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Scienza e Psicoanalisi
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Articolo di Ambrogio Zaia   
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Società Internazionale di Micropsicoanalisi
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"ALLE ORIGINI DEL TABU'
implicazioni psicopatologiche"

Aula Magna di Villa Piccolo -Capo d'Orlando

11 e 12 novembre 2005

Evento accreditato dalla Commissione Nazionale ECM
del Ministero della Salute


Il tabù del toccare nei cicli associativi di seduta

Estratto della Relazione tenuta dall'Autore al Convegno

5 dicembre 2005

Premessa

Vorrei condividere, con voi, la mia esperienza d’analista e proporre una possibile riflessione sulla qualità della verbalizzazione di seduta. In particolare, vorrei proporre un’interpretazione dei “cicli associativi” che si realizzano durante il lavoro dell’analisi, evidenziando sia l’interazione di questi con il tabù, sia gli sviluppi nel lavoro analitico.
Nella dinamica transferale di seduta, il ciclo dell’ascolto sostiene il lavoro dell’analista realizzando la condizione necessaria al compimento d’ogni lavoro psicoanalitico: un requisito indispensabile per avviare la relazione analitica e dare così spazio all’elaborazione emotiva dei vissuti psichici conflittuali del nostro cliente/paziente.
Attraverso l’interpretazione dei cicli associativi, si evidenziano gli schemi relazionali del soggetto. Così, nella logica dell’accomodamento alla realtà, si riconoscono le azioni e i pensieri che portano a sviluppare la trama a spirale della vita, fino alla comprensione dei tentativi elementari alla base d’ogni equilibrio psichico.
Questa circolarità è espressa ed è vissuta da tutti nella vita quotidiana; in questo modo, nella trama delle nostre azioni, realizziamo dei cicli a spirale ai quali diamo e riceviamo il senso della nostra vita. Tuttavia, la presunta linearità nella sequenza degli eventi è più un’attesa che una realtà. Ognuno sogna di poter vivere subendo le minori frustrazioni possibili, ma questo non è vero. Ogni giorno subiamo dei piccoli traumi. Subiamo delle interruzioni nello svolgere del ciclo vitale inducendo così altri percorsi, nuove sequenze, orientate a ricostruire l’omeostasi individuale.
Seguendo così questa linea di pensiero, nel breve percorso della relazione, mi soffermerei sulle difficoltà che le persone incontrano nello svolgere i cicli associativi durante le sedute d’analisi. Vorrei riprendere il tema del tabù e come questo si esprime in cicli associativi reiterati e mai elaborati. Vorrei anche puntualizzare, come l’ambiente di vita dell’analizzato definisce certe situazioni possibili dando origine a specifici cicli associativi, che non permettono al soggetto la presa di contatto con i nuclei rimossi. Li interpreto come cicli secondari, reiterati in analisi con l’unica funzione di costruire una difesa dall’angoscia del vuoto e del tabù originario.
Per rendere lineare l’esposizione, partirei dal tema dell’ascolto di seduta per definire, nel secondo paragrafo, il ciclo associativo. Nel terzo paragrafo proverei a dare un’interpretazione del trauma all’interno dei cicli vitali e di seduta.
Il tema del tabù nei cicli associativi è riportato nel quarto paragrafo e si completa nel paragrafo successivo con l’interpretazione del tabù nei cicli primari e secondari.

L’ascolto di seduta

     
Contributi del Congresso:
   
   
     
   
     
   
     
 

