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Fantasie e perversione
Estratto della Relazione tenuta dall'Autore al XXXVIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicoterapia Medica tenutosi a Brindisi nei giorni 3-4-5 giugno 2005
10 settembre 2005
Per comprendere il ruolo patogeno delle fantasie infantili bisogna rifarsi alla teoria della dimenticanza proposta da Freud che potremmo, utilizzando una terminologia moderna, definire cibernetica. Ho espresso in forma compiuta tale tesi nel mio lavoro “Trauma, memoria e struttura cibernetica della mente” e colà rimando il lettore. Qui vorrei solo ricordare che Freud aveva osservato degli stretti collegamenti tra l'attuale sintomatico e il passato dimenticato ed attraverso questa teoria della non traduzione dei codici aveva cercato una spiegazione del fenomeno.
Il processo, però, è ulteriormente complicato dal fatto che l’essere umano, nel momento in cui è già capace di fantasticare, non ha ancora affinato un efficace meccanismo di discrimine tra ciò che produce soggettivamente e ciò che percepisce dal mondo esterno: è la cosiddetta epoca dell’onnipotenza del pensiero. Nel momento in cui un Io dotato dell’onnipotenza narcisistica, dunque ancora fuso con l’es, crea le sue fantasie, queste diventano parte della storia vissuta del soggetto, con la stessa intensità e concretezza degli avvenimenti reali.
Non solo. Bisogna considerare e meditare su questa bellissima frase di Otto Fenichel, posta a mò di notula nel suo splendido “Trattato di Psicoanalisi” (The psychoanalytic theory of neurosis, W.W. Norton & Co., New-York): “La separazione dell’Io dal mondo esterno non è improvvisa, ma è un processo graduale. E’, naturalmente, anche un processo eterogeneo, poiché avvengono incontri con la realtà e con il proprio corpo, atti a formare l’Io, e in rapporto con molteplici necessità. L’Io ulteriore, per questa ragione, ha molti ‘nuclei’. Un Io definitivo è formato da una integrazione sintetica di questi nuclei e in certi stadii di regressione dell’Io è possibile osservare come questo si sfaldi nei suoi nuclei originari”.
Il ruolo patogeno dirompente delle fantasie infantili possiamo infatti ben vederlo nei casi di personalità multiple caratteristica della sindrome dissociativa. Secondo il mio parere queste forme sono residuati della normale attività fantastica del bambino (che incessantemente crea sue nuove identità) innestati in soggetti dotati di un io non sufficientemente strutturato in cui predominano massicci fenomeni di diniego e scissione.
I personaggi fantasiosi che popolano i giochi dei bambini, mentre nei soggetti normali, dotati di un efficiente esame di realtà, si limitano a popolare il gioco ed il sogno, nei soggetti border-line o psicotici debordano nella vita reale e acquisiscono corporeità.
Ascoltiamo il materiale di una giovane donna portatrice di una sindrome psicotica con imponenti fenomeni di scissione e personalità multiple.
“Ci sono dei momenti in cui io ho la sensazione di avere dentro un’altra persona che mi spinge a fare delle cose, che mi mette delle parole in bocca. Sento una voce che mi viene da sinistra, come ci fosse un’altra persona che mi sta parlando in un orecchio. Questa voce cosa è? Devo ascoltarla? Dentro di me c’è un’altra persona. E non so come comportarmi. E’ normale che io senta questa voce? Mi viene da dire che non è altro che la mia stessa voce, ma è come avesse un suo pensiero, un suo modo di pensare. Io da bambina facevo finta di essere tante me stessa, poi quella bella è diventata grande, si è sposata, ed ha fatto una figlia che sembrava una stella. Ho una figlia nella mia testa. “Papà io ho fatto una figlia che si chiama come me e mi dice di dirti le cose”. Io mi sento male, mi fa male la testa, io ho dentro un’altra me stessa che me la sono mangiata!” E quando è nata la mia vera figlia inconsciamente ho creduto che fosse la figlia della fantasia: mi era nata la fantasia! Io questi personaggi che ho creato me li porto dietro da sempre! Questa fantasia mi è cresciuta, me la sono sempre tenuta dentro. Da bambina avevo bisogno di compagnia e parlavo in continuazione con la mia fantasia. Poi l’altra me stessa è morta e mi ha tanto addolorato. Avevo detto a papà che era morta ma aveva una figlia ed io me la dovevo tenere con me! Poi dicono che ti vengono le allucinazioni! Solo nel momento in cui si ricordano le fantasie si possono riconoscere come tali. Poi li ho voluti tutti morti, il desiderio di vederli tutti morti perché nessuno credeva a quello che io dicevo. Alla fine facevo finta di essere morta e dicevo a mia madre: “Con i morti non ci si parla!” In realtà era il mio desiderio di morire, perché nessuno mi credeva. Fantasie su fantasie che poi ho ucciso: “Tu sei morta, a te ti sparo, a te ti do la pasticca col veleno!”
