Il pianto: ipotesi filogenetica
9 marzo 2003
Nel precedente
lavoro sullargomento, pubblicato su questa stessa
rubrica, scrivevo del pianto come modalità espressiva
precocissima delluomo.
Ne consideravo una funzione fisiologica, quella di lavaggio
della cornea attraverso lincremento della produzione del
liquido lacrimale, e una psicofisiologica ovvero di difesa somatica
che assume un incarico psichico volto allabbassamento
o eliminazione di una tensione che il soggetto avverte come
dolore-dispiacere.
Tali considerazioni sembrano trovare conforto negli studi neurofisiologici
condotti presso il Centro Medico di San Paul-Ramsey dell'Università
del Minnesota. In una sorta di laboratorio del pianto
sono state raccolte, non senza difficoltà, le lacrime
dei piangenti volontari: per avere un litro di campione, infatti,
occorrono circa 66.000 lacrime. Lo studio della struttura molecolare
delle lacrime, eseguita con laiuto della gascromatografia
fluida ad alta pressione, ha evidenziato la presenza di prolattina,
ACTH, lisozima ed enkefalina. Secondo il dott. William H. Frey
la prolattina spiegherebbe perché le donne piangono quattro
volte più degli uomini.
Lenkefalina, poi, oppioide endogeno e potente anestetico
liberato dallipofisi in presenza di dolore acuto, renderebbe
ragione del fatto che piangere diminuisce la tristezza
e lira del 40%.
È interessante notare che queste sostanze sono presenti
solo nelle lacrime delle persone che piangono per autentiche
emozioni mentre in quelle provocate da sostanze irritanti non
si trovano né ormoni né enzimi, né peptidi.
Numerosi studi affrontano, poi, le analogie fra due forme apparentemente
contrastanti del comportamento umano: il riso e il pianto, entrambe
accompagnate dallimplementazione di enkefalina.
Il sollievo che si prova piangendo o ridendo è dunque
in funzione dello stesso neuropeptide.
Trova qui conferma in dati di biologia molecolare laffermazione
che il pianto cerca di pulire lanima eliminando psicobiologicamente
un eccesso di tensione e che, in questo senso, esso ha una funzione
limite tra il soma e la psiche.
Vengo ora a un altro punto dellarticolo precedente: il
pianto si può verificare in situazioni giudicate irrilevanti
dal punto di vista razionale; oppure il pianto si presenta in
qualsiasi momento senza stimolazioni specifiche, indipendente
e inarrestabile. Esso proviene, cioè, direttamente dallinconscio
ed emerge come un pensiero ossessivo che oltrepassa le barriere
del secondario e irrompe con tutta la forza del processo primario,
inarrestabile.
In questo caso esso è lunico segnale del rimosso,
un rimosso carico di tensione e sofferenza, dunque un rimosso
traumatico.
Ma in alcuni casi è possibile individuare, oltre il rimosso,
elementi che si discostano dal materiale ontogenetico pur senza
prescindere da questo. E in tali constatazioni cliniche
che si ritrovano le seguenti affermazioni di Freud:
"Gli affetti sarebbero la riproduzione di eventi antichi
di vitale importanza, forse preindividuali", comparabili
ad "attacchi isterici universali, tipici e innati.
Più tardi in Mosè e il monoteismo parlerà
di trasmissione non culturale di vissuti che rappresentano lessenza
di un popolo.
Nellipotesi di un pianto filogenetico utilizzerò
due esempi clinici.
I° esempio
Un giovane analizzato sta affrontando
una serie di lutti drammatici che hanno colpito la sua famiglia
e che si inscrivono in una più generale tendenza a mantenere
le cose segrete. Da fatti banali a vere tragedie, la tendenza
al segreto caratterizza il gruppo e si rinforza dal ramo materno
a quello paterno alimentando il senso di colpa in più
componenti.
Alcune immagini sullolocausto e lorrore dei campi
scatena nel giovane unintensa emozione che lo costringe
in lacrime a spiegare agli sconcertati amici presenti che si
sente colpevole per tutti quei morti.
Il soggetto aveva appreso che un progenitore di ramo materno,
durante lultimo conflitto mondiale, si era trovato coinvolto
nello sbandamento dellesercito dopo larmistizio
dell8 settembre; caduto prigioniero dei tedeschi e deportato
nei campi in Germania, ne era uscito vivo solo perché
si era schierato dalla parte del persecutore.
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Piazza Venezia
1920: celebrazioni per la Vittoria |
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Al possibile rimorso dellanziano,
nel giovane corrisponde il pensiero di essere al mondo
grazie alla morte di altri esseri e nessun ragionamento
impedisce lespressione della sofferenza ancora vincolata
ai conflitti della sua ontogenesi, ma già evidentemente
riconducibile ad eventi che non gli sono appartenuti direttamente.
