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Premessa
Sono stato spinto a scrivere questo contributo dopo aver preso visione del messaggio, inviato da un lettore di Sportello Cancro del Corriere della Sera, ad uno dei Maestri dell’oncologia italiana, il Prof. Veronesi (visionabile in sintesi nel box al pié della pagina). Nella lettera si esprime la convinzione, piuttosto diffusa, non so bene come originatasi, che la psicoanalisi possa guarire il cancro. 1
Essendo il Direttore Editoriale della rivista di psicoanalisi on line in lingua italiana meglio indicizzata sui più importanti motori di ricerca 2 , ed in particolare della Rubrica di Psicosomatica, sento il dovere di cercare di dare un contributo sull’argomento.
Cancro e psiche: tra intervento scientifico e posizione di onnipotenza
18 gennaio 2006
Negli ultimi decenni si è fatto un gran parlare della possibile origine psicosomatica di molte forme morbose e tra queste alcuni autori hanno inserito anche il processo oncologico. In particolare l’osservazione frequente del ripetersi di una determinata tipizzazione psichica, anche dal sottoscritto osservata 3 , faceva ipotizzare ad alcuni ricercatori la possibilità di una notevole influenza dello psichismo nello strutturarsi della malattia. Non solo: alcuni psicoterapeuti hanno addirittura proposto di affrontare la malattia oncologica con trattamenti psicoterapici. Quali possono essere le giustificazioni scientifiche per poter tentare di curare un’alterazione biologica con una metodica psicologica?
Molte scuole psicoanalitiche hanno elaborato modelli che postulano una profonda sinergia corpo-mente, alcune arrivando a teorizzare una genesi del conflitto, e dunque un’origine delle patologie somatopsichiche, ad un livello pre-psichico e pre-somatico, sostanzialmente energetico.
Dirò subito che tale visione dei fenomeni, pur supportata in alcuni casi da un modello teorico di riferimento elegante e coerente, non soddisfa le mie convinzioni profonde.
In primo luogo perché ritengo che l’adesione ad un modello metapsicologico sia un pericolo notevole per la scientificità delle concettualizzazioni.
Vorrei immediatamente precisare: non nego che per menti che le utilizzino con il dovuto distacco e la necessaria prudenza, le ipotesi metapsicologiche possano essere fecondi induttori associativi per l’approfondimento di nuove ipotesi di lavoro, ma bisognerebbe sempre ricordarsi che i modelli sono modelli, cioè strumenti di ragionamento, organizzatori di ipotesi, e non vanno mai confusi con la realtà dei fenomeni. Dagli albori della scienza ad oggi ogni modello interpretativo ha sempre subito profonde revisioni man mano che, specie grazie all’acquisizione di nuovi e più potenti strumenti di indagine, le conoscenze di base si approfondivano.
I lettori che seguono i miei contributi sanno che parte della mia formazione si impernia sull’esperienza clinica derivante dall’esercizio, per venticinque anni, della micropsicoanalisi. Ritengo ancor oggi la tecnica micropsicoanalitica di enorme efficacia terapeutica nella psicopatologia e foriera di ulteriori e più profonde elaborazioni teoriche, che auspico sempre più agganciate a verifiche interdisciplinari, ma negli ultimi anni ho completamente abbandonato l’uso del formalismo micropsicoanalitico denominato dnv-ide (dinamismo neutro del vuoto – istinto di tentativo). Perché l’esistenza di un venire meno delle leggi classiche e l’emergere di una fenomenologia di tipo quantistico a dimensioni microscopiche (traduco in un linguaggio fisico comprensibile ai più quello che Fanti ha definito “Dinamismo Neutro del Vuoto”) è già spiegabile in modo semplice ed esaustivo con la conoscenza dei lineamenti di base della fisica quantistica e non mi sembra il caso di introdurre elementi lessicali non condivisibili, in luogo di concetti che studiosi di varie discipline possono agevolmente comprendere (in tutta la mia vita ho sempre preso le distanze da convinzioni iniziatiche, più o meno manifeste).
