Nella storia del movimento psicoanalitico
probabilmente nessun concetto ha subito una evoluzione così complessa
e profonda come quello di transfert. Allinizio il transfert è
per Freud soltanto una forma di spostamento dellaffetto da una
rappresentazione mentale ad unaltra, e la preferenza per lo schermo
costituito dallanalista è dovuta al fatto che esso costituisce
una specie di resto diurno sempre a disposizione del soggetto
e che questo tipo di trasferimento favorisce la resistenza in quanto
lesplicitare il desiderio rimosso è reso più difficile
se deve essere fatto allinteressato.
Come si vede, si concepisce il transfert essenzialmente come resistenza
tendente a nascondere la vera natura delle fantasie infantili proiettate
sullanalista (S.Freud,Per la psicoterapia dellisteria,1985).
Il successivo sviluppo del pensiero freudiano si allontanerà,
per approfondirsi, da questa prima formulazione. Passando per le teorizzazioni
raccolte ne La dinamica del transfert del 1912, in cui si
parlerà per la prima volta esplicitamente di investimento libidico
di prototipi infantili, clichés indeformabili
esistenti nel soggetto, si perviene alla concezione, essenzialmente
energetica, esplicitata in Al di là del principio del piacere
(1920) in cui Freud riconduce il transfert a quella tendenza generale
della materia vivente a ricostituire per ripetizione gli eventi traumatici
nel fine onnipotente di accedere alla stasi pretraumatica.
Ho riportato succintamente tale sviluppo poiché molti psicoanalisti
mostrano nelle loro teorizzazioni e nei loro rendiconti clinici di essersi
appiattiti sulla iniziale formulazione freudiana, probabilmente perché
più consona ad una visione onnipotente dellimpresa psicoanalitica.Ritengo
che affermazioni, piuttosto frequenti, come attivare, creare,
manipolare il transfert siano la cartina al tornasole di
tale visione riduzionistica che porta ad una pericolosa sottovalutazione
del fenomeno.
Se solo si pensa alle difficoltà che normalmente si incontrano
per ricondurre allosservazione analitica i nuclei infantili dislocati
nel presente e attualizzati, ad esempio, in un rapporto amoroso con
il partner, si potrebbe facilmente rendersi conto che nulla, di quanto
già non sia in nuce tra lanalista e lanalizzato,
si crea nel rapporto analitico. E ciò che si crea, per lo meno
finché la dinamica transferale non sia stata portata alla coscienza
e sufficientemente metabolizzata, è totalmente condizionato dalle
immagini filogenetiche racchiuse nel corredo ideico dei due soggetti
in interazione.
Come esplicita con chiarezza N.Peluffo in Immagine e fotografia
(1984) la relazione con loggetto è sempre interna
e sotto la pressione dello stimolo esterno una delle sfaccettature (
affetto e rappresentazione ) di tale relazione viene proiettata allesterno
e dà lintonazione affettiva alla situazione dei rapporti
di vita quotidiana ( vedi ciò che succede nel transfert ).
Cosa altro avrebbe potuto intendere Freud quando, sempre ne La
dinamica del transfert afferma:quando tutto il materiale
composito nellambito del complesso è idoneo ad essere trasferito
sulla figura del medico, tale transfert ha luogo, se non che si
è raggiunta, per intervento del caso o del tentativo, una omogeneità
tra le immagini attivate nella psiche dei due soggetti in relazione?
Alla luce di queste considerazioni si comprende perché Silvio
Fanti insista nel riaffermare lidea che tutto ciò
che indichiamo con il termine di transfert è inconscio
(Comunicazione personale, 1987), cioè per sottolineare che noi
siamo vissuti dalle dinamiche transferali delle immagini psichiche e
la possibile elaborazione cosciente di tale dinamica può essere
fatta solo a posteriori.
Daltra parte già Jung aveva compendiato lessenziale
di questi aspetti ne La psicologia del transfert (1946):
Nellatto in cui il paziente trasferisce sul medico, mediante
lazione induttiva che si sprigiona sempre, in misura maggiore
o minore, dalle proiezioni, un contenuto attivato dallinconscio,
viene costellato anche nel medico il materiale inconscio corrispondente.
In tale modo medico e paziente si trovano in un rapporto fondato su
una comune inconscietà.
Ora lo scopo del lavoro psicoanalitico e particolarmente di quello micropsicoanalitico,
e la modalità stessa con cui di fatto si realizza, è quello
della osservazione delle dinamiche ripetitive fino alla messa a nudo,
e possibilmente alla abreazione energetica, del nucleo originato dal
trauma, che determina la forma psicomateriale che tende a riprodursi
nel presente con modalità che sono del tutto identiche a quelle
che aveva nel momento in cui laccumulo energetico ha avuto luogo
(N.Peluffo, La situazione, Bollettino n° 5 ).