Una delle evidenze più comuni è il ripetersi delle serie associative di seduta. La persona, nella relazione analitica, sostituisce il movimento quotidiano con le verbalizzazioni. Nel compiere quest’operazione che inizialmente ha il sapore della narrazione, ripercorre, in forma sintetica, l’agito che ha caratterizzato la sua vita, arrivando a descriversi nelle parole e nei movimenti di seduta. L’analista, nel prendere nota di quanto accade, ha così la possibilità di ricostruire la struttura psichica del soggetto e di compiere quell’operazione di rispecchiamento, utile, nelle diverse fasi del lavoro analitico, alla presa di coscienza ed alla rielaborazione dei vissuti psichici.
Si definisce in questo modo l’identità percettiva che porta il soggetto, per identificazione, a riconoscere se stesso nella relazione con l’analista, dando il via ai momenti trasferali di seduta. Qualora quest’operazione si attui con successo, il meccanismo propulsore psicobiologico è assicurato ed i moti pulsionali primordiali possono trovare la ripetizione nei due meccanismi elementari dell’inconscio: lo spostamento e la condensazione. Attraverso questa dinamica, evidente nelle verbalizzazioni associative, il transfert mette a nudo i meccanismi efficienti dell’inconscio e permette il progressivo passaggio dall’inconscio al preconscio-conscio ed alla presa di coscienza. 1
Da un punto di vista più generale, in seduta si osserva come il meccanismo associativo realizza la corrispondenza dinamica tra le verbalizzazioni di seduta e le esperienze vitali dell’individuo. Le similitudini e le analogie agiscono per sovradeterminazione, moltiplicando la possibilità espressiva dei cicli associativi, fino a rendere visibili gli elementi costitutivi e inconsci all’origine delle situazioni conflittuali.
Questo tipo di lavoro, svolto in modo privilegiato nell’ambito analitico, smonta e rimonta la realtà in una costante progressione ricostruendo, nella rappresentazione di un “come se”, la dimensione psichica dell’individuo.
Va detto che il termine “psiche” sta ad indicare non una struttura oggettiva all’interno della nostra mente, ma la dimensione olistica di un processo elementare di cui se ne tiene traccia attraverso il processo di memorizzazione. La psiche, nelle sue rappresentazioni, riproduce una realtà esterna per vicinanza e similitudine ed utilizza lo stesso meccanismo che noi vediamo in seduta durante le verbalizzazioni associative. Per contiguità/eguaglianza, per quanto riguarda gli aspetti inconsci, e per deduzione/induzione, per quanto riguarda la logica formale e cosciente, si forma l’immagine che noi utilizziamo per confrontarci con l’altro da noi, sia esso situazione o persona.
Se sicuramente la psiche ha avuto origine dalla capacità di rappresentare i processi somatici  2  alla base della vita dell’individuo, fino al punto da costituire degli schemi filo-ontogenetici stabili, lo strumento attivatore di questa condizione rimane l’atto percettivo. Un atto sostenuto in modo prevalente dalla ripetizione.
Da un punto di vista biologico, è la ripetizione dell’atto a formare il substrato biochimico che produce la modificazione del sistema psicobiologico. Una percezione, quando diventa dominante, finalizza l’attenzione e dirige l’investimento libidico. Per l’economia del sistema, l’atto percettivo realizza così lo scopo di rendere rappresentabile la realtà, da una parte, e contemporaneamente definisce una possibile via di scarica pulsionale, cui tende naturalmente l’uomo. 3
Per la caratteristica intrinseca al lavoro di seduta, l’atto percettivo è ridotto ed il canale d’ascolto si riduce per la maggior parte alla voce dello stesso analizzato: alla fine la persona ascolta le sue stesse parole. Da questa circolarità, tutte le modificazioni successive avvengono per elaborazione di un ciclo di cui il soggetto stesso ne è produttore. Alla fine, nel ciclo di seduta, la dinamica del transfert permette la ri-memorizzazione e l’espressione degli affetti, ma l’elaborazione è intimamente legata al contenuto verbalizzato dalla persona stessa.
In tutto questo processo la voce ha un ruolo importante. Attraverso la voce, i codici espressivi sono trasferiti da un sistema all’altro e la parola, strutturata sul ritmo, volume e tono, riverbera producendo reazioni, collegamenti e perché no, risonanze intime (forse e in modo simile, è ipotizzabile un ritmo psicobiologico attraverso cui i codici genetici si attivano nello sviluppo dell’essere umano) da cui si genereranno nuovi percorsi associativi e inedite manifestazioni psicobiologiche.