Senza considerare che, persone che non abbiano sufficiente solidità culturale, possano essere propense ad attribuire, ad un modello, attualmente ai confini con l’astrazione filosofica, il valore di prova scientificamente convalidata.
È ovvio che tali considerazioni non abbracciano la metapsicologia freudiana giacché le ipotesi che Freud inserì in quella che egli stesso definì metapsicologia (tanto parevano ardite al tempo della formulazione) sono state ampiamente verificate e dimostrate in oltre un secolo di verifiche sperimentali e continuano ad ottenere conferme anche da altre scienze. Potremmo dire con un paradosso che tutta la metapsicologia freudiana è entrata di diritto nella psicologia.
Il termine “metapsicologia” si incontra innanzitutto nelle numerose lettere che Freud indirizzò al collega ed amico Fliess. Venne utilizzato da Freud per definire l’originalità del suo tentativo di edificare una psicologia “...che conduce dietro la coscienza” rispetto alle psicologie precedenti, una psicologia oramai comprovata addirittura da ricerche neuroscientifiche.
Il tema freudiano che maggiormente si situa a cavallo tra psiche e soma, l’argomento di cui ci stiamo occupando, è quello relativo all’etiopatogenesi dell’isteria, un’affezione psichica con manifestazioni somatiche. E’ ovvio che non nego che una sinergia tra psiche e soma esista, ma la mia esperienza clinica mi fa dubitare della possibilità che lesioni organiche (per essere precisi caratterizzate da alterazioni strutturali e non già funzionali delle cellule) possano essere rese reversibili da un trattamento psichico: modifiche del software non riparano i danni hardware. Io sono pienamente soddisfatto da una definizione geniale coniata dal Prof Nicola Peluffo e pubblicata, se non erro, negli anni settanta, di psiche come “rappresentazione dei processi somatici”. L’isteria, come tutti sanno, è un’affezione, per usare un termine un po’ desueto, ma preciso, “sine materia”, cioè caratterizzata dall’assenza di lesioni organiche; essa si manifesta con disturbi funzionali, totalmente regredibili, in modo sostanzialmente definitivo, con il trattamento psicoanalitico. Classica e dirimente sulla sua origine psicogena è l’osservazione che le paralisi isteriche colpiscono frequentemente territori che non corrispondono in modo logico ai territori d’innervazione (uno dei segni semeiologici che ci è utile nella diagnosi differenziale con le paralisi organiche). L’isteria è una recita simbolica di un passato traumatico, una recita non solo inconscia, ma addirittura preconscia: secondo la mia opinione l’isterico sa in una parte del suo psichismo che sta recitando, solo che è in perfetta buonafede, giacché soggiace a processi di scissione che isolano la consapevolezza in isole che vengono sottratte all’integrazione egoica. Nel caso del cancro parliamo di tutt’altra cosa, di un processo eminenetemente organico che si manifesta con sconvolgimenti macroscopici nel soma.
Cosa ha da dire la psicologia sul cancro?
Formulo finalmente la necessaria domanda: “Cosa ha da dire la psicologia, ed una delle sue branche più feconde, la psicoanalisi, a proposito di una patologia come il cancro, cioè di una fenomenologia che si esprime all’interno di strutture organiche sia macroscopiche che microscopiche?”.
Rimasto per migliaia di anni un vero mistero, negli ultimi decenni, grazie allo sviluppo di branche innovative della scienza come la genetica molecolare e la proteomica, sono stati fatti molti passi in avanti nella definizioni dei suoi meccanismi patogenetici.
Schema delle Ipotesi sulla patogenesi del cancro
• Teoria Standard: sostanze cancerogene alterano direttamente le sequenze geniche nel DNA dei geni correlati al cancro. Mutazioni nei geni oncosoppressori fanno diminuire o scomparire le proteine inibitrici della crescita cellulare, che normalmente essi codificano, permettendo alle cellule di sopravvivere e continuare a riprodursi senza limiti. Nello stesso tempo le mutazioni degli oncògeni inducono una iperattività delle oncoproteine che fungono da attivatrici della crescita cellulare. Si verifica di conseguenza un concomitante eccesso di oncoproteine e di carenza di proteine inibitrici che portano alla crescita ed espansione di un clone cellulare senza inibizioni alla crescita fino a che la colonia non invade il tessuto che circonda l’organo in cui ha avuto origine e si dissemina.