Il materiale ontogenetico riguarda una serie associativa a fissazione
sadico-orale nella quale il giovane sinterroga sul peso
della coscienza, sullessere in colpa per tutto.
Anche a questo punto, il pianto fluisce inarrestabile, per ore,
assieme ad una ricca produzione associativa che tratterà
il tema della colpa ontogenetica primaria.
Il Prof. N. Peluffo, in un articolo di Scienza e Psicoanalisi
di marzo 2002 dal titolo
Spermatozoo,
riferendosi al momento del concepimento dice:
In questo contesto è, probabilmente, proprio la
morte dei 299.999.999 di fratelli spermatozoi, che forma la
prima traccia dellesistenza di se stesso come sopravvissuto
con conseguenti sensi di colpa.
Questo materiale sintetizza efficacemente la presenza, l'intrecciarsi
e il rafforzarsi di contenuti attinenti il materiale filogenetico
con quelli ontogenetici, portatori, questi ultimi, dell'impatto
emotivamente più macroscopico (il pianto in seduta).
In questo caso l'accesso alla profondità del materiale
ontogenetico è stato possibile proprio per l'aggancio
con lo spunto filogenetico e l'apertura all'abreazione attraverso
il pianto.
II° esempio
Ascoltando un telegiornale del
mattino , il soggetto riceve per caso una notizia storica riguardante
la battaglia di Verdun, combattuta da febbraio a dicembre 1916
fra i tedeschi e i francesi e costata oltre 700.000 uomini.
700.000 morti senza contare i civili: interi villaggi scomparsi,
rasi dai 21.000.000 di granate di tutti i calibri scaricate
nella zona di Verdun. In realtà non si conosce il numero
preciso delle vittime e qualche autore parla addirittura di
un milione di morti.
Il servizio è corredato di rare immagini cinematografiche
di esplosioni , di fanti che si divincolano nel fango e nel
filo spinato, fra i morti e sotto le bombe lanciate da quei
primi, rudimentali aerei. Il commentatore fornisce dettagli
sugli schieramenti, sui rinforzi che furono mandati al massacro
in lente colonne esposte ai bombardamenti, sullinferno
che si concluse per esaurimento delle forze in campo, senza
vincitori né vinti e che lasciò il campo di Verdun
letteralmente impastato delle carni dei soldati.
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1917. Sui
sentieri di Passo Rolle nel ricordo di Carlo Giannuzzi,
gravemente ferito.
Dipinto originale per gentile concessione di Ugo Giannuzzi |
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Il pensiero della fine della battaglia
per la fine delle vite umane da impiegare, il pensiero che ogni
famiglia avrà pianto almeno una vittima, determina nel
soggetto una rapida montata di pianto che inizia a sgorgare
impercettibilmente. Egli si accorge che sta lacrimando ed un
barlume di raziocinio gli fa notare lillogicità
del fenomeno , ma si lascia piangere con paziente rassegnazione.
Quel soggetto ha fatto unaccurata analisi personale e
didattica e sa benissimo che quel pianto attinge ad un trauma
filogenetico accuratamente ricostruito nel corso del lavoro
genealogico.
Per maggiore chiarezza preciserò che laccesso al
materiale filogenetico era stato consentito dal lavoro ontogenetico
di elaborazione del lutto di un parente di secondo grado (nonno).
Sebbene il soggetto si sia liberato delle necessità inconsce
e coatte tese alla ricostruzione della condizione pre-traumatica,
che hanno condizionato diverse scelte della sua vita, vede il
pianto emergere ancora.
Procedendo in via associativa egli è in grado di rilevare
che le componenti del richiamo attuale (lo stimolo neutro della
trasmissione televisiva) determinano solo quel breve pianto
che si esaurisce con la considerazione dellirrazionalità
del fenomeno e linizio del lavoro autoanalitico. Nota
anche che le prime lacrime sono emerse alla considerazione che
ogni famiglia avrà avuto un caduto da piangere per quella
guerra, come se lidentificazione in quel dolore permettesse
o necessitasse di piangerne ancora.
Certo lidentificazione è possibile per la presenza
concreta di quel trauma nella filogenesi del soggetto, ma il
pianto sarebbe una risposta troppo specifica al trauma rappresentato
dalla perdita di una persona mai conosciuta e di cui si hanno
scarse notizie storiche; è, però, una risposta
adeguatamente specifica al TRAUMA I° GUERRA MONDIALE
che agisce ancora.