Il ciclo associativo

Tutti i sistemi si esprimono all’interno di cicli. Hanno, da una parte, la funzione di raccontarci cosa è accaduto, quando li guardiamo retrospettivamente, ma dall’altra, ci descrivono l’esistenza di una situazione. In effetti, un fenomeno, quando si manifesta, ha trovato un suo equilibrio interno che lo definisce. Ha raggiunto un certo grado di costanza energetica sufficiente a mantenere un discreto equilibrio omeostatico.
Ogni aspetto della vita è in sostanza un ciclo. Il più semplice e più vicino a noi è quello del respiro. Ogni atto respiratorio ha, in potenza, la forza d’attivare un processo di pensiero. Provate a non pensare e osservate come i pensieri si sovrappongono l’uno all’altro nell’atto respiratorio.
Come appena dichiarato, ogni pensiero che si manifesta ha quindi una costante energetica sufficiente a mantenerne la forma e nel compiere quest’operazione realizza una legge generale intrinseca ad ogni sistema: quella di vincolare l’energia in strutture stabili.
In senso psicologico parliamo d’immagine, tuttavia ciò che determina la vita psichica d’ogni soggetto non sono le rappresentazioni di cose o situazioni, ma lo svolgersi dei processi vitali soggiacenti. L’economicità della struttura si mantiene in virtù nel sistema di relazione tra le diverse istanze dello psichismo, mentre la coerenza con il principio di realtà è garantita dal grado di coesione ed integrazione con le molte manifestazioni che colorano la vita quotidiana. Manifestazioni fatte di suoni, ritmi, vibrazioni da cui prendono forma le azioni umane, compresi i sistemi di relazione complessi intorno a noi.
In analisi, la lettura dei cicli associativi permette di svolgere la spirale evolutiva, sulla quale l’individuo ha costruito la sua esistenza e di dare il via ai processi di trasformazione.
La possibile interpretazione del “ciclo associativo” fa riferimento ad una situazione relazionale affettiva, all’interno del quale si manifestano vari gruppi d’associazioni. Associazioni tra loro riconducibili ad un medesimo evento/contesto/conflitto inconscio/situazione conflittuale. Per estensione, i cicli associativi non sono unicamente quelli presenti nel lavoro analitico, ma rimandano all’agire umano nella totalità della vita espressiva, sia quando si lega ad un’azione concreta, sia quando fa riferimento ad un processo di pensiero.
La loro interpretazione, inoltre, rende evidente il livello d’integrazione psicosociale ed i modi privilegiati attraverso cui il soggetto veicolerà se stesso e la propria immagine nel destino pulsionale.
A prima vista tutto questo può apparire nel suo svolgersi lineare; in realtà la relazione è complessa. Più realisticamente, assistiamo ad un progressivo mascheramento degli schemi associativi, dato tanto dai lavori della censura, quanto dalla complessità, conseguente alla sovradeterminazione dei rappresentanti ontogenetici dell’immagine. Per schemi associativi, intendo la matrice inconscia sulla quale si svilupperanno nel pre-conscio, conscio i cicli associativi che raccontano la vita di un soggetto. Il rischio evidente è la perdita della relazione tra i diversi cicli associativi. La persona, se ciò accade, non intravede più il nesso causale (logico deduttivo o associativo affettivo) e non investe più sul rappresentante ideativo, messo in gioco nelle verbalizzazioni di seduta. In altre parole, diventa “stupida” (in senso figurato), perché, anche se conosce l’oggetto, non ne rileva il nesso, la relazione. 4
