgli incontro, di abbassarsi a livello umano. Ma la realtà del Principio risulta essere infinitamente superiore al piacere immediato.
-4º Dal punto di vista logico-formale, Giobbe spezza ogni legame immaginario, ogni possibile rapporto di tipo mistico, animistico e magico, che collega se stesso/Uomo al Creato/Dio. Interrompe così la circolarità della logica operatoria concreta, caratteristica del pensiero egocentrico, che stabilisce ininterrotte relazioni di similitudine e identità tra il soggetto e l’ambiente circostante 9 , per cui, in una dinamica speculare, la reazione esterna è forzatamente ingenerata da un’azione interna interiorizzata (desiderio).
In tal modo, Giobbe può accedere alla formulazione di un nuovo concetto, costruendo l’idea di un Principio Creatore autonomo, mosso da una logica indipendente dalla realizzazione immediata dei desideri e dal soddisfacimento dei bisogni umani: Dio non è più costruito ad immagine e somiglianza delle necessità umane.
-5º L’introduzione di tale diversità sostanziale, che in definitiva corrisponde al processo di maturazione dell’io, risolve il dibattito processuale apertosi secoli prima, con l’accusa lanciata dall’ignoto egizio: Giobbe guarisce (si trasforma) perché, sospendendo il giudizio, interrompe la relazione di colpa che circola all’interno della relazione tra l’Io e il suo oggetto.
In effetti, al termine della sua dolorosa e difficile ricerca, Giobbe giunge a comprendere che la legge divina, che origina e regola tutto il creato, si caratterizza per le proprietà di neutralità, non finalità e casualità (imperscrutabilità); ogni elemento del Creato, dal firmamento alla più piccole delle cose, è animato da questa volontà universale. La prima, poderosa scoperta di Giobbe, che lascia stupìti e attoniti, è che il cielo stellato sopra di lui non contiene nessuna Legge morale, nessun imperativo etico, né regola o divieto che riguardino il bene e il male. Il Principio creatore non ama e non odia, non protegge e non castra: Esso Ê, nel Suo dinamismo infinito, retto da leggi imperscrutabili, talmente complesse da sembrare all’umano assolutamente arbitrarie. E l’Uomo chiama caso tutto ciò che la sua osservazione non può ricollegare alla propria onnipotenza e al senso di colpa che ne deriva. Questo è il punto cardine di tutto il mio discorso: colpito dalle più gravi sventure, Giobbe non interiorizza il senso di colpa né lo espelle per proiezione Malgrado gli sforzi congiunti della moglie e degli amici più cari, che tentano in tutti i modi di fargli confessare la colpa, propria o dei suoi figli, Giobbe si vive come totalmente innocente, non stabilisce un nesso di causalità fra il Trauma e una presunta volontà castratrice del Padre/Creatore. Non tenta di eliminarlo o di sottometterglisi passivamente. Lo Jhwh che cerca di raggiungere è un Dio epistemologico, che lo sospinge verso uno sforzo di percezione del Reale piuttosto che verso un’interpretazione proiettiva:" Io ti conoscevo solo per sentito dire, ora i miei occhi t'hanno veduto": così termina la sua ricerca (in questa frase degli occhi che vedono c’è tuttavia ancora un riferimento alla percezione).
Potremmo dire che la Legge di Giobbe nasce ex novo, dalla creazione di sinapsi w inscritte nell’eccitazione di neuroni j che riescono a imporsi e sovrastare l’ancestrale ed ereditaria attivazione dei circuiti y, tracciati nell’Es 10 . In questo senso, Giobbe si muove in una dimensione extra-Edipica, nella quale non viene più riprodotta la dinamica inscritta nella coppia degli opposti Vendetta/Punizione, Ribellione/Sottomissione, Diniego/Riconoscimento: l’unico dio risulta il Principio di Realtà, nel suo infinito dispiegarsi di costanti universali che regolano l’Universo. Al contrario di Edipo, una volta percepita la Realtà, Giobbe ne trae un profondo beneficio e un giovamento somatopsichico, non ha bisogno di negarla, bucandosi gli occhi. Non interiorizzando la colpa del Trauma, Giobbe non totemizza il Creato 11 .
Durante questo contatto con l’immagine filogenetica Giobbe raggiunge una poderosa presa di coscienza che vale anche per il suo ignoto antecessore egizio, il proprio antenato storico vissuto millenni prima, e può così fornirgli l’unica risposta che possa evitare ad entrambi il suicidio: non esiste alcun imperativo morale né colpa da espiare che obblighi a vivere. Inutile e sterile è quindi il ribellarsi.
