Home page Dott. Quirino Zangrilli
homecurriculumlibripubblicazioni
 
 

Applicazioni cliniche
del modello micropsicoanalitico 1

     

La psicoanalisi è propriamente, come l’etimologia ci suggerisce, una scomposizione dei contenuti psichici: un po’ come il chimico scompone le sostanze nelle loro componenti di base utilizzando varie metodiche, così lo psicoanalista analizza, cioè scompone, i pensieri e le emozioni dei suoi pazienti. La micropsicoanalisi si prefigge lo stesso scopo, proponendosi l’obbiettivo di giungere ad una dimensione d’indagine cosiddetta “microscopica”.
In altre scienze l’utilizzo di strumenti di amplificazione dei dati osservabili ha consentito il sorgere di nuove discipline: il microscopio elettronico ha permesso il passaggio dalla biologia alla microbiologia, gli acceleratori lineari il passaggio dalla fisica alla microfisica. Lo scopo principale del metodo micropsicoanalitico è quello di studiare il dettaglio psichico e psicomateriale nelle sue due componenti, quella energetica (l’affetto) e quella formale (le rappresentazioni mentali).
L’equivalente del microscopio del microbiologo è per il micropsicoanalista l’allungamento del tempo di seduta, che passa dagli usuali 50-60 minuti della psicoanalisi ortodossa al tempo medio di tre ore consecutive, e dall’incremento della frequenza delle sedute stesse, che diventano pressoché quotidiane.
La dilatazione dell’osservazione che così si consegue, permette lo studio di un dato psichico inconscio particolarmente profondo. Ciò è reso possibile dal fatto che le resistenze che si oppongono all’emergenza dei contenuti rimossi, essendo di natura energetica, hanno, come tutti i fenomeni energetici esistenti in natura, un tempo di decadimento: estendendo il tempo di osservazione, sia le resistenze egoiche che quelle inconsce si indeboliscono permettendo l’emergere di rappresentazioni ed affetti, prima relegati nel processo primario dell’inconscio, al piano della coscienza, dove possono essere finalmente neutralizzati ed integrati nell’io.
Lo psicoterapeuta, a qualsiasi scuola appartenga, affronta il disagio della ricerca di dati indiretti. Un disagio che non è certo appannaggio solo della nostra categoria, ma che condividiamo con altri scienziati di discipline spesso ritenute, a torto, più probanti della psicoanalisi: mi riferisco, tanto per fare un solo esempio, ai microfisici.
Gli scienziati che si occupano di microfisica, quando si trovano in presenza di situazioni o meccanismi di cui è impossibile analizzare il dettaglio (ed in microfisica per l’esistenza del principio di indeterminazione di Werner Heisemberg, queste sono la maggior parte), cercano di specificare nel modo più netto possibile le parti del fenomeno che si possono osservare (ad esempio le perturbazioni indirette prodotte nel campo da una collisione di particelle). In altre parole dedicano la loro attenzione alla verifica del dato osservabile.
Lo psicoanalista ed il micropsicoanalista si comportano in modo simile al microfisico: la persistenza del dato osservabile e la sua verifica per vie diverse, ne garantiscono l’oggettività e rende possibile la costruzione di uno schema di spiegazione semplice nel quale si cerca di neutralizzare le incognite, sostituendole con elementi di verifica che costantemente si ripresentano, espressi attraverso l’uso delle varie modalità tecniche.
Il fatto è che, come tutti coloro che praticano una psicoterapia profonda sanno, cause specifiche, uniche, dei fenomeni non esistono. Ciò che si verifica è il concorso di cause che interagiscono, si potenziano o si indeboliscono a vicenda. Esistono tuttavia dei dati osservabili che persistono, sia dal punto di vista energetico, che formale, retti dalla coazione a ripetere sia nell’ontogenesi, che lungo le linee generazionali.
La tradizione di studi in campo psicologico-clinico cui fa riferimento la micropsicoanalisi è essenzialmente quella psicoanalitica freudiana. Da un punto di vista metodologico, viene infatti mantenuta l’impostazione freudiana per quanto concerne la tecnica delle libere associazioni, dell’interpretazione del sogno e dell’analisi del transfert: tali tecniche sono integrate dai supporti specifici della micropsicoanalisi: ricerca genealogica, studio delle piantine delle abitazioni ove l’analizzato ha vissuto, studio del materiale iconografico a disposizione, studio della corrispondenza.
