Il presente
lavoro è comparso sul n° 4 del Bollettino dell'Istituto
Italiano di Micropsicoanalisi
Primo semestre 1987.
L'assunzione
cosciente di qualsiasi sostanza capace di promuovere una modificazione
dell'equilibrio psichico e/o somatico dell'organismo (farmaco) corrisponde
sempre ad una situazione profonda che va ben al di là di uno
stato sintomatico o doloroso.
Nel lavoro "Il caso di Sara" ho cercato di mostrare come l'assunzione
di oppiacei corrisponda alla necessità di neutralizzare angosce
legate a precoci vissuti traumatici di rigetto di origine intrauterina.
Cercherò ora di analizzare la natura del nucleo traumatico
che nutre l'appetenza per l'alcool. E' interessante innanzitutto ricordare
alcuni effetti farmacologici .
Esso fornisce 7 calorie per grammo, in confronto alle 9
dei grassi e alle 4 delle proteine e dei carboidrati: "Gli alcolisti
prendono probabilmente sotto forma di alcool tutte le calorie di cui
hanno bisogno" (D.R. Laurence, Farmacologia clinica, 1968). Provoca
inoltre vasodilatazione periferica deprimendo il centro vasomotore e
questo spiega la sensazione di calore che si avverte dopo l'assunzione.
D'altra parte la stessa vasodilatazione periferica comporta un aumento
della dispersione di calore attraverso la superficie corporea, con conseguente
diminuzione della temperatura corporea: quindi alla transitoria sensazione
di calore fa seguito una sensazione finale di freddo. Nello stato asmatico
l'alcool viene raccomandato come sedativo in quanto non deprime la respirazione
a dosi terapeutiche e può avere un certo effetto broncodilatatore.
In una prima assunzione, in sintesi, una dose di alcool determina una
sensazione di calore interno, una iniziale sedazione, un lieve miglioramento
della funzione respiratoria: è questa sensazione di "calda tranquillità"
che l'alcolista ricerca.
Nel corso di qualsiasi colloquio con alcolisti compaiono
sistematicamente espressioni quali "sensazione insopportabile di freddo
interno", "gelo invincibile", "ghiaccio nel cuore", che, a mio parere,
non sono solo usate per descrivere un vissuto psicologico, ma costituiscono
anche il ricorso coatto o, per meglio dire, l'immagine di una situazione
reale psicosomatica. Voglio effettivamente sostenere che una situazione
reale di brusca variazione della temperatura corporea, difficoltà
respiratorie e deprivazione energetica, deve essersi effettivamente
prodotta nella vita di queste persone.
In un interessante saggio del 1929 Ferenczi prende in considerazione
tre casi clinici, due di asma bronchiale ed uno di alcolismo in una
giovane donna, e ne fa risalire l'eziopatogenesi al fatto che fossero
degli "ospiti indesiderati della famiglia". "tutto faceva pensare che
questi bambini avessero recepito i segni, consapevoli o inconsapevoli,
con cui la madre manifestava il suo rifiuto o la sua impazienza nei
loro confronti e che per questo motivo si fosse prodotta una frattura
nella loro volontà di vivere". Ernest Jones nel saggio "Freddo,
malattia e nascita" è ancora più esplicito: "Dopo il dolore
della nascita, la sensazione di aria fredda che prova l'infante è
certamente la dimostrazione più saliente della "castrazione"
che ha subito (essendo stato privato del nido che egli considerava precedentemente
come facente parte della totalità di sé). La stimolazione
spiacevole che produce questo cambiamento di temperatura sconvolge tutto
il suo modo di essere ed è da questa sua reazione (involontaria)
che dipende tutta la sua vita".
Ora è evidente che l'accento che Ferenczi e soprattutto
Jones mettono sul lato somatico della vicenda ha un parallelo aspetto
psichico; formulo cioè l'ipotesi che questi figli indesiderati,
mantenuti in vita durante la gravidanza in ragione di un investimento
narcisistico se pur conflittuale della madre, dopo la nascita vengano
deprivati di quella corrente energetica vitale che è la libido.