Assistiamo, quando ciò avviene, ad un fenomeno apparentemente impazzito. Il soggetto non è più in grado di demoltiplicare i cicli della sua vita perché l’eco associativo (o risonanze intime), che funziona da propulsore nello stabilire relazioni di nesso, entra in una sorta di feed-back onirico. L’allucinazione diventa più forte della realtà e la traccia energetica si attiva in modo del tutto autonomo, senza relazione causale. Si assiste allora alla stasi. La persona tende a rimanere sul posto. A ben vedere ed in termini economici, si può sostenere la presenza d’alcune matrici energetiche che si attivano autonomamente, producendo serie associative stabili. Quest’ipotesi, permette a noi micropsicoanalisti, d’intravedere come l’immagine ideica e filogenetica si esprime, attraverso gli schemi associativi inconsci, nel secondario originando strutture stabili, mantenute da legami inconsci.
È vero, il nesso causale con i rappresentanti rimossi è perso (sono rimasti sul posto), ma le manifestazioni, nell’immagine ontogenetica della coazione a ripetere, diventano a questo punto, evidenti.
Dal punto di vista clinico, la persona, appare dominata da un “demone” interno che lo obbliga a reiterare una specifica sofferenza, spesso di là della stessa consapevolezza. Non riesce ad andare oltre. È ferma sul posto e sulla medesima rappresentazione.
In situazioni di relativa stabilità, quando l’eredità psichica non è degradata al punto da compromettere la capacità d’integrazione con la realtà, osserviamo come i rappresentati dell’immagine ideica e filogenetica mantengono un certo grado d’elasticità. Così il processo di lisi, ingenerato dal ritmo delle verbalizzazioni, avvia l’abreazione affettiva e la ricostruzione di catene associative coerenti diventa possibile.
In questo lavoro concorre la qualità dei cicli associativi. La variabile nuova, anche se nuova non è, è data dal ritmo. Nella vibrazione ritmica della parola, la relazione tra il soggetto e l’immagine, diventa evidente e l’eco interno fa vibrare in modo stabile la struttura psichica dell’individuo. Così, l’eco del ritmo è la vibrazione che alimenta le nostre immagini interne. Il lavoro svolto dal ritmo permette allo psicoanalista di comprendere a quale livello dello sviluppo psichico si struttura l’immagine e come questa entra in risonanza intima con altre faccette dell’immagine. Alla fine, e a ben guardare, è l’eco del ritmo che permette la rievocazione della memoria.
A questo livello di relazione, sostanzialmente creato dal ritmo, si produce il collegamento dinamico tra una rappresentazione ed un affetto. Tra un affetto ed un altro. Tra una rappresentazione ed un’altra: in altre parole, tra un ciclo associativo ed un altro.
L’attività dell’eco è quindi funzionale a creare il collegamento dinamico tra i differenti piani delle relazioni. Permette il processo di lisi di una catena associativa riducendo o esaurendo progressivamente l’energia psichica investita. Tutto questo fino a quando una serie associativa perde l’energia interna necessaria al mantenimento della forma ed il quantum energetico (sostanzialmente l’affetto) si lega ad un altro processo rievocativo.
L’impresa di demoltiplicazione delle catene associative è così resa possibile dal ritmo. Il ritmo stesso, diventa il mediatore delle unità psicobiologiche perché mantiene la relazione tra parti apparentemente disgiunte permettendo l’attivazione della memoria associativa (è una mia ipotesi).