• Teoria Modificata: Vari fattori possono inattivare uno o più geni necessari per la sintesi e la riparazione del DNA. Quando la cellula alterata si divide, nel suo genoma vengono introdotte mutazioni casuali che non vengono dunque più riparate e migliaia di alterazioni geniche si accumulano. Come nella teoria standard l’attivazione delle oncoproteine e l’eliminazione delle proteine di oncosoppressione cortocircuita i meccanismi di autodistruzione della cellula, impedendole di ricorrere al suicidio programmato.
• Teoria dell’Instabilità precoce: Qualche fattore inattiva uno o più geni “chiave” necessari per la corretta divisione cellulare. Quando i cromosomi si duplicano si verificano errori di trascrizione: alcune cellule figlie acquisiscono un numero errato di cromosomi, o cromosomi privi di determinati segmenti, o al contrario dotati di segmenti in eccesso. Le aberrazioni peggiorano di generazione in generazione. Col passare del tempo, a causa di tali alterazioni, la quantità di proteine dotate di funzione di oncosoppressione scende al di sotto di una soglia critica e copie extra di oncògeni possono determinare un aumento della concentrazione di oncoproteine fino a livelli pericolosi.
• Teoria dell’aneuploidia: Una anomalia che si verifica durante la divisione cellulare produce cellule figlie aneuploidi (il termine che inizialmente si riferiva specificamente ad un numero anormale di cromosomi, di recente viene utilizzato in una accezione più ampia, comprendendo anche cromosomi con delezioni o aggiunte di frammenti, o cromosomi in cui vi siano alterazioni dell’ordine del codice genetico). Il cromosoma alterato modifica le quantità relative di migliaia di geni ed intere squadre di enzimi che normalmente cooperano per copiare o riparare il DNA smettono di funzionare. La maggior parte delle cellule così alterate muore ma alcune sopravvivono e producono cellule figlie a loro volta aneuploidi, fino a che si afferma uno stipite cellulare aberrante che acquisisce i cosiddetti superpoteri del cancro: perdita dll’inibizione di contatto, inibizione dei meccanismi di autodistruzione cellulare, capacità di indurre la crescita di vasi sanguigni e di invadere altri tessuti. 4
Come si vede in ognuna delle quattro ipotesi si ammette un’alterazione significativa dell’hardware molecolare, che determina un disordine nei meccanismi della divisione cellulare e nei segnali extracellulari ed intracellulari competenti al suo controllo.
Dove può agganciarsi lo psichico in questa prospettiva? E’ ovvio che, solo per poter continuare la legittimità dell’argomentare, dobbiamo necessariamente trovare un ponte, un punto di contatto, un’intersezione, tra lo psichico e l’organico. L’unica ipotesi ragionevole che al giorno d’oggi può essere avanzata è quella dell’influenza dello psichismo sui meccanismi epigenetici, che non è stata mai dimostrata direttamente, ma può essere, con molta prudenza, postulata per inferenza: in letteratura si sta di fatti dimostrando che le modificazioni profonde dei meccanismi di liberazione e riassorbimento dei mediatori chimici alla base del funzionamento del sistema nervoso (serotonina, adrenalina, noradrenalina) che alcuni psicofarmaci di ultima generazione producono, possono dar luogo ad una cascata di eventi che determini vere e proprie modificazioni epigenetiche. D’altra parte gli studi del Premio Nobel Eric R. Kandel hanno teorizzato la possibilità che anche la psicoterapia profonda possa produrre modificazioni stabili dei meccanismi epigenetici nell’essere umano (al riguardo consiglio la lettura dell’articolo di A. Mura “Biologia e psicoanalisi: Leggendo Kandel” comparso su questa stessa rivista).
