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Pinguini e bambini
29 maggio 2001
Qualche mese fa rimasi
notevolmente colpito dalla visione di un filmato televisivo che
documentava lenorme sforzo organizzativo, finanziario e
di risorse umane compiuto per salvare decine di migliaia di pinguini
minacciati dallennesima catastrofe ambientale causata dallaffondamento
della petroliera di turno (prima o poi finiremo annegati nel petrolio!).
Migliaia di volontari ambientalisti spendevano le loro risorse
umane, finanziarie e di tempo per salvare, lavorando fino allo
stremo, questi simpatici uccelli marini.
E certamente pleonastico sottolineare che anche io, come
tanti, amo gli animali: convivo, insieme alla mia famiglia, con
due simpatici gatti, Elvis e Pepe, con cui ho un intenso rapporto
affettivo.
Ed apprezzo profondamente gli sforzi disinteressati compiuti da
quelle persone generose. Il fatto è che, in coda allo stesso
telegiornale, quasi con distrazione, veniva proposto un filmato
in cui si vedevano migliaia di bambini africani ammassati in un
campo profughi morire lentamente di fame e di sete: lì
nessuna presenza massiccia di volontari. A
parte le organizzazioni internazionali con il loro staff e pochi
volontari religiosi e civili, centinaia di migliaia, probabilmente
milioni di bambini ed adulti della specie umana, vengono lasciati
morire ogni anno nellindifferenza degli altri individui
della stessa specie.
Qualcosa non va, mi sono detto; ed ho cercato di capire.
Ho constatato che, per prima cosa, un requisito necessario per
compiere un gesto damore è lo stabilirsi di un processo
di identificazione (è difficile provare pietà e
compassione per un blocco di granito che viene percosso fino alla
distruzione giacché è ben difficile identificarsi
con esso; e mentre la stragrande maggioranza di noi non soffre
granché nelluccidere unape o una zanzara che
ci molestano, proveremmo delle grandi difficoltà ad uccidere
un cane, un gatto, per non parlare di uno scimpanzé).
Mi è venuta allora in soccorso la lettura di un bellissimo
articolo (che spero presto di poter rendere disponibile sul web
per i navigatori di Scienza e Psicoanalisi) di Nicola Peluffo
dal titolo Straniero o autoctono?.
In quella sede il prof. Peluffo si poneva un interrogativo simile
al mio chiedendosi per quale ragione un essere umano
dovrebbe sentire fratello un delfino, al punto da non mangiare
il tonno in scatola per timore che contenga carne di delfino,
e nel contempo non occuparsi minimamente dei milioni di bambini
umani che vengono quotidianamente sterminati tramite le pratiche
abortive volontarie e le di cui carni non si conosce il destino?
Non certo perché il delfino è un mammifero; lo sono
anche le mucche, i conigli, le pecore, etc.
E probabile che il delfino, fantasmaticamente, dovrei dire
ONIRICAMENTE per molte persone sia meno estraneo, meno Straniero,
del proprio bambino, che contiene una parte del proprio patrimonio
genetico.
Con unespressione triviale direi alla faccia
della biologia e della genetica, la psiche traccia strade paradossali
che ci fanno chiudere la porta, non dico allimmigrato ma
persino ad un parente fastidioso.
Peluffo suggerisce che i criteri di fratellanza e
di diversità siano notevolmente influenzati
dai processi di identificazione e di proiezione.
Solo questo può spiegare, aggiungo io, come un uomo di
pelle chiara che vive nelloccidente industrializzato si
identifichi più facilmente ad un pinguino che non ad un
individuo della sua stessa specie, ma di pelle scura, che parla
unaltra lingua.
Dobbiamo dunque trovare delle somiglianze significative tra quello
che siamo, o che siamo stati, ed un pinguino. Se ci riflettiamo
attentamente non dovremmo avere grosse difficoltà a constatare
come ognuno di noi sia stato un pinguino: un goffo fagotto con
arti appena accennati che vive in un ambiente acquatico (lutero),
sovente esposto a catastrofi ambientali (ben più frequenti
di quanto si pensi! le gravidanze che vengono portate a termine
sono la minoranza rispetto a quelle che vengono interrotte sia
per cause naturali che traumatiche).
I traumatismi uterini lasciano una traccia ben precisa nella psiche
in formazione. A tali aumenti di tensione il feto risponde con
gli unici mezzi a sua disposizione: muovendosi cercando di allontanarsi
dallo stimolo traumatico.
Nondimeno, il surplus tensionale che non sarà stato possibile
smaltire con questa elementare attività di difesa (movimenti
fetali) strutturerà delle tracce di memoria. Superata lepopea
uterina, il bambino progressivamente produrrà sogni sempre
più strutturati e magari sognerà un pinguino in
difficoltà, morente, che il protagonista onirico sta cercando
di salvare.
Non cè cosa più potente di un desiderio infantile
non realizzato: una potenza tale da spingere un adulto a varcare
loceano per portare soccorso ad un fratello di unaltra
specie in difficoltà nel gelido mare dellAntartide.
© Quirino Zangrilli
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