Tutti mi lasciavano sola, perché quel gioco non piaceva a nessuno.
Ora questa voce mi da fastidio e mi fa innervosire. Perché non so se metterci un freno. Non è che io ho creduto di essere spaccata proprio da questa voce? Adesso mi fa paura la mia stessa malattia.”
Le fantasie di desiderio vanno a realizzare in modo onnipotente desideri incompatibili o colmare frustrazioni reali intollerabili.
Una bambina con una enorme solitudine interna, accentuata da un isolamento all’interno dell’ambiente familiare, può popolare la sua vita di cloni di se stessa. Ovviamente c’è anche in ballo l’attaccamento all’Io ideale e, di conseguenza, alla tutela del proprio narcisismo.
La potenza delle fantasie infantili possiamo anche evincerla da possibili residui di attività fantastiche infantili o adolescenziali in soggetti assolutamente normali: un professionista affermato impegnò un lungo e minuzioso lavoro di scandaglio sul suo materiale vitale per potersi finalmente rendere conto che la convinzione di essere proprietario di una meravigliosa moto che aveva rinchiuso in un garage, di cui purtroppo a suo dire aveva perduto la precisa ubicazione, in realtà corrispondeva ad una potentissima fantasia di desiderio. La cosa potrebbe sembrare inverosimile ma si comprenderà meglio considerando che il desiderio conscio adolescenziale di possedere una moto come i coetanei, in realtà fungeva da ricordo di copertura di un desiderio molto più arcaio di salire sulla moto del nonno materno, come faceva il fratello più grande. Tale sogno era, a sua volta, rappresentazione privilegiata del desiderio di far parte integrante del ramo materno da cui il soggetto si era sempre sentito escluso.
Ripercorrendo gli studi di Freud e degli autori classici sulle perversioni possiamo estrapolare delle definizioni molto efficaci che hanno ancora un alto valore operativo:
1 - Nelle perversioni la sessualità è sostituita da una componente della sessualità infantile.
2 - I perversi hanno subito uno scacco del normale sviluppo psico-affettivo. Il fatto che le perversioni spesso si sviluppino in reazione a disillusioni sessuali, conferma il ruolo della regressione. Nelle sue Lezioni Introduttive Freud applicava una semplice formula: le persone che reagiscono alle disillusioni sessuali con una regressione verso la sessualità infantile sono perverse, le persone che si servono di altre difese sono nevrotiche.
Come ricorda Daniela Marenco nel suo saggio “Sessualità ed agito sessuale” pubblicato su questa stessa Rivista, “P. Blos, in un articolo del 1957, parlando di ‘delinquenza femminile’ introduce il termine di ‘acting-out sessuale’ indicando con ciò una sessualità agita con vari partner senza alcuna vera connotazione di carattere affettivo. In un altro scritto definisce l'acting-out un regolatore della tensione, questo meccanismo protegge l'organismo dall'angoscia intrapsichica spostando il conflitto tra l'Io e il mondo esterno. La tensione conflittuale non viene elaborata psichicamente e tradotta in termini simbolici ma scaricata coattivamente con l'azione. In questo senso l'acting-out è una forma di negazione tramite l'azione.” 1
Possiamo ben dire che il perverso grave è in fondo un soggetto border-line con tratti narcisistici di personalità, fermo ad un mondo di oggetti parziali, estroflessioni del proprio io megalomanico.