Il trauma

L’etimologia della parola trauma rimanda inizialmente a ferita ed in seguito a perforare. Nello specifico, fa riferimento ad una ferita con lacerazione. In termini economici, il trauma è caratterizzato da un afflusso d’eccitazione, eccessivo rispetto alla tolleranza del soggetto ed alla sua capacità di dominare e di elaborare psichicamente questo stato. 5
Nella parola trauma è quindi espresso l’impossibilità del soggetto a metabolizzare una tensione interna che, in qualche modo, entra in una sorta di corto circuito, fino a produrre una lacerazione, una ferita del sistema psichico. Quando ciò accade si avvia il tentativo di riparazione dello psichismo ed un grande afflusso d’energia (libido) è investito sull’evento traumatico. In altre parole, per far fronte all’angoscia, l’energia psichica del soggetto tenta, all’inizio, di contenere il trauma, avviando in seguito un processo di “riparazione”, descritto da S. Freud nel meccanismo della coazione a ripetere. 6
Questo meccanismo, poi, non è altro che un tentativo psichico reiterato che, soggiacendo alle regole del processo primario, tenta di controllare l’evento doloroso riattualizzandolo: il fine consiste nel cercare di stabilire un ponte dinamico tra il trauma e la ricostruzione dello stesso nel secondario. Così facendo si cerca di controllare, con una sorta d’azione retrospettiva, la situazione perturbante, ma essa è destinata a fallire, se non in situazioni particolari, ed il ciclo della coazione a ripetere si mantiene nel tempo.
Le persone, tentando di ricostruire i cicli associativi, interrotti dall’evento perturbante e ormai fissati nell’inconscio, riattualizzano nel secondario le relazionali traumatiche originarie. Cercano d’avviare il processo di lisi, ma l’eco interno non ha seguito e la memoria rievocativa non è più stimolata dal ritmo. Alla fine il ciclo associativo si rompe un'altra volta ed il fallimento alimenta, forse per l’ennesima volta, la percezione endopsichica dell’evento traumatico.
Il gioco del rocchetto si ripete e, se l’interpretazione di questa successione tanto paralizzante quanto perversa, ha una ragione d’esprimersi, non ci rimane altro che riaffermare quanto le esigenze del processo primario poco s’incontrano con le caratteristiche spazio-temporali del secondario.
L’energia psichica, quando non trova o non può esprimersi nel secondario, aumenta il livello di tensione neutra del sistema ed una diffusa sensazione d’angoscia senza forma pervade lo psichismo del soggetto. L’angoscia, l’ansia, l’agitazione è il prezzo dello stallo. Il movimento è inibito ed il soggetto sembra “vibrare sul posto”. 7
Il trauma “ri-sperimentato” blocca l’esternalizzazione della libido orientandola verso di sé. 8
Si acuisce la percezione endopsichica del vuoto, il disagio aumenta e lo squilibrio psichico o somatico diventa evidente, così come tutte le forme patologiche individuali e collettive. Ecco perché ritengo importante occuparsi della sofferenza psichica: essa tende inevitabilmente ad amplificarsi.
Da un punto di vista psicodinamico e all’interno di uno dei tanti cicli vitali individuali, il trauma si manifesta per l’effetto di un’interferenza sul ritmo associativo, che assume una portata tale da alterare il processo d’esaurimento della fonte fino ad orientare la spinta alla quiescenza su oggetti meta inaccettabili dal sistema psichico inconscio.
Per estensione possiamo arrivare a sostenere che tutti i cambiamenti di ritmo, subiti nel corso della vita, sono traumatici. Assistiamo inerti al cambiamento di ritmo imposto dalla nascita, dal sonno, dalla giovinezza, dall’essere adulto e perché no, dalla menopausa dall’andropausa, dalla presenescenza e dalla senescenza. Semmai tutto ciò non è sufficiente, possiamo ancora sostenere che la memoria è ritmica. È ritmica la relazione nella coppia d’opposti: uomo - donna, stare – andare, amare - odiare e poi altro ancora. È ritmica la comprensione della nevrosi, come d’ogni altra forma espressiva dell’umano. È ritmico il ciclo del sonno-sogno. Un ritmo in grado di donare la vita, ma al contempo di renderla poco coerente con la realtà circostante.
Ogni alterazione del ritmo agisce sulla percezione del tempo. Il ritmo stesso è il tempo di ognuno di noi. Un tempo che ci definisce all’interno della struttura psicobiologica.
Certo, un po’ idealmente ed un po’ per onnipotenza inconscia, vorremmo evitare questi cambiamenti di ritmo. L’esperienza ci mette di fronte alla nostra grande illusione, ma questa non intacca il nostro inconscio. Cieco, di fronte ai processi secondari, continua a mettere in gioco un’innumerevole serie di tentativi che mai potranno realizzare il desiderio di rendere reversibile un evento.
Se mi si chiede cosa rimane alla fine, posso dire di non possedere una risposta, se non quella che si esprime con la parola consapevolezza. La consapevolezza di una vita vissuta all’interno di un gran ciclo associativo destinato ad esaurirsi, ma non per questo vuoto e privo di significato. Come diceva un mio professore universitario con un bisticcio di parole, è l’assenza della presenza a darci il senso dell’esistenza.
Tutte le rotture del ritmo di un ciclo associativo sono dunque traumatiche, anche quelle che osserviamo nella relazione analista-analizzato. In seduta, ad esempio, quando un rumore  9  diventa perturbante (spesso è solo un eco interno), si rompe il ritmo associativo dell’analizzato. La persona soffre. È vero. Pur tuttavia ciò permette la costruzione di nuovi cicli associativi che, sostenuti dal transfert, daranno il via a nuove rappresentazioni, a nuovi spazi d’elaborazione psichica.
La complicazione è data dal fatto che questo processo non è lineare, come ho già accennato in precedenza. L’inconscio non negozia con la nostra coscienza, e la logica descrittiva non aiuta all’elaborazione psichica del materiale rimosso. La difesa allora diventa l’ultima barriera da noi stessi. Fuggire per non percepire. Isolare per non entrare in contatto. Spostare per allontanare.
Allora, di fronte al riattualizzarsi di un evento traumatico gli schemi relazionali, sostenuti dai cicli vitali, si rompono e le difese si sollevano. I divieti diventano imperanti. I sensi di colpa sovrastano le capacità cognitive superiori ed il tabù diventa il dominatore della vita psichica dell’individuo. Il tabù, proprio lui, acquista gli onori della salvezza, seppure inconscia, ed i conflitti filogeneticamente ereditati, rimangono silenti.