Inoltre è parte del senso comune che ogni essere umano che viene
al mondo passi da un ambiente in cui la temperatura è mantenuta
costante, l'utero, ad uno in cui ciò non è possibile.
Eppure non tutti presentano le stigmate che Jones ricordava. E' mia
opinione pertanto che il trauma determinato dalla brusca variazione
della temperatura deve essersi consumato durante la gestazione e che
l'ulteriore inevitabile variazione di temperatura dei primi momenti
di vita post-natale offrirebbe la possibilità di vincolare su
una situazione esterna il quantum di eccitazione incontrollabile determinato
da questi traumatismi intrauterini.
Nel feto i centri ipotalamici termoregolatori sono ancora
immaturi ed esso si comporta del tutto e per tutto come un animale eterotermo:
cioè le sue capacità di adattarsi a variazioni della temperatura
ambientale dipendono in toto dalle risposte materne. Ancora alla nascita
i meccanismi termoregolatori non funzionano e nel bambino manca il fenomeno
del brivido. Per questa ragione e per l'alto rapporto intercorrente
tra superficie e massa corporea il neonato è particolarmente
esposto al raffreddamento del corpo. E' molto probabile che questi bambini
non solo siano stati abbandonati per un lasso di tempo considerevole
dopo la nascita, ma abbiano subito, a più riprese, dei tentativi
non riusciti di rigetto che in ultima analisi si siano risolti nella
sequenza: contrazioni uterine - ipossia placentare - ipotermia del feto.
L'appetenza per l'alcool è favorita proprio per
le sue azioni farmacologiche transitorie: sensazione di calore e miglioramento
della funzione respiratoria, è, cioè, un tentativo fallito
di riparare i due aspetti del trauma intrauterino: ipotermia ed ipossia.
Per meglio illustrare le mie riflessioni mi servirò
del materiale tratto dalla micropsicoanalisi di una giovane signora
giunta alla mia osservazione per una sindrome grave a sfondo paranoide
ma che rivelò ben presto anche una tenace condotta alcolomaniaca.
E' importante precisare che la signora era una figlia adottiva, presa
in adozione all'età di circa un anno, che ignorava l'identità
dei suoi genitori biologici e che aveva avuto il destino di molti di
questi bambini adottati: l'impossibilità di armonizzare il suo
terreno psichico costituito dalle immagini filogenetiche con quello
dei genitori adottivi, con lo strutturarsi di un conseguente e permanente
vissuto di rifiuto. La fase iniziale del lavoro micropsicoanalitico
fu tutta incentrata sul rafforzamento dei meccanismi di difesa primari.
Potremmo dire che nel processo di costruzione dell'Io che si compie
primariamente per proiezione degli oggetti interni filogenetici, questi
non avevano potuto trovare asilo nell'ambiente familiare adottivo .
La paziente aveva dunque fatto un ricorso massiccio all'identificazione-proiezione,
ma intereagendo con un ambiente assente o falsamente presente, aveva
riempito il suo Io di oggetti persecutori rassegnandosi a vivere in
una dimensione di limbo vuoto senza avere la possibilità di elaborare
il distacco dalla madre, né tanto meno quella di un ripristino
fantasmatico del narcisismo primario. Per tutta la prima parte del lavoro
mi ero dunque guardato bene dal toccare quella condotta sintomatica
che era, paradossalmente, l'unica reazione che le consentiva un precario
equilibrio: l'alcolomania. Solo quando il suo io fu sufficientemente
rafforzato lasciai che si dedicasse all'analisi della sua appetenza
per l'alcool. La paziente cominciò sistematicamente ad aggredire
il nucleo traumatico dopo una seduta in cui, superando le sue resistenze,
iniziò quel lavoro di presa di contatto con il vuoto costitutivo
che è il caposaldo di ogni micropsicoanalisi: "Ho un freddo,
un freddo totale, assoluto; ma quando tocco questo freddo sento di nuovo
in me la scintilla di vivere...però c'è una parte di me
che non vuole smettere di bere. Se avessi almeno qualcuno che mi tenesse
stretta, mi scaldasse...ogni volta che mi giravo a guardare mia madre
(adottiva,n.d.r.) trovavo il suo sguardo di ghiaccio: ho l'impressione
di aver camminato sempre sola, sola nell'universo...basterà che
io mi abitui a questo vuoto, che mi renda conto che nel vuoto non si
può cadere. In questo momento sento uno strano calore che mi
viene su dal mio stomaco, un calore che mi riempie, lo stesso calore
che ricerco bevendo, ma questa volta è un calore naturale!".