Finché il lavoro di revisione del rimosso viene condotto su vicende
ontogenetiche relativamente recenti (inerenti agli stadi fallico ed
anale) di solito non sono necessari particolari accorgimenti; anche
se, ad esempio, per riattivazione di situazioni traumatiche proprie
dello stadio fallico si possono determinare delle spinte allautocastrazione
punitiva talmente potenti da poter determinare incidenti autolesionistici
più o meno seri. (Una volta per tutte converrà ricordare
che non sempre è possibile, soprattutto in casi particolarmente
gravi, vincolare il paziente al ricordo e allelaborazione, piuttosto
che allagire!).
Quando, invece, si riattivino dinamiche che competono lo stadio orale
e quello iniziatico, la vigilanza del micropsicoanalista deve essere
portata al massimo livello in quanto, come ha dichiaratamente mostrato
N.Peluffo ne La situazione, nel momento in cui tali dinamiche
fusionali si riattivano possono innescare dei meccanismi difensivi disastrosi
che possono mettere persino in pericolo la vita del soggetto.
Vorrei ora ampliare il discorso per entrare in una prospettiva filogenetica;
per farlo vorrei descrivere quella che ritengo una vera e propria stigmate
sintomatica che ho costantemente ritrovato nei pazienti psicotici o
border-line da me trattati. Quando lanalisi si approfondisce fino
alla messa a nudo dei nuclei conflittuali ontogenetici ho riscontrato
nel materiale, in forma di sogno o nel corso del lavoro associativo,
lapparizione del fenomeno seguente: il paziente inizia con il
dire che sta per verbalizzare lessenza dellincubo della
sua esistenza e descrive lavvicinarsi di un mostro, un diavolo
che si tenta in tutti i modi di tenere a distanza. E come
se ruotassimo sui cardini di una porta: io cerco di mantenermi a distanza
ma viene il momento in cui lui si avvicina, avvicina sempre di più,
ed io sono presa da un orrore senza fine e dalla voglia di uccidere,
uccidere per liberarmi, uccidermi per liberarmi. Se un giorno riuscissi
a spezzare questo cerchio sarei guarita per sempre.(giovane donna
portatrice di una sindrome grave a sfondo paranoico). In questa sede
non mi interessa interpretare il materiale fornito quanto sottolineare
che sono sempre stato colpito da questa dinamica circolare, da questo
elementare tentativo di fuga. Ribadisco che, sistematicamente, il fenomeno
viene descritto in questi termini.
Associativamente il fenomeno mi richiama il Riflesso di Moro che ho
visto manifestarsi alla nascita tante volte nei neonati che ho osservato
nel corso della mia esperienza medica: in risposta ad uno stimolo che
può essere un colpo portato sul piano dappoggio su cui
si trova il neonato, questi ha un sobbalzo, abduce le braccia allargando
le dita a ventaglio, poi le flette e adduce con caratteristico atto
di abbracciamento, descrivendo un arco in aria. E la risposta
di Moro, un residuo primitivo di qualcosa che appartiene
al nostro lontano passato, un riflesso che non ha oggi alcuna
utilità e che, in capo a poche settimane, sparirà nelle
nebbie confuse delle nostre origini biologiche (R. Restak, Il
cervello del bambino, 1986).
Ritengo che il Riflesso di Moro sia lespresssione di un riflesso
avversativo di difesa che esprime un duplice tentativo: allontanarsi
dallo stimolo e, contemporaneamente, chiudersi nella propria sfera microcosmica;
lequivalente somatico di quel desiderio inconscio di ritorno
ad una forma anulare che esaurisca in sé il cosmo che N.
Peluffo mette in luce in Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione
(1976).
Ma torniamo alla dinamica psichica descritta che denomino movimento
ciclico dellimmagine persecutoria. In sostanza si tratta
della ripresentazione dellimmagine del trauma che, si badi bene,
può essere attivata da qualsiasi situazione transferale che,
eludendo le fragili difese dellIo smembrato dello psicotico, determini
una penetrazione traumatica delloggetto (lanalista, il partner,
il gruppo, etc.) nelluniverso fusionale materno-fetale cui lo
psicotico è fissato.