Il tabù

Il tabù si può definire come una forma particolare di ciclo espressivo. Si caratterizza da un ritmo particolare, la cui funzione permette, da una parte, il mantenimento dell’equilibrio psichico, e dall’altra, preserva l’individuo dall’angoscia del vuoto e/o di castrazione. Il ritmo è una vibrazione che si esprime in uno spazio temporale definito ed è caratterizzato da vettori che si muovono nell’alternanza d’azioni contrastanti, secondo una matrice energetica costruita sui fattori endogeni ed ereditari dell’individuo. 10
Riprendendo l’insegnamento di S. Freud, il tabù si esprime in una forma particolare di divieto ad entrare in contatto con una situazione od oggetto considerato sacro, pericoloso, impuro e come tale proibito. L’osservazione analitica dimostra poi che le persone, sottoposte alla legislazione del tabù, non si domandano perché l’oggetto è proibito. L’evitamento che adottano è un atteggiamento naturale. All’apparenza è un comportamento semplice e genuino.
L’atteggiamento naturale, tuttavia, entra in conflitto con il funzionamento della psiche.
Da molto tempo, abbiamo imparato che nell’inconscio una cosa è vera quanto il suo contrario, quindi ciò che è profondamente proibito è altrettanto desiderato. La dispensa per il tabù non è contemplata. Per questo il desiderio proibito diventa immediatamente un pericolo da allontanare. La rinuncia di conseguenza “salva” l’uomo dai desideri che lo investono e che E. Anati riconduce ai tre campi antropologici classici: sesso, cibo e territorio. 11
Il tabù si può quindi spiegare come un particolare tipo di regolazione endogena, ereditata filogeneticamente. Ha la finalità di mantenere l’integrità psichica, evitando il contatto diretto con una situazione, vera o presunta, particolarmente ansiogena.
Un siffatto meccanismo inconscio possiede una forza inconsueta. Segue una propria linea espressiva e non soltanto perché possiede una forma autonoma, ma perché possiede una matrice energetica propria che attiva cicli associativi indipendenti.
Secondo le regole del processo primario (contiguità e somiglianza) e di fronte all’emergere del materiale psichico rimosso, il tabù entra in risonanza intima con alcuni aspetti della vita individuale per neutralizzarne la portata e l’affetto. È probabile che, di fronte ad un sovraccarico energetico del sistema psichico, si attivi un eco interno capace di produrre una risonanza negativa in grado di neutralizzare l’affetto scatenante. Per similitudine, si può descrivere il fenomeno tabù utilizzando l’esempio del rumore: quando un suono si sovrappone ad un altro con un segnale uguale e contrario, l’esito percepito è il silenzio. Il tabù pertanto, sembra in grado di riprodurre una vibrazione, qualitativamente connotata, uguale e contraria a quella prodotta dal desiderio rimosso.
In realtà il silenzio assoluto non si raggiunge quasi mai. Rimane un ronzio di sottofondo, un leggero fischio, dovuto al ritardo di sincronizzazione delle due onde sonore che, non essendo perfettamente allineate, producono un’onda spuria.
Il fallimento di certi meccanismi di regolazione si può, a questo punto, ricondurre al funzionamento asincrono della psiche. Rifacendoci all’esempio delle onde sonore, possiamo riconoscere una similitudine relazionale con il funzionamento inconscio della psiche. I cicli associativi legati al riemergere del rimosso stimolano le difese del tabù. Si alzano le censure attivando cicli associativi, per lo più inconsci, in grado di neutralizzare l’azione perturbante. L’eco prodotto dal tabù blocca la strada all’espressività del ritmo, interno ai cicli associativi. Lo isola, sia dalla rappresentazione conscia, sia nella possibilità di demoltiplicare le serie associative. Rimane sul posto. Reitera se stesso impedendo al soggetto l’ascolto intimo e la presa di contatto con gli affetti attivati. In pratica, la persona non ha la possibilità d’elaborare psichicamente il vissuto. Rimane a “vibrare sul posto”, in una spirale che sembra non avere soluzione di continuità. Bloccando l’affetto con una risonanza negativa, questo non si può vincolare su una rappresentazione. Non può organizzarsi in un’immagine conscia che, se formalizzata nel secondario, può essere analizzata. Sembrano dei tentativi. Questa “vibrazione sul posto” aumenta la tensione neutra del sistema psichico. Il disagio diventa evidente, come il pericolo della disgregazione, ed il segnale d’angoscia spinge alla ricerca di un possibile intervento riparatorio. In pratica, la persona, nel mettere in atto le innumerevoli coazioni a ripetere quotidiane, sta cercando una possibile cura per esaurire la spinta del rimosso.
Cerca, attraverso la ripetizione, una possibile strada per esaurire la carica energetica degli schemi associativi inconsci attraverso la riattualizzazione di cicli associativi. La ripetizione funziona come un salasso. Crea un’emorragia psichica nel tentativo di svuotare il vaso /uomo troppo pieno.
Alla fine, il ciclo del tabù esalta se stesso. Diventa una sorta di auto-celebrazione, in grado d’esprimersi con una propria autonomia d’azione e l’individuo non può che sottostare al precetto del tabù. Diversamente l’angoscia pervaderebbe la coscienza.
Per questo motivo ritengo difficile andare contro un tabù. Vorrebbe dire rompere un ciclo strutturato fin dall’origine dell’uomo. Vorrebbe dire, usando una metafora orientale, modificare la ripetizione del Karma.
Alla fine, anche i cicli associativi che si costruiscono in seduta, possono diventare tabù. Lo vediamo quando la persona gira a vuoto sempre sui medesimi commenti ed affermazioni, dove le parole diventano una girandola di locuzioni. In analisi, come nella vita, le persone vivono una sorta d’isolamento relazionale ed affettivo che, sostenuto dal délire de toucher, coinvolge l’intera esistenza individuale. 12
In conclusione, il tabù è un ciclo associativo coatto il cui unico scopo è d’impedire la trasformazione. Uno strumento che serve a far tacere l’eco.