La porzione di Umanità che ha scritto per (almeno) sedici secoli il Libro di Giobbe e che in seguito ne ha seguito la Legge, si è progressivamente impadronita delle Costanti che regolano il Creato (assimilazione), riuscendo a modificare parzialmente il Reale al proprio servizio (accomodamento); ha scoperto il movimento degli astri e degli atomi nel vuoto, il funzionamento delle cellule, ha tracciato la mappa del D.N.A., ha formulato il Principio di Indeterminazione, la costante di Planck, la Relatività ristretta e generale. Contemporaneamente ha elaborato i principi fondamentali che reggono lo psichismo profondo. Lo Jhwh epistemologico è stato introflesso e, in un immenso sforzo di interiorizzazione, sovrapposto al dio traumatico. Parzialmente e solo in proporzioni variabili a seconda del mutare di uno Spazio/Tempo relativo, dato che lo stesso principio organizzatore che regola tutte le cose determina che non possa esistere una struttura psicobiologica umana totalmente stabilizzata nell’accettazione costante del principio di Realtà. Probabilmente si tratta di una caratteristica strutturale dell’ apparato psichico che, periodicamente, necessita di “collassare”all’interno del principio del Piacere 12 , ripristinando la sfida edipica e il suo consequenziale corollario di diniego della castrazione. Ecco allora che lo Jhwh epistemologico si ritrasforma in dio traumatico. Periodicamente, sotto la pressione congiunta di una moltitudine di Figlioli Prodighi 13 , sorelle e fratelli (impotenti), la legge di Giobbe viene stravolta e depauperata degli attributi peculiari legati al Reale. Ricondotto nel marasma originario degli affetti fluttuanti e delle rappresentazioni degradate, tipiche delle fasi di sviluppo pre-oggettuale, la percezione si degrada al livello della semplice interpretazione proiettiva, che ricolloca il Dio/Padre entro i valori del caos edipico e pre-edipico, restituendogli la funzione di Feticcio, ossia di protezione allucinatoria asservita al principio del Piacere. Si spiega in tal modo l’incoercibile necessità coatta, da parte degli stessi che lo costruirono e venerarono, di abbattere l’apice del pensiero così faticosamente e lungamente edificato: “...Ma il poeta biblico non può fermarsi alla logica di questa soluzione e deve operare alcuni ritocchi: secondo i canoni tradizionali delle benedizioni patriarcali, viene accettata in pieno la teoria della retribuzione divina, tanto duramente contestata dall’opera poetica centrale. Riappare la felicità nella vita di Giobbe, con il suo apparato di prosperità, longevità e vecchiaia opulenta, appunto come il riconoscimento ufficiale della giustizia di Giobbe, della sua obbedienza non offuscata dalla prova...”14 .
Tramite questa semplice aggiunta postuma, così felice e rasserenante, ludica potremmo dire, l’oscillazione edipica si riattiva, reinvadendo la costante epistemologica appena formulata. Al culmine del suo sforzo, nel preciso momento in cui la tensione della ricerca si è acquietata nel “Riconoscimento”, producendo ristoro nel corpo e sollievo dell’anima, Giobbe viene di colpo risucchiato all’interno del “Diniego”, la sua esperienza edipicizzata e la sua Legge totemizzata: Dio lo premia, perché Dio è Buono, infinitamente amoroso, più che materno, dispensatore di ricchi premi, in cambio di un’assoluta e cieca obbedienza. Ê il satana cattivo, che lo ha corrotto (scissione dell’Oggetto); Giobbe è un giusto, perché non ha commesso la colpa della disobbedienza (scissione dell’Io); ma allora perché il dio lo ha provocato? Forse perché Egli è Malevolo? (Ribellione); il solo pensiero è blasfemo e va allontanato dalla coscienza (Sottomissione). Degradando il principio di Realtà, il circuito ossessivo si riattiva immediatamente nella sua originaria ferocia: lo Jhwh epistemologico è stato decapitato, castrato dei suoi attributi principali e la sua testa innalzata su un palo; lo si adori, alfine di ricavarne protezione in cambio del sacrificio di se stessi e della rinuncia sistematizzata. Solo il Totem possiede il potere di allontanare il Trauma, che sta per riabbattersi con tutta la sua furia.
Ecco, il diniego ha ripreso il sopravvento e la Legge di Giobbe può essere ridimensionata, riportata a livello umano, ricondotta all’interno delle reazioni circolari primarie, ove non esiste alcuna differenza tra sé e l’Altro, e lo si può benevolmente raffigurare come un innocuo miserabile, lacero, sporco e contuso, che seduto su un cumulo di sterco, offre al suo dio sadico i ridicoli brividi del proprio orgasmo perverso. Specchio perfetto di chi così se lo raffigura.
Strano destino quello di Giobbe, molto simile a quello di un altro ebreo con profonde radici egizie, che, salito in cima all’Ignoto per scrivere la Legge su tavole di pietra, si ritrova fuso e confuso con idoli d’oro che riproducono una moltitudine di animali totemici...Forse si tratta della stessa storia, che è obbligata a ripetersi sotto innumerevoli volti. Infatti sta scritto: “ Tuttavia, la traduzione greca dei Settanta non si accontenta del trionfo fisico di Giobbe ed aggiunge questa glossa finale: Sta scritto che Giobbe risorgerà di nuovo, insieme a coloro che il Signore risusciterà" 15 .