Da questo punto di vista, ad esempio, se è pur vero che ad un
certo livello della strutturazione psicosessuale la posizione paranoica
risulta essere una difesa contro lemergenza di impulsi omosessuali
negati, a livello del terreno psichico essa è il precipitato
filogenetico del fallimento di tentativi transgenerazionali di permettere
lingresso dellAltro nel rapporto fusionale. A questo punto
converrà tenere presente che il transfert, oltre a riattivare
le immagini infantili, uterine e filogenetiche, riattiva i medesimi
tentativi di difesa che furono messi in atto in origine. Si può
ipotizzare (e a volte riscontrare) che nel patrimonio genealogico di
questi soggetti si siano effettivamente determinate delle situazioni
traumatiche che, potendo determinare la distruzione dellindividuo,
evocassero delle risposte difensive che contemplavano la necessità
di uccidere. Una risposta che, a livello delles, per essere chiari,
si riscontra nella mente del soggetto normale ogni qual volta lImmagine
filogenetica si manifesti con la forza spaventosa del suo silenzio.
Ovviamente i meccanismi difensivi dellio modulano la risposta
e la elaborano, con il prezzo di un irrigidimento degli schermi iconici
e della struttura caratteriale. Allo psicotico, che non dispone di queste
risposte superiori, non rimane che il passaggio allatto
o, più spesso, la fuga, il ritiro narcisistico della libido dalla
realtà e il diniego. Sembra quindi che nello psicotico lequivalente
psichico del riflesso di Moro non scompaia per lasciare il passo a processi
difensivi meno drammatici.
Se la micropsicoanalisi del nevrotico ha tra i suoi scopi fondamentali
quello di rendere più plastiche le strutture difensive che entrano
in attività nella relazione con lImmagine, il lavoro
di addomesticamento della statua, di cui parla N. Peluffo in Immagine
e fotografia, il lavoro micropsicoanalitico con psicotici ha come
primo punto di approdo di rendere possibile questo contatto con limmagine
senza che esso determini dei cataclismatici riflessi filogenetici che
la situazione ambientale non tollera più: in altri termini se
il nevrotico deve arrivare a familiarizzarsi con la Statua, lo psicotico
dovrà prima sopportarne la presenza.
Ora, la strada perché questo avvenga, passa, nel caso dello psicotico
più che del nevrotico, nel transfert. Cioè il paziente
ha il bisogno di rivivere la situazione originaria, inserendo, come
vissuti, gli elementi di novità. Freud, con la consueta efficacia
scrive: ...in ultima analisi, è impossibile distruggere
chicchessia in absentia o in effige, e Le sorti di ogni
conflitto andranno risolte nella sfera del transfert.
Per meglio illustrare questa dinamica mi servirò della breve
esposizione di un caso clinico. Si tratta di un soggetto affetto da
depressione anaclitica secondo R. Spitz, susseguente allallontanamento
coatto e poi alla scomparsa della madre avvenuta in tenera età,
difesa parzialmente da una posizione psicotica di diniego del trauma
e da un continuo, fallimentare e doloroso tentativo di stabilire un
rapporto damore con una giovane donna che rappresentava a tratti
per il paziente la reincarnazione della madre scomparsa. In una fase
avanzata del trattamento il paziente intraprese più volte il
tentativo di confrontarsi con la perdita negata, abreagirne langoscia
legata al contatto con il vuoto e trovare delle forme di esistenza possibili
nella nuova situazione in cui loggetto originario non era più
presente, tentativi che culminarono con la visita dei luoghi dellinfanzia
che incluse anche la visita del cimitero dove la madre era sepolta.
Lausilio dellio dellanalista, insieme al rafforzamento
dei processi di elaborazione che il giovane aveva conseguito nel lungo
lavoro analitico condotto fino a quel momento, determinò per
la prima volta la presa di coscienza dellaccaduto ed innescò
una elaborazione, certamente lacerante e dolorosa, ma vitale, del lutto.
Quello che è interessante è che, nellintervallo
tra una seduta e laltra di questa tranche, vidi il giovane paziente
presentarsi nel mio studio in preda allagitazione più profonda
perché, avendo incontrato di nuovo lamata, laveva
vista come uno zoombie, un morto vivente che lo atterriva.
La fase di elaborazione della presa di coscienza della morte della madre
aveva avuto il bisogno imperioso di trasferirsi nel presente per consumarsi
come evento vissuto e solo il lavoro di abreazione dellaffetto
dislocato sulla situazione persecutoria attuale, ebbe la possibilità
di esaurire linvestimento energetico sullimmagine materna
e favorirne il distacco. E questo un fenomeno che, se pur con
intensità proporzionalmente ridotta, si verifica anche nei nevrotici
e nei soggetti normali. Si creano , cioè, delle vere e proprie
sacche esistenziali in cui laccumulo energetico utero-infantile
si disloca ed è solo mettendo in atto laccortezza tecnica
di vincolare le associazioni del paziente sulla situazione attuale,
riducendo quel movimento sinusoidale tra presente e passato, che si
può riuscire ad enucleare laffetto incistato nella situazione
transferale.
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