Studiando il dato storico nelle sue molteplici forme attraverso l’ausilio dei supporti tecnici, l’analizzato ed il micropsicoanalista pervengono a riconoscere le trasformazioni della ripetizione così come si sono concretizzate e sono state registrate in documenti che possono appartenere a più generazioni. Si studiano così, sia rispetto all’individuo che ad una o diverse linee generazionali, i momenti di rafforzamento o diluizione della ripetizione, e l’inserimento, per opera del caso, di nuovi tentativi. Lo studio reiterato del dato ripetitivo, retto dal trauma e dalla fissazione, ne produrrà un indebolimento progressivo, fino a che sarà possibile che si rafforzino dei tentativi inediti che possano marciare verso una composizione del conflitto.
Uno studio di memorie dunque. D’altra parte Freud edificò la psicoanalisi studiando l’isteria ed affermando che questi malati soffrissero di reminiscenze: frammenti di memorie, strutturatesi in epoche remote, scritte con codici anacronistici, che si riattivano e cercano di assoggettare l’agire della persona.
Vorrei qui esporre, attraverso l’ausilio di alcuni casi clinici, i concetti che potremo definire innovativi ipotizzati dalla micropsicoanalisi. Per i limiti di tempo assegnati mi limiterò all’illustrazione di due soli temi.
Inizierò dall’ipotesi formulata per vie diverse dai due capiscuola, Fanti e Peluffo, del cosiddetto stadio iniziatico: oltre alle ben conosciute fasi di organizzazione della libido, orale, anale, fallica e genitale, la micropsicoanalisi introduce una fase precoce, intrauterina, definita stadio iniziatico.
La gestazione è la fase in cui il corredo iconico del ramo materno e paterno si incontrano nel microinvolucro costituito dall’ovulo fecondato ed i due genomi tentano di armonizzarsi. Il processo è ulteriormente complicato da una quarta variabile oltre a quelle costituite dall’uovo fecondato, il genoma paterno e quello materno: l’ambiente uterino materno.
In una delle ipotesi centrali di “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione” del 1973 Nicola Peluffo 2 afferma che, a livello di elaborazione psichica, lo stato di disequilibrio somatopsichico costituito dalla gestazione, indurrebbe nella madre la comparsa di un vissuto onirico e fantasmatico di invasione batterica, che altro non è se non la rappresentazione psichica di un reale processo somatico: la reazione immunitaria. Inoltre nell’involucro costituito dall’unità materno-fetale, vi sarebbe un incontro, un dialogo, una interazione, tra i vissuti psichici della madre, consci, preconsci ed inconsci, che vengono a costituire dei fantasmi-stimolo che evocano, nel nascituro, l’insorgenza di fantasmi-risposta, presenti nella loro potenzialità ereditaria. Tale dinamica psichica, spesso contraddistinta dallo strutturarsi di fantasmi di invasione o di fagocitamento reciproco, vicarierebbe la risposta somatica di rigetto che pure bisognerebbe attendersi in una situazione di allotrapianto quale quella di materiale geneticamente non-self (il feto) trapiantato in utero. Per Silvio Fanti il feto partecipa, nell’involucro materno-fetale, all’aggressività-sessualità della madre, stabilendo già in utero, a seconda del suo terreno, soprattutto durante l’attività di sonno sismico, la trama delle sue embrionarie connessioni pulsionali e le prime strutturazioni psico-biologiche.
Se Fanti con la formulazione dell’esistenza dello stadio iniziatico ne fa un discorso soprattutto energetico-iconico, Piscicelli giunge ad identiche conclusioni mantenendosi su un terreno più tradizionale, seppur altrettanto affascinante: “Tutte le acquisizioni filogenetiche della madre contribuiscono a modellare la vita e lo sviluppo somatico del feto. In questa stretta relazione il feto avverte e risponde ad eccitazioni grossolane che la madre continuamente gli rivolge. Fin dai primi momenti del concepimento l’uovo fecondato e poi la morula, l’embrione ed il feto, possiedono una sufficiente sensibilità empatica per registrare i sentimenti più segreti della madre. È certo che molta della morfogenesi fetale dipende dal dialogo psicosomatico che corre tra madre e prodotto del concepimento...