Fine prima parte

Seconda Parte

© Pier Luigi Bolmida

Prima Appendice (vai-->)

Seconda Appendice (vai-->)

Note:

1 S.Freud, “La scissione dell’Io nel processo di difesa”, pp. 552, 557, 630, in: O.S.F.,vol.XI, Boringhieri, Torino ,1979. back
2 P.Bolmida. “Il dinamismo energetico del feticcio”, pp. 2-4, in Bollettino dell’Istituto Italiano di Micropsicoanalisi, nº 4, Tirrenia Stampatori, Torino, 1987. back
3 G.Ravasi, “Gli antecessori di Giobbe”, pp. 22 e sgg. in “ Il Libro di Giobbe”, Rizzoli, Milano, 1989. back
4 S.Donadoni, “Dal dialogo di un disperato con la sua anima”, pp. 190 e sgg., in: “Testi religiosi egizi”,U.T.E.T, Torino, 1970. back
5 G.Ravasi, “Giobbe”, p.44, Borla, Roma, 1984. back
6 J.Piaget, “Le développement des perceptions en fonction de l’âge”, pp.31 e sgg., in: Traité de psychologie expèrimentale”, P.U.F, Paris, 1963. back
7 G. Ravasi, “ Il Libro di Giobbe”, op.cit., pag.200. back
8 S. Freud, “L’acquisizione del fuoco”, pp.104 e sgg., in: O.S.F.,vol.XI, Boringhieri, Torino, 1979. back
9 J. Piaget, “La génèse de la pensée”, pp. 29 e sgg. in: “La psychologie de l’intelligence”, Colin, Paris, 1947. back
10 S. Freud, “Lettera a W.Fliess, 1 gennaio 1896”, in:”Le Origini della psicoanalisi”, pp121-122, Boringhieri, Torino, 1961. back
11 S. Freud, “Animismo, magia e onnipotenza dei pensieri”, in:Totem e Tabù, pp.181 e sgg. , O.S.F. ,vol.VII, Boringhieri, Torino, 1975. back
12 S. Freud, “La perdita di realtà nella nevrosi e nella psicosi”, pp.141-143, in: O.S.F., vol.X, Boringhieri, Torino, 1978. back
13 Q. Zangrilli: “Il Figliol Prodigo”, in “Osservatorio di Psicoanalisi applicata”, Scienza&Psicoanalisi, 2002. back
14 G.Ravasi, op.cit., pp. 210-216. back
15 G.Ravasi, op.cit., p. 217. back

     
 

 
 
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