La situazione

Durante lo svolgimento del lavoro analitico, appare abbastanza precocemente la matrice relazionale utilizzata dall’individuo per costruire i propri cicli vitali. L’osservazione costante evidenzia i modi attraverso i quali l’individuo ha costruito la propria vita di relazione. Mette in luce l’evoluzione dello sviluppo psichico, indicandoci le aree problematiche, i traumi subiti, le fissazioni. Insomma, fin dalle fasi iniziali del lavoro analitico, è possibile disegnare la “topografia psichica” dell’individuo. Da una parte, questo lavoro può dare una certa soddisfazione all’analista, ma, dall’altra, è certo che tale opera d’intellettualizzazione non apporta un valore aggiunto alla persona analizzata. Nel caso poi sia comunicata, otterremmo il risultato d’amplificare le resistenze del soggetto, il quale, sentendosi “appioppare” un’etichetta, presto tenta d’allontanarsi da una tale definizione o di usarla per alimentare il senso di frustrazione, fino a farla diventare essa stessa un oggetto tabù. In questo caso, la persona non entrerà più in contatto con gli echi attivati dall’interpretazione psichica. Li rifiuta, perché dentro di sé sente di non possedere lo strumento o la chiave per uscire dalla situazione di stallo. È il problema dell’analisi selvaggia e delle interpretazioni intempestive.
Tuttavia, riconoscere la trama energetica che ha costruito lo sviluppo ontogenetico individuale, è importante per l’analista, anche perché si ha la possibilità di comprendere come i cicli primari si esprimono poi nei cicli secondari. La differenza tra cicli primari e secondari rimanda, nel primo caso, alla struttura psichica inconscia dell’individuo. Rappresentano gli elementi traumatici ed i meccanismi difensivi inconsci filogenetici dell’individuo. Sono intimante legati con i traumatismi ereditati e con le ragioni del tabù. I cicli secondari invece traducono la relazione ontogenetica con i conflitti psichici e sono intrinsecamente legati ai divieti, al loro modo di manifestarsi nell’ambiente, al loro modo d’esprimersi negli schemi associativi coatti osservati nella vita di relazione individuale.
In questa successione e per effetto delle censure, alcuni schemi associativi si legano alle rappresentazioni ontogenetiche dell’individuo. Costruiscono il corpo e veicolano l’affetto negli elementi della vita quotidiana, generando i movimenti dei cicli associativi, alla base del sistema di relazione individuali. In altre parole, l’espressione dei cicli secondari non è altro che la vita stessa dell’individuo. Sono le cose che fa, pensa ed esprime quotidianamente, anche quando le loro manifestazioni sono in contrasto con la realtà; e così, anche il tabù del vuoto e l’inibizione al toccare si esprimono nelle manifestazioni quotidiane.
Durante il lavoro analitico, queste relazioni inconsce sono più facilmente riconoscibili. Si osserva, ad esempio, il movimento attuato dai tabù nelle successioni espressive secondarie, come questo attivi certi schemi relazionali e soprattutto, come si costruiscono i cicli associativi nella vita quotidiana.
Alla presenza di una situazione patologica, si osserva con una certa costanza il riattivarsi del tabù.
L’azione evidente sembra avere tutte le caratteristiche della scissione. Il comportamento della persona non trova corrispondenza con la realtà circostante. Cerca di negare la realtà spostando l’attenzione su interpretazioni epistemiche. Sembrano avere una spiegazione su tutto e di tutto. Di fatto, però stanno facendo il lavoro del tabù. Svolgendo la trama delle relazioni su oggetti supporto, non entrano in contatto con la vera natura della situazione. Isolano l’affetto nell’affermazione di una ragione esterna che regolarmente si sposta da una situazione ad un’altra. Toccano le ragioni degli altri ed ogni volta riaffermano se stessi e le loro motivazioni. Spesso generano conflitti sociali, più o meno apparenti, e questo per il solo scopo di dare significato alle loro dichiarazioni, ai loro cicli associativi secondari. Rompere un siffatto meccanismo a volte è impossibile. Le resistenze diventano difficilmente permeabili ed i cicli associativi diventano tabù.
In analisi la persona parla, spiega, sostiene le sue ragioni. Spesso cerca di coinvolgere l’analista nella dialettica. Pur tuttavia, non entra in relazione con le risonanze intime prodotte dal ritmo associativo e la persona vibra sul posto, in un ciclo coatto il cui unico scopo è di diventare testimone dell’identità individuale.
La ragione di tutto questo sta nel principio del mantenimento della forma. Ogni volta che un ciclo associativo si dissolve, le manifestazioni dell’inconscio diventano più evidenti. Aumenta la percezione endopsichica del vuoto e con essa il pericolo della perdita e della dissoluzione della forma.
In questa prospettiva, anche un ambiente patologico è vitale e questo grazie al tabù ed ai suoi cicli associativi coatti reiterati e mai elaborati. Anzi, il ciclo coatto diventa l’unico strumento attraverso il quale l’individuo riconosce se stesso. Pur nel dolore, nell’angoscia, nell’ansia o nell’agitazione, le dinamiche inconsce dei cicli primari, mantengono la loro forma espressiva e l’individuo nelle sue rappresentazioni preconosce-consce trova una compensazione alla percezione endopsichica del vuoto.
Il problema si pone quando le esigenze dei cicli primari alterano nel secondario la relazione con la realtà, arrivando a deformarla, ma questa è un’altra storia.