La luce, la temperatura, l’acidità, la forma, il substrato nutritizio, gli ormoni, etc., promuovono i cambiamenti plasmatici del feto” . 3
Per illustrare l’essenza di tale ipotesi mi servirò del materiale tratto dal lavoro di micropsicoanalisi di un giovane di 20 anni giunto alla mia osservazione in preda ad un delirio di onnipotenza: “Sono uno dei primi tre musicisti del mondo! Ho intenzione di farmi crescere gli arti e diventare molto più alto: è sufficiente che io mi concentri per ottenerlo. Posso fermare la mia circolazione sanguigna; uno di questi giorni cambierò il colore dei miei occhi, etc.”.
In una fase precoce del trattamento ho invitato la madre del paziente a svolgere alcune sedute lunghe: in micropsicoanalisi, soprattutto in casi così gravi, tale procedimento è non solo possibile, ma auspicabile. In effetti, il materiale prodotto dalla madre del giovane, illuminerà in modo risolutivo l’itinerario terapeutico del paziente che difficilmente, in altro modo, sarebbe approdato ad un esito favorevole.
La madre inizialmente utilizza le prime sedute per parlare delle difficoltà incontrate dalla propria genitrice nel corso delle gravidanze sostenute, e degli episodi di violenza fisica e sessuale che il padre avrebbe consumato nei riguardi della consorte ed a cui lei aveva avuto modo, varie volte, di assistere direttamente nel corso dell’infanzia. Spontaneamente, dopo alcune sedute, la signora arriva a parlare della gravidanza del figlio ora in analisi: “Come rimango incinta di Œsto figlio è cominciata la mia tragedia.
Avevo una incompatibilità tra il feto ed il mio sistema neurovegetativo (sic!). Prendevo tranquillanti, nonostante sapessi che potevano essere pericolosi per mio figlio. Mangiavo solo pesche e bevevo acqua. Ero deperita; ad un certo punto i medici mi dissero che era meglio che abortissi! Inoltre in quel periodo c’era lo scandalo del talidomide per cui nascevano in continuazione bimbi senza arti...la pancia mi era arrivata in mezzo alle mammelle: era enorme Œsto figlio! aveva mani e piedi molto più lunghi del normale. La prima cosa che ho chiesto all’ostetrico quando è nato è stata: È normale? Voglio dire: ha mani e piedi? Non importa se è bello, se maschio o femmina: ha mani e piedi mio figlio?”.
La prima cosa che è possibile dire di fronte a questo materiale è che il testimone della coazione a ripetere viene passato di generazione in generazione. La necessità di evitare, o quantomeno dilazionare le possibili gravidanze, esisteva già per la stessa nonna dell’analizzato che aveva posticipato il momento del primo concepimento a ragione di una cura di bonifica antibiotica prescritta. Anche la madre dell'analizzato, per un certo periodo di tempo, era stata costretta ad evitare gravidanze, e, quando finalmente resterà incinta, vivrà nel profondo del suo inconscio, la gestazione come l’assalto di un essere che le si ingigantisce dentro, a lacerare un bacino (ritenuto) scoliotico, una vagina (ritenuta) infantile, spostare e ledere organi. È evidente che l’angoscioso desiderio-timore di avere all’interno del proprio corpo un feto-feticcio rimaneggiato o malformato, cioè mancante degli arti e quindi efficacemente più piccolo di un feto normale, meno invasivo, meno dirompente, va nella direzione di attenuare il vissuto di invasione che la domina. Fin qui la madre. Ma quali possono essere state le ripercussioni psichiche di questa attivazione di fantasmi originari nell’involucro gestazionale, sulla psiche del nascituro?