Nelle sedute successive cominciò, per la prima volta nella sua
vita a prendere in considerazione l'idea di rintracciare i suoi genitori
biologici e dopo poco iniziò fattivamente le ricerche riuscendo
a contattare la madre e a riconoscerla. Questo evento le consentì
di confrontarsi-impregnarsi con le immagini filogenetiche del ramo materno
che in precedenza le apparivano estranee e persecutorie. Ecco del materiale
prodotto successivamente all'incontro con la madre: "Ieri ho avuto veramente
l'impressione che mi stavo svezzando dall'alcool: finalmente mi sono
sentita libera dal bisogno di bere, sono felice di averla ritrovata,
felice che mi abbia accettato, felice di aver scoperto che nel suo portafoglio
ha conservato la mia fotografia...stavo per dire una cosa assurda: sono
felice di avere anch'io una mamma. Ora mi sento calda e felice". Effettivamente
questo incontro segnò un passo decisivo (e voglio precisare che
l'incontro fondamentale è sempre quello inconscio, a livello
di immagini) nel lavoro micropsicoanalitico della signora che in seguito
riprese più volte in esame il nucleo traumatico: "Più
mi avvicino alla libertà e più tremo come un cucciolo
nella culla, solo, ancora bagnato, in attesa di essere asciugato e scaldato
(questo materiale fa pensare che il trauma primario si sia successivamente
ripetuto nel corso della prima infanzia tutte le volte che il neonato
aspettava, bagnato, di essere cambiato)...in presenza di un cucciolo
faccio sempre un gioco strano: mi concentro nel trasmettergli l'amore,
il calore, affinché non tremi più (questo è l'investimento
libidico: una trasmissione energetica da un sistema ad un altro). Se
sto fuori è come se mi mancasse la pelle, la protezione, se rimango
dentro mi sento soffocare ed allora rimango ferma, ferma. Mi sento sempre
come se qualcuno volesse disfarsi di me prima del dovuto...una morsa
fredda che mi stringe e mi manda via; vorrei aggrapparmi a qualcosa
ma quel corpo mi manda via ed io mi sento fredda e spellata. La rabbia
che ci portiamo dentro è quella di essere nati contro la nostra
volontà ed è per lenire questa rabbia che si fuma, si
beve, ci si droga". Per concludere mi sembra di poter affermare che
l'alcolomania trovi un più fertile terreno di sviluppo in soggetti
che abbiano esperito dei vissuti traumatici di rigetto intrauterini
, in cui, però, il disagio psicosomatico del feto si sia espresso
soprattutto nel binomio ipossia - ipotermia.
Nel caso in esame la stessa madre biologica confermò
il vissuto della paziente ammettendo di essersi sottoposta, senza successo,
a pratiche abortive. Il tentativo coatto di riparare il narcisismo primario
viene rafforzato dall'azione farmacologica dell'alcool, in questa sua
capacità transitoria ed illusoria di fornire una "seconda pelle"
tramite la vasodilatazione periferica e l'iniziale sedazione. La dispersione
di calore che ne consegue, però, determina ancora una volta una
sensazione di freddo, ripristinando il vissuto traumatico primario:
un bell'esempio della potenza della coazione a ripetere..
Voyez la version française...
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