Esso può essere considerato un Trauma Endemico
con rinforzo filogenetico.
Facendo riferimento ancora al precedente
lavoro sullo stesso argomento, ricorderò che avevo
definito pianto endemico quello del Coro delle Piangenti,
una specie di istituto di regolamentazione delle espressioni
di dolore a fronte di lutti individuali estesamente condivisi,
ma non vincolati ad eventi catastrofici che investono migliaia
di ceppi familiari.
Un esempio di pianto endemico è il Planctus Mariae,
espressione del lutto delle madri, che ancora oggi viene ritualmente
ripetuto durante la processione del Venerdì Santo a Peschici
dalle donne che si producono in una nenia, un lamento parlato
e recitato.
E un rituale catartico che definisco aspecifico perché
riconducibile al Trauma Endemico Perdita del Figlio.1
Nellesempio del Trauma Prima Guerra Mondiale
sostengo che la portata endemica della catastrofe della guerra
viene rinforzata dallincidere nella filogenesi di più
ceppi familiari (ogni famiglia ha pianto un morto)
e si esprime a livello individuale come nellesempio riportato.
Il pianto di quel soggetto, dunque, risposta aspecifica a un
trauma endemico che insiste nella filogenesi dellindividuo,
può essere considerato un pianto filogenetico
.
Il Pianto filogenetico è costantemente alimentato dallesigenza
di elaborare il trauma (o il politraumatismo) filogenetico.
Quale importanza può avere lindividuazione di un
tipo di pianto nel lavoro dellanalisi?
Non sottovalutiamo il sollievo determinato dalla consapevolezza
della trans-individualità del dolore (e di questo i rituali
collettivi quali il citato Planctus Marie ne sono testimonianza),
ma anche le conoscenze di biologia molecolare supportano la
funzione salvifica del pianto: la produzione di oppioidi endogeni,
come abbiamo visto, svolge funzione di oblio.
Dunque il pianto è una vera cura.
In psicoanalisi esso è un patrimonio di conoscenza: coglierne
il segnale di un nucleo più profondo può essere
il punto di partenza di unavventura di straordinario interesse,
quello della ricerca genealogica.
Ritengo che i traumi endemici possano avere una portata nefasta
per le generazioni successive quasi più che per quelle
direttamente interessate (a parte i soggetti che ne muoiono).
Intendo dire che si può avere una buona capacità
di ripresa dopo eventi anche catastrofici: unocchiata
alla storia ci permette di rilevare quanto sono più rapidi
e fruttuosi i processi di ricostruzione e di ripresa dopo guerre
o catastrofi naturali. Ci vuole una bel trauma, una bella
devastazione per rimettere le cose a posto dice un mio
paziente in un momento di elaborazione profonda.
Ma la traccia di quegli eventi ha la potenzialità di
agire inconsciamente (per coazione alla ripetizione) nelle generazioni
successive. Potrei ipotizzare che lassoluta non consapevolezza
del fenomeno mette lindividuo in una posizione particolarmente
indifesa: egli è agito da una spinta che non può
collocare nello spazio-tempo e che ha la possibilità
di assumere un polimorfismo particolarmente disorientante.
E dopo tanto tempo, dopo tanto lavoro può ancora capitare
di doverci piangere su un po' (anzi lasciarsi piangere) perché
si lavi quello che si può lavare, visto che abbiamo questa
difesa semplice e arcaica, che i nostri antenati avevano avuto
la geniale intuizione di utilizzare socialmente istituendo i
Cori delle Piangenti.
© Gioia Marzi
Note:
1
Un trauma sventuratamente frequentissimo fino a pochi decenni
fa quando la mortalità infantile era talmente elevata
che nei rituali di lutto dei neonati di alcuni paesi meridionali
non era contemplato labito nero.
BIBLIOGRAFIA:
- Eibl-Eibesfeldt: I fondamenti
delletologia, Adelphi, Milano. 1976
- Freud S.: Inibizione, sintomo, angoscia 1925,
in Opere, vol. 10, Boringhieri, Torino.
- Freud S.: Luomo Mosè e la religione monoteistica:
tre saggi, 1937-38, in - Opere, vol. 11 Boringhieri, Torino.
- Frey W. H.: Crying: The Mystery of Tears, Minnesota:
Winston Press, 1985.
- Luzzatto S.: La battaglia di Verdun, La Stampa,
31 luglio 2002.
- Marzi G.: Il
pianto.
Panza N.: Il
dolore post operatorio.
Peluffo N.: Spermatozoo.
Rauzino T. M.: Il
pianto della Madonna.
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di "Scienza e Psicoanalisi"