La prima considerazione che è possibile fare è che il nucleo centrale del delirio del giovane rappresenta un tentativo onnipotente e magico di autoristrutturazione somatica, di rimodellamento corporeo. In particolare l’attenzione delirante si sofferma proprio sulle parti corporee maggiormente investite dalle fantasie materne: gli arti e la statura (il giovane è alto 185 cm.). In altri termini il paziente elabora in modo delirante il desiderio inconscio di poter controllare e mutare retroattivamente il proprio sviluppo fetale, evento traumatico che egli tenta di modificare attraverso l’illusione magica della coazione a ripetere. In una seduta successiva, il giovane riprende l’argomento dell’arresto della circolazione sanguigna esplicitando che si tratta di una esigenza difensiva: “Dovrò fare una sfida sacra contro un Maestro di Kung-fu: la mia salvezza sarà raccogliere tutto il mio sangue sotto un’ascella per proteggerlo ed essere così invulnerabile”. Il giovane intende difendersi dall’aggressore mantenendolo lontano dal proprio sangue: come non considerare che il maggiore scambio biologico e genetico tra madre e figlio avviene attraverso le camere intervillari placentari per mezzo del sangue?
Come sempre accade, però, le vicende che nutrono situazioni di alta patologia affondano nella filogenesi. Durante il lavoro di ricerca genealogica, il giovane constatò l’esistenza, sia nel ramo materno che in quello paterno, di un’alta incidenza di parti distocici. Possiamo ipotizzare che il ripetersi, nel corso di varie generazioni, di situazioni altamente traumatiche connesse allo svolgersi e all’esito della gestazione, avesse determinato la costituzione di un pattern genetico, un insieme di rappresentazioni ed affetti trasmessi dall’es, quella del parto distocico, o se si preferisce del parto mortifero, che vincola l’angoscia accumulata per il ripetersi degli eventi traumatici in quel gruppo familiare, ma al tempo stesso perseguita le gestanti e i loro nascituri. Una faccetta iconica mortifera che entra come meccanismo di vincolamento nel corredo iconico ereditario, si ripresenta di generazione in generazione, e di gestazione in gestazione, influenzando, in presenza di una situazione di rinforzo ontogenetico, la strutturazione psicosomatica del tentativo ontogenetico.
Come abbiamo visto, ed è questo il campo di cui maggiormente mi sono occupato in questi anni, il condizionamento filogenetico delle possibilità di tentativo dell’individuo, ha un peso preponderante nel suo destino.
Questo concetto non è una novità. Per Freud esistono innumerevoli prove di quella che egli definisce “eredità arcaica”, cioè elementi psichici di provenienza filogenetica: la generalità del simbolismo linguistico, che sorvola le differenze linguistiche ed è lo stesso in tutti i popoli, è una di queste; come lo è l’universalità del linguaggio artistico, come il Prof. Emmanuel Anati, paletnologo, ha dimostrato. 4
Un’ulteriore prova dell’esistenza di elementi psichici di provenienza filogenetica proviene dallo studio dei traumi infantili. Come ricorda Freud “Se studiamo le reazioni ai traumi del bambino piccolo, siamo spesso sorpresi di trovare che esse non si attengono strettamente all’effettiva esperienza individuale, ma si allontanano da essa in una maniera che si adatta assai meglio al modello di un evento filogenetico e che, in modo del tutto generale, si spiega solamente mediante un suo influsso” 5
Quello che Freud vuole dire è abbastanza semplice: sono migliaia di anni che non si pratica più la castrazione reale dei figli, come, secondo l’ipotesi di Darwin si praticava nell’orda primitiva, eppure i contenuti inconsci che affiorano in individui di ogni razza, cultura e credo religioso, sono proprio quelli di un vissuto autentico di castrazione.
Ma Freud va oltre ed afferma: “(L’evidenza del materiale del quale mi posso valere) è secondo me sufficiente per arrischiare ancora un passo e avanzare la tesi che l’eredità arcaica degli uomini non abbraccia solo disposizioni, ma anche contenuti, tracce mnestiche di ciò che fu vissuto da generazioni precedenti...A una più attenta riflessione, debbo confessare che da tempo mi sono comportato come se l’ereditarietà di tracce mnestiche delle esperienze dei progenitori, indipendentemente dalla comunicazione diretta e dall’influsso che esercita l’educazione mediante l’esempio, fosse fuori discussione” 6 .
Concluderò questa mia relazione cercando di illustrare il perché allo psicoanalista non basti più lo studio dell’ontogenesi e si rivolga sempre più spesso, soprattutto quello di scuola micropsicoanalitica, alla filogenesi.