Il problema è che, quando una modificazione somatopsichica sia arrivata a determinare un’alterazione dell’espressione genica così profonda e diffusa quale quella che si verifica nel processo neoplastico, si è passati, per usare una metafora cibernetica che mi è cara, da guasti nel software (sempre potenzialmente riparabili) ad alterazioni hardware (non più riparabili con il ripristino del codice software, bensì con interventi sulla struttura cellulare).
E’ questo il nodo del problema che tutti coloro che, in psicoanalisi o in altri tipi di psicoterapia, si occupano per varie ragioni di malati neoplastici, non possono scotomizzare. Particolarmente fuorviante può dunque risultare una concezione dei fenomeni che metta sullo stesso piano, come stati equivalenti e transitori il somatico e lo psichico; per dirla in termini espliciti l’illusione che l’elaborazione psichica possa determinare modificazioni così profonde nella struttura somato-psichica dell’essere umano da riparare danni genomici estesi. Converrà ricordare che se pur esiste uno stato potenziale di transizione materia-energia a livello quantistico, questo scompare al livello degli oggetti macroscopici.
Senza dimenticare, tra l’altro, che la dimensione atomica non è certo il regno del “tutto è possibile” come alcuni erroneamente ritengono: Erwin Schrödinger ci ricorda: “…dobbiamo ammettere che un piccolo sistema (dell’ordine di grandezza della scala atomica – NDR) possa, per ragioni di principio inerenti alla sua stessa natura, possedere solo certe quantità discrete di energia, che prendono il nome di livelli energetici del sistema… se un certo numero di nuclei atomici, con tutta la loro guardia del corpo di elettroni vengono a trovarsi uniti a formare un ‘sistema’ essi non possono per la loro natura assumere una qualunque arbitraria configurazione, fra tutte quelle che si possono immaginare. La loro natura permettere loro di scegliere solo entro una molto numerosa ma pur sempre discreta serie di ‘stati’ “.5
E persino il vuoto quantico subisce l'influenza di alcune costanti dell’universo: la costante di Planck, la velocità della luce, la costante gravitazionale.
Quale dunque può essere il contributo che la psicoanalisi può dare ad un malato di cancro? Ritengo che il nucleo fondante di qualsiasi forma psicopatologica sia l’impatto e l’elaborazione dell’angoscia di morte. Si comprenderà dunque come in un soggetto colpito da una malattia neoplastica maligna vi sia immediatamente un’attivazione massiva dei meccanismi di difesa psichici, soprattutto quelli vicini alla psicosi, il diniego e la negazione. Il diniego della malattia è sempre e comunque un problema grave, figurarsi in una forma patologica come il cancro in cui precocità della diagnosi ed inizio delle appropriate terapie, sono di fondamentale importanza per le possibilità di arresto della malattia.
Lo psicoterapeuta che segue un malato oncologico farebbe bene dunque a liberarsi dai suoi vissuti di onnipotenza e ricordarsi che egli può fare molto per il malato (ridimensionare e lenire la sua angoscia di morte), ma che la malattia organica non ricade sotto il suo interesse. L’intervento dovrà essere orientato innanzitutto ad affrontare e cercare di risolvere nel più breve tempo possibile l’opposizione del malato al riconoscimento del suo stato ed il rifiuto delle cure, ancorché imperfette e certamente ancora dolorose ed invalidanti, che la medicina offre.
L’effetto terapeutico della psicoanalisi consiste nella chiarificazione dell’informazione all’interno dell’unità somato-psichica: eliminazione di informazioni aberranti originate da misconoscimenti dovuti all’immaturità dell’apparato psichico in formazione, liberazione di accumuli energetici che non hanno trovato modalità fisiologiche di scarica, ridimensionamento dei vissuti di onnipotenza narcisistici. La scomposizione delle componenti psichiche si completa con una sintesi superiore dei contenuti rappresentazionali-affettivi. L'intervento psicoanalitico sarà altresì prezioso per eliminare gli investimenti isterici sugli organi fonte-meta. Tali investimenti, completamente neutralizzabili con il trattamento psicoanalitico, provocherebbero altrimenti ulteriori sofferenze ed un aggravamento del quadro sintomatologico.