Conclusioni

A conclusione dell’esposizione, ricorderei che il lavoro analitico è il luogo privilegiato per dare avvio alle trasformazioni. Un luogo nel quale i meccanismi d’assimilazione e d’accomodamento sono continuamente in azione. L’analista, nell’ascolto neutro di seduta, può facilitare la presa di contatto con le risonanze intime prodotte dall’eco dei ritmi associativi e dare avvio al processo di elaborazione dei cicli patologici.
Con la dilatazione del tempo di seduta e con l’uso degli accorgimenti tecnici, il micropsicoanalista può tracciare i confini all’interno dei quali il tempo fornisce lo spazio espressivo ai pensieri, alle azioni e dare avvio al processo di lisi dei contenuti rappresentazionali affettivi traumatici.
Dante forse aveva ragione, quando, descrivendo nei gironi della Divina Commedia le fasi evolutive di un processo di “purificazione” (l’abreazione dei conflitti psichici), racconta l’ascesa a spirale dei cicli associativi, fino ad arrivare alla consapevolezza che rende l’uomo meno schiavo di sé e più sereno nell’inevitabile ontogenetico.

© Ambrogio Zaia

Note:

1  S. Fanti. “Dizionario di psicoanalisi e di micropsicoanalisi”. Borla, Roma, 1989.
2 N. Peluffo. “Micropsicoanalisi dei processi di trasformazione”. Bocks’ Store. Torino, 1976.
3 S. Freud. “Al di là del principio di piacere”. Bollati Boringhieri, Torino, 1975.
4 N. Peluffo “Conoscere l’oggetto”, Rivista multimediale "Scienza e Psicoanalisi" - 1 giugno 2005.
5 Jean La plance, Jean-Baptiste Pontalis. “Enciclopedia della psicoanalisi” Ed. Laterza, Roma Bari 1981.
6 S. Freud. “Al di là del principio di piacere”. Bollati Boringhieri, Torino, 1975.
7 Nicola Peluffo “Ritmi e regolazioni”, Rivista multimediale "Scienza e Psicoanalisi" – 27 settembre 2005.
8 Pier Lugi Bolmdia. “I disturbi alimentari in prospettiva filogenetica” presentata al convegno “I problemi dell’alimentazione”. Capo d’Orlando, 2004.
9 Per rumore intendo l’emergere di determinanti inconsce rimosse che si ripresentano nel secondario dando il via a precisi schemi associativi.
10Nicola Peluffo “Ritmi e regolazioni”, Rivista multimediale "Scienza e Psicoanalisi" – 27 settembre 2005.
11 E. Anati. “Riflessi della dieta nella struttura cognitiva del mondo preistorico” presentata al convegno “I problemi dell’alimentazione”. Capo d’Orlando, 2004.
12 S. Freud. “Totem e tabù” Arnoldo Mondatori Editore. Milano, 1989.

 

     
 

 
 
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