Questo interesse è giustificato dal fatto che esistono, in ognuno di noi, delle isole di software anacronistico, di cui abbiamo perso i codici di decifrazione, che dettano i nostri comportamenti in modo autodistruttivo. Queste memorie aberranti sono state inscritte nel corso di traumatismi che non competono la nostra generazione, bensì quella dei nostri avi.
L'origine filogenetica del malessere e la trasmissione attraverso l'attivazione di faccette dell'Immagine contenute nel materiale genealogico dell'individuo è evidente nel caso di un giovane analizzato, portatore al momento della prima osservazione di una depressione anaclitica secondo Spitz, susseguente alla precoce scomparsa della madre, e difesa parzialmente da una posizione psicotica di diniego della perdita.
Il giovane, che chiameremo convenzionalmente il signor Destato, era perseguitato dalla presenza sotto altre spoglie, del fantasma della madre; in particolare quest'ultima si presentava a lui nell'ultimo periodo vestendo l'aspetto di una giovane donna di cui l'analizzato si era follemente innamorato. In altri termini, la gravissima posizione depressiva in cui la scomparsa della madre lo aveva gettato, avrebbe probabilmente finito per aver ragione della sua volontà di vivere, se non si fosse strutturata una modalità psicotica di interpretazione dei dati reali che, negando la perdita, gli consentiva di trovare una pur minima ragione di vita. Il giovane si era progressivamente convinto che la madre non fosse morta, ma si fosse allontanata di sua volontà per vegliare sulla sua vita.
Attraverso un lungo lavoro analitico il signor Destato era riuscito a prendere coscienza della scomparsa della madre, ad elaborarne il lutto e a poter stabilire una relazione soddisfacente sul piano sessuo-affettivo con una giovane donna, era uscito dalla sua camera da letto dove si era rinchiuso per due anni, aveva ripreso a mangiare, ad avere cura del suo corpo, a fare nuovi tentativi di reimmetersi nel turbine della vita.
Dopo la dissoluzione delle modalità di difesa psicotiche, permaneva comunque una viva sofferenza esistenziale che spesso si coniugava ad un sentimento di profondo rancore verso gli uomini e il mondo, a cui l'analizzato non sapeva, né poteva, attribuire ormai la benché minima spiegazione in base alle vicende ontogenetiche della sua vita, peraltro minuziosamente scandagliate.
Non rimaneva che spostare il lavoro nel campo della ricerca genealogica e sull'analisi di sogni che eventualmente fossero stati attivati da questa. Il signor Destato si gettò, con entusiasmo ammirevole, in questo prezioso lavoro di ricerca, riuscendo ben presto a ricostruire una vicenda familiare che per numerose sedute assorbì tutta la sua attenzione.
La bisnonna materna aveva avuto una relazione sentimentale con un personaggio molto altolocato e facoltoso del suo paese, nel corso della quale era rimasta incinta. Rassicurata dall'uomo, la bisnonna portò a termine la gravidanza ma il giorno stesso della nascita della bambina (la nonna dell'analizzato) il novello padre fuggì abbandonando figlia e compagna, facendo perdere per sempre le sue tracce.
La bisnonna del signor Destato, accecata dall'odio e dal dolore, dopo pocotempo abbandonò la figlia di questo infelice amore in un brefotrofio.
Quest'ultima, dopo una vita comprensibilmente difficile, sposò un uomo dal quale ebbe una figlia (la madre dell'analizzato). Lo sposo morì a distanza di soli tre anni dalla nascita della figlia, come poi del resto accadrà alla stessa madre dell'analizzato, che morì anch'essa quando questi aveva tre anni.
Il giovane, prendendo progressivamente coscienza dell'evidente fatto che molti dei suoi tentativi ripetitivi convergono verso la ricostruzione inconscia del trauma genealogico dell'abbandono (l'analizzato spesso ripeteva: "Mi devo per forza creare una storia d'amore che finisca in modo drammatico"), riesce a dare finalmente una spiegazione, ed un corpo, all'odio infinito, e fino a quel momento assolutamente incomprensibile, che prova per il mondo. Riconosce di essere diventato l'inconsapevole attore del ruolo del vendicatore del phylum materno.