Il suo campo di indagine rimane a mio parere esclusivamente lo psichico 6 : auspico, come lo stesso Freud ebbe in più di un’occasione ad affermare, che la psicoanalisi lasci alla medicina l’interesse per le malattie organiche ed i relativi tentativi terapeutici. Questo non significa che essa non possa dare un valido contributo terapeutico alle manifestazioni psicopatologiche che spesso si accompagnano ad una malattia multifattoriale come il cancro.
Written by: Quirino
Zangrilli © Copyright
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Videografica di Q. Zangrilli: Tutte le immagini a corredo dell'articolo sono coperte da copyright.
Note:
1 Eseguendo una ricerca su Internet servendosi del motore di ricerca Google digitando le parole cancro e psicoanalisi compaiono ben 67.600 pagine dedicate all’argomento!
2 Fonte: Google, Virgilio, Arianna., Ixquick, MSN, Il Sapere, Yahoo!, Super Eva, Lycos , Altavista , etc.
3 “La tipizzazione psichica dei soggetti con affezioni neoplastiche e la spiccata familiarità delle forme che non dipendono da induzioni esterne (radiazioni, agenti chimici, etc.) effettivamente mostra soggetti con relazioni affettive di tipo simbiotico che prima dello sviluppo della malattia, o il suo appalesarsi clinico, abbiano esperito una situazione di perdita (psichica o somatica) importante.” (da: “La vita: involucro vuoto", Borla, Roma, 1994)
4W. Wayt Gibbs, Alle radici del cancro, Le Scienze, 2003.
5 Erwin Schrödinger, Che cos’è la vita?, Cambridge University Press, 1944
6 In base alle evidenti sinergie del piano psichico e di quello somatico, messi in relazione e in feedback dal Sistema Psicoimmunoneuroendocrino, è ovvio che ci saranno sempre anche delle ricadute nel soma, ma queste non possono essere direttamente l’oggetto dell’agire psicoanalitico
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Da" Sportello Cancro" del Corriere della Sera |
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La domanda del Lettore
Hamer |
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Egr. Dott. Veronesi,
… Vorrei anche chiederLe come mai i ricercatori rifiutano a priori la verità che il cancro è, nella maggior parte dei casi, una malattia psicosomatica e di conseguenza non considerano neanche l'ipotesi che il modo migliore, semplice, sicuro, economico ed efficace per curare il cancro è la psicanalisi e non le chemioterapie che invece uccidono comunque nel 61% dei casi entro i cinque anni dalla terapia e nell'85/90% entro i dieci anni.
Qual'è la logica nell'avvelenare un malato per guarirlo?... Grazie.
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La risposta del Prof. Veronesi
Re: Hamer
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Caro (omissis), non conosco il caso di Hamer ma mi fa piacere confrontarmi con lei sulla natura del cancro, anche se non voglio farlo ideologicamente ma scientificamente. Ho già avuto modo di esprimere su questo forum che io credo che tanto il benessere psichico come il suo opposto, la depressione profonda che porta ad una rinuncia alla vita, possono avere un'influenza sulla cura e sulla risposta del malato alla terapia. Sono anche d'accordo con lei che spesso i farmaci anticancro sono poco efficaci, tant'è vero che con il mio team ci stiamo impegnando nella ricerca di nuovi farmaci molecolari meno tossici per l'organismo e nella messa a punto di combinazioni di farmaci tradizionali che permettano l’utilizzo a basse dosi. Tuttavia nella cura del cancro anche il "poco" è importante. Sull'origine psicosomatica del cancro però non abbiamo alcuna evidenza scientifica e dunque, anche se la psicanalisi può sicuramente in alcuni casi far molto bene psicologicamente al paziente, io non mi sentirei mai come medico e come scienziato di considerarla un'alternativa alle cure che, pur con i loro limiti, oggi hanno dimostrato una qualche azione antitumorale. Ciò detto, io sono un gran sostenitore dell'importanza del lato psicologico e soggettivo della malattia, anche e soprattutto quelle più gravi e non mi stanco di ripetere che oggi vale al guarigione ma anche la qualità della guarigione e che la scienza medica non deve mai dimenticare l'attenzione "amorosa" alla persona. |
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