Nel perverso manca sostanzialmente il rapporto oggettuale, la percezione dell’altro come persona ed altro da sé.
L'acting-out perverso in fondo realizza un uso autoerotico del mondo esterno, che è sempre disponibile per momentanee ed immediate gratificazioni.
Il perverso si interessa al mondo esterno solo come oggetto parziale per alleviare la tensione: il partner perde ogni individualità, e deve essere posseduto per mantenere l'illusione dell'onnipotenza narcisistica.
Spesso ritroviamo nella storia infantile dei perversi situazioni di assoluto isolamento affettivo e, non di rado, lo stesso entourage familiare è costituito da perversi adulti che, con varie giustificazioni sociali, intrattengono con il bambino intimi contatti che non arrivano all’esercizio riconosciuto della sessualità, ma producono un continuo stato di frustrante eccitamento inevaso. Il surplus tensionale alimenta la produzione di fantasie sempre più complesse che spesso sono alla base di esplosioni di deliri erotomaniaci in età adulta. Si raccomanderà sempre una paziente prudenza nell’ascolto di dettagliati resoconti di stupri infantili o di atti grave di seduzione: se una base reale, soprattutto al livello del desiderio inconscio mobilizzato, è sempre ravvisabile, non di rado si assiste dopo un numero sufficiente di sedute, ad un ridimensionamento sostanziale di tali “ricordi”.
Sempre D. Marenco ricorda che quando Freud parla di adolescenza come periodo di ritorno del rimosso e ricapitolazione dell'Edipo e definisce compito del travaglio adolescenziale la definitiva rinuncia alla sessualità infantile con la sottomissione delle pulsioni libidiche parziali al primato genitale sottende anche la costruzione e stabilizzazione di un diverso modo di relazionarsi all'oggetto libidico ed al proprio corpo, nonché in generale alla realtà esterna.2
La rinuncia al polimorfismo sessuale infantile ed alle fantasie inconsce ad esso connesse, comporta il riconoscimento del proprio corpo e dei suoi confini assieme al riconoscimento della complementarietà dei sessi, dunque un ridimensionamento dei vissuti di onnipotenza: per non morire abbiamo bisogno di un oggetto che ci consenta di eternarci
Le profonde modificazioni che avvengono in adolescenza dovrebbero condurre in primo luogo ad una modificazione dei processi di percezione e ricerca dell'oggetto: da un oggetto scelto in base a gratificazioni narcisistiche si passa alla percezione di un oggetto diverso da sé che si riconosce non controllabile in modo onnipotente.
Solo un affinamento dell'esame di realtà e dalla possibilità di discriminare il reale dalle fantasie e dai desideri, presupposto imprescindibile per la percezione dell'oggetto reale esterno, può permettere tale maturazione.
Ascoltiamo, per finire, il materiale di un giovane donna portatrice di una struttura narcisistica semi-autistica che dopo un lungo lavoro micropsicoanalitico riesce a frantumare il suo guscio ed a percepire la corporeità degli oggetti;
“All’improvviso ho capito una cosa: che gli altri sono diversi da me, non possono essere come me [Piange scioccata!] Ecco perché non accettavo niente, era impossibile vivere, niente è uguale a te, è tutto diverso! Oddio che onnipotenza! In un attimo ho pensato che tutto quello che mi stava intorno fosse generato da me! Veramente io mi sentivo come un Dio! Di colpo mi sento incanalata in un percorso, che sarà il mio percorso, ed è una cosa piccolissima, così limitata! Sento come se avessi finalmente preso il mio posto. Mi viene da ridere, perché finalmente comincerò a fare cose terrene. Mi sento scesa su questo pianeta! E’ bellissimo! [Piange e ride] Sto finalmente qua! Mi sono sentita come assemblarmi di colpo e per la prima volta sono scesa sulla terra!”
La psicoanalisi fa cadere gli angeli e consente a strutture disincarnate di occupare il posto nel mondo che il destino ha loro assegnato.
Written by: Quirino
Zangrilli © Copyright
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Note:
1 Daniela Marenco, Sessualità ed agito sessuale, Scienza e Psicoanalisi, 2005.
2 Daniela Marenco, Sessualità ed agito sessuale, Scienza e Psicoanalisi, 2005.
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