La svolta risolutiva del caso arriva con l'analisi di un sogno che il signor Destato porta in seduta accompagnato da una cornice contenente la foto della madre che per tanti anni aveva conservato gelosamente sul comodino. Il contenuto manifesto del sogno in sintesi è il seguente: Sono nel mio letto; arriva mio nonno che rivuole il suo posto. Io devo andare alla radio e lui rioccupa il suo posto. Sono a letto, lei (rivolto a me) mi sta facendo una seduta ed aveva il posto della cornice che le ho portato. Mi trovo a chiedere l'informazione di un luogo a qualcuno pensando che è molto strano che io mi sia perso. Finalmente arrivo alla stazione. Poi vedo un branco di cani bianchi ma io devo andare per la mia strada" (Cioè deve uscire dal branco).
Ecco una minima parte del materiale associativo che viene spontaneamente prodotto nel corso di una seduta di quattro ore su questo sogno: "È come se ognuno debba riprendere il posto che gli spetta...ogni pedina ritorna al suo posto. È come se nella mia vita si riproduca l'agonia di mia madre, quella di suo padre, l'odio di mia nonna. Questa immagine mi tormenta ed è come dovessi mettere tutte le mia forze al servizio di questa immagine. Io faccio di tutto per entrare in quella foto...".
Gliela ingrandisco al massimo delle possibilità proiettandola con un episcopio. Piange: "Da quando non si muove più si muove in me. Io occupavo il posto sbagliato...mio nonno rivoleva il suo posto, che ero andato ad occupare io...avevo creato ciò che aveva creato me...io cerco di prendere il mio posto alla radio...poi arrivo ad una stazione - (urla) - io sono una stazione!...È stato bellissimo! Sono una stazione, sono un punto fermo, non una meteora che vaga nello spazio! Non posso più tornare indietro: ho superato un muro. Rimango piantato!".
Ecco che la trasformazione si compie. La possibilità di elaborare un racconto coerente, ispirato alla vicenda traumatica filogenetica, l'abreazione dell'affetto connesso, la verbalizzazione esplicita dei propositi di vendetta, di un odio inespresso, che non competeva la sua esistenza, eppure viveva in lui, come affetto di accompagnamento ad una serie di immagini che replicavano il dramma genealogico, disinnescano il gorgo succhiante della ripetizione, questo incessante risucchio all'indietro che si serve della pulsionalità di morte come forza motrice e che mobilita un'enorme angoscia. L'analizzato riesce ad attualizzarsi, a trovare finalmente il posto che gli compete nell'esistenza, mentre le immagini degli avi si placano e ritornano nei loro sacelli.
Lo studio del dato genealogico, volto al reperimento dei caratteri ereditari o para-ereditari psichici somatici e comportamentali, delle analogie e le somiglianze con gli antenati, consente all'analizzato di entrare in modo più intimo e diretto in contatto con i propri moduli psicobiologici, veri e propri mattoni costitutivi delle entità psicobiologiche.
L'obiettivo in micropsicoanalisi, non può essere comunque quello di una ricostruzione fedele ed incontrovertibile dei traumatismi transgenerazionali; non sarebbe sempre possibile e d'altronde nemmeno necessario: il fine rimane quello di trovare nel materiale genealogico, delle immagini, unite in una loro coesione formale (che può essere visiva, verbale, sonora, gustativa, etc.) che vincolino nello spazio tempo, in modo riconoscibile, il trauma: potremmo dire che si da all’essere umano la possibilità di edificare il proprio mito personale.

® Quirino Zangrilli

 Voyez la version française...

NOTE:

1  Relazione ufficiale tenuta al convegno nazionale sui modelli di intervento psicoterapico: "CLINICA E PSICOTERAPIA: dai Modelli alla Prassi", Cosenza, Casa delle Culture. 30, 31 Ottobre e 1 Novembre 2002.
2  Peluffo N.: Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione, Book's Store, Torino, 1976.
3 Piscicelli U.: Introduzione alla psicosomatica, Astrolabio, Roma, 1985.
4 Anati E.: I segni della storia, 1997, Di Renzo Editore, Roma.
5 Freud S.: L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi, 1934-38, Opere, Vol. 11, Boringhieri, Torino, 1975.
6 Freud S.: L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi, 1934-38, Opere, Vol. 11, Boringhieri, Torino, 1975.

Condividi su Facebook  

 
 

Home page | Libri | Curriculum e recapiti | Le Pubblicazioni

Dott. Quirino Zangrilli

Rivista Multimediale scienza e psicoanalisi  Scienza e